«Signor giudice, voglio rifarmi una vita da persona per bene, nonostante il nome che porto» dice il giovanotto in tribunale. L’hanno accontentato: dal 2 ottobre prossimo, lasciandosi alle spalle i cancelli del supercarcere di Voghera dopo aver scontato una condanna a otto anni, Salvuccio non tornerà più nella sua Sicilia. Una normale storia di reinserimento sociale? No, a renderla speciale è il cognome del protagonista: Riina. Per la precisione Giuseppe Salvatore Riina, 34 anni, figlio del boss dei boss. «Salvuccio» ha deciso di tagliare i ponti con Corleone, con l’ambiente mafioso, con l’ingombrante famiglia e giocarsi la seconda chance di vita al Nord, prendendo casa e lavorando per una onlus.
Destinazione tenuta al momento segreta, i rumors la indicano nella zona di Padova ma il fatto più importante è ovviamente la rottura tra Riina junior e le sue radici. E la Lega, che ai suoi esordi aveva scatenato una battaglia proprio contro l’invio al Nord di personaggi legati a Cosa Nostra, non ci sta: «Vale lo stesso discorso di 30 anni fa: sono personaggi pericolosi, qui non li vogliamo» attacca Gianluca Buonanno, deputato del Carroccio e già componente della Commissione antimafia. Il giudice di Pavia Maria Teresa Gandini, competente per la questione, ha depositato ieri mattina la sua decisione: dopo la scarcerazione Riina potrà risiedere nel Nord Italia. Ma conformemente a quanto richiesto dal procuratore capo Gustavo Cioppa, che ritiene il personaggio ancora «potenzialmente pericoloso», ha sottoposto il figlio del boss per 2 anni a misure di vigilanza speciale: Salvuccio dovrà rincasare sempre prima delle 22, non potrà incontrare pregiudicati e deve sottoporsi all’obbligo di firma. Per il resto sarà libero di prendersi casa e lavoro.
«Sia chiaro che il signor Riina non è un pentito – precisa il suo legale avvocato Francesca Casarotto – e rimane in ottimi rapporti con i suoi congiunti. Semplicemente ha manifestato al giudice la sua volontà di non ritornare in Sicilia e di fermarsi in un luogo dove ritiene di avere più possibilità di ricominciare una vita da persona onesta lontano dall’ambiente che gli ha provocato guai con la giustizia». Determinanti nella svolta sono stati alcuni incontri con i volontari nel carcere di Voghera, gli studi compiuti (informatica in particolare) e l’opportunità offerta al detenuto dalla onlus presso la quale lavorerà come impiegato. Ma come detto non tutti sono disposti a porgere metaforicamente l’altra guancia. «Se sapessi che uno così viene a vivere nel mio comune affiggerei manifesti con la sua faccia e la scritta “Via da qui”; un Riina deve sentire l’ostilità dell’ambiente che lo circonda» dice Gianluca Buonanno. E aggiunge il deputato leghista: «Non vogliamo che la storia e gli errori degli anni 70 si ripetano; allora l’applicazione dei soggiorni obbligati significò l’arrivo della mafia nelle nostre regioni. Oggi il pericolo è aumentato perché queste organizzazioni possono contare su ramificazioni più forti».
Nino Amadore
24 settembre 2011