L’intelligenza è inversamente
proporzionale a tutto ciò che è
mondano e mediatico, i quali
abbondano, per contro, in stupidità,
se non in banalità e volgarità, oltre che
in spudoratezza.
Umberto Eco
Quel processo di accumulazione del sapere che
chiamiamo cultura ci difende parzialmente dalla
nostra insicurezza e vorrebbe mettere a tacere la
nostra paura. Ma comprendere significa liberarsi
dalla paura. C’è intelligenza solo se non c’è paura
e non c’è paura solo se c’è amore.
Giuseppe Pontiggia (La ricerca della felicità)
C’è una sottile e nascosta, ma tangibile, alleanza tra dittature e tecnologia. Senza la tecnologia nelle comunicazioni e nei trasporti non sarebbero stati possibili il nazismo e lo stalinismo nel secolo scorso. Ed ora mi chiedo, non senza un certo sgomento, quale dittatura, di fatto palese negli effetti – limitazione o sospensione della libertà, aumento del fenomeno della delazione – sia in atto. E i cittadini se ne accorgono? O dietro al massiccio bombardamento mediatico prevale un subdolo messaggio subliminale spacciato per speranza a buon mercato? E, soprattutto, che fine ha fatto il senso critico, fiore all’occhiello di ogni intelletto sano? Anche i cittadini vissuti nell’era dei fascismi, che soffocarono l’Europa dagli anni Venti del XX secolo fino alla fine della seconda guerra mondiale, a lungo furono ignari, alcuni negarono, anche se coinvolti direttamente, negarono cioè l’evidenza o, forse, soffrirono d’amnesia, indotta dai soliti poteri più o meno occulti. Ma per una questione di adattamento alla ferocia della vita non si deve dopotutto rimuovere? Talvolta per sopravvivere è necessario dimenticare. In situazioni estreme, se si vive un trauma, forse, non si può fare altro. Non puoi fare altro che sperare nel soccorso dell’oblio, sempre così consolante, una specie di balsamo, tutt’altro che nocivo. Vivere nella paura, oggi come ieri.
L’ondata di violenza
In questa nuova fase di semi lockdown ciò che salta all’occhio è l’ondata di violenza. La violenza e la paura hanno una stessa matrice: la perdita del lume della ragione. “L’importanza del lascito dell’Illuminismo…” dice una voce solitaria. Pochi, in verità, l’ascoltano. Il lascito degli illuministi, già, e gli ideali, che sostanziano quella forza primigenia da cui sgorgano emozioni, sentimenti, amori, sogni; forza primigenia che vive in ogni mito. Come ha delineato con limpidità stellare Paul Valéry in quella Piccola lettera sui miti, “Mito è il nome di tutto quel che esiste e sussiste avendo solo la parola per causa.” E sempre Valéry ci mette in guardia dicendo che “quel che muore per eccesso di precisione è un mito”. Ora si assiste alla degradazione del mito, il quale può vivere ancora, certo, ma in forme degradate, appunto. Una leggenda muore quando vengono meno gli ideali che l’avevano generata. Nel mondo attuale, essendo estinti gli ideali, di che leggende è lecito ancora parlare? Quelle pop, le cosiddette leggende metropolitane. Ma se il soffio d’eternità, che ammanta ogni leggenda sostanziandola, è fugace, si deduce che la loro vita è breve come quella di un effimero, soggetta ai diktat della Moda, ancella del Mercato.
L’ideologia del consumismo
Da uno scenario sinistro in cui si levano bagliori d’oscurità, minacciosi e apocalittici, appare sempre più evidente ciò che quel genio di Flaubert, spesso semplicisticamente tacciato con l’epiteto d’idiota, aveva mostrato non solo ai posteri, bensì ai contemporanei: l’unica epopea dei tempi moderni è quella dell’idiozia, incarnata da due strampalati eroi: Bouvard et Pécuchet. Ma, ahimè, come ben ha messo in luce Giuseppe Pontiggia in quel libro che è molto più che una semplice raccolta di saggi, L’isola volante, Bouvard et Pècuchet non è altro che “una satira grandiosa dei tempi moderni. Così se Flaubert poteva dire di Madame Bovary che c’est moi, noi possiamo dire di Bouvard e Pécuchet c’est nous.” Come riesumare valori e ideali oggi? Se un senso di nobiltà è insito in ciò che comunemente s’intende per valore e ideale, lo stesso non può dirsi per ciò che s’intende per ideologia. Si è parlato della morte dell’ideologia, ma a torto. L’ideologia non è affatto tramontata, essa è oggi, in Occidente, il consumismo che ha portato al mito dell’informatizzazione capillare, invasiva, dittatoriale. Ogni lembo del pianeta ne è permeato, adesso, esattamente come del virus coronato, e di paura. “Il mito muore per eccesso di precisione”, ma ci sarà pure un varco nella rete da cui sgattaiolare? Una via di fuga dalla tirannia che ci vorrebbe tutti omologati, fosse pure dalla paura, non empatici, non sentimentali, altrimenti si rischierebbe di essere scambiati per cinici. Degli uomini con un computer al posto della testa, due cellulari al posto delle mani e il logo al posto del cuore. Degli uomini con una cavità rettangolare o quadrata, somigliante a un computer, al posto della testa.
Il mito resisterà
Questa figura surreale ho visto una sera in una galleria d’arte della mia città. Ecco la personificazione di Homo videns!… ho pensato: uno strano essere, purtroppo a noi così affine, e già da un po’. Solo che, prima, nell’era ante covid, delle sacche di dissidenza resistevano. Adesso, invece, in questa situazione eccezionale, causa di forza maggiore o pandemia, il videoterminale sei costretto a usarlo, fa parte di te, come il guscio la lumaca. E ci lavori, ti svaghi, ti connetti al mondo intero. Ma “il mito muore per eccesso di precisione”. Se muore, ne nasce un altro, dirà qualcuno. Invece no, sentenzia perentoria una voce, se muore non è un mito. Un falso mito, ecco cos’è. Solo all’eccesso di precisione è consentito il potere micidiale di uccidere il mito. Ma se si spaccia per mito ciò che non lo è significa che è in atto, ormai da molto tempo, una mistificazione planetaria. Certi miti, però, non muoiono mai, prendiamo i miti greci. Finché ci sarà un uomo sulla faccia della Terra il mito resisterà. Il mito è coriaceo, come la corazza dell’aragosta. Anche se talvolta, pure questo crostaceo necessita di rifarsela, la corazza. Il mito resiste, certo, ad esserne degradata è la forma. Nell’attuale società sarà un mito pop. E se tanti miti si sono estinti, beh, semplice, vuol dire che non lo erano. La paura pietrifica e paralizza, togliendo linfa vitale, morale, condizione essenziale di ogni uomo per Sartre. La paura paralizza la scelta, sia essa del bene o del male, essendo gli uomini “esistenze condannate alla libertà.” La paura istupidisce. Nell’antica Grecia gli ignavi o accidiosi, ossia coloro che si disinteressavano al bene comune, erano considerati alla stregua degli idioti, incapaci appunto d’intendere e di volere. Ed ora, nell’era del coronavirus, la paura che ci tiene in pugno accelera la caduta dell’uomo in quella malattia morale, e mortale: l’accidia o ignavia. Nella società di massa, questo male è ancora più pericoloso, poiché porta a comportamenti amorali e dunque ad adeguarsi acriticamente a situazioni di fatto insostenibili per chi abbia come meta il bene comune e la sua salvaguardia, ossia la democrazia e i diritti di una società civile. Cosa hanno fatto i demagoghi di ogni epoca se non cercare il consenso di una massa indifferente, sorda alla voce della coscienza – se non priva di coscienza – dunque amorale, interessata solo alla tutela del proprio ‘orticello’, dei propri personali interessi, tanto gretti quanto alieni dal bene comune? Poteri di privilegio – e sempre il privilegio occulta il diritto – ossia ‘grandi poteri’ che non si fanno assolutamente scrupolo di usare la violenza, la sopraffazione, la guerra. Quante possibilità di riscatto, invece, se si oserà sognare. Il bambino, l’innamorato, il poeta sognano. Se tutti provassero a sognare si attiverebbe quel potere illimitato, che sfida la legge di necessità e dona un fuoco vivo anche nei deserti artici: l’immaginazione. Provate, proviamo a pensare accanto ai diritti dei Paesi democratici, come ci esorta a fare quel grande scrittore dell’America latina, Eduardo Galeano, il Diritto al delirio. “Che direste se cominciassimo a praticare il mai proclamato diritto di sognare? (…) Il mondo non sarà più in guerra contro i poveri, ma contro la povertà.” La paura genera sfiducia, demoralizza, paralizza la forza vitale da cui si originano sentimenti e sogni, e ci si sente intrappolati come mosche sulla carta moschicida. La paura non ti fa uscire, ti chiude nel tuo guscio dove vegeti come sotto una campana di vetro. La paura paralizza la volontà e istupidisce, e non si è più capaci d’intendere, di volere e di volare. La paura uccide l’empatia, la condivisione dei sentimenti, chiude all’ascolto, per cui la comunicazione – primo elementare diritto e bisogno umano – risulta interrotta, mancata, sbagliata, condizionata. Beato chi ha orecchi per discernere il canto dell’usignolo coperto dal ronzare adirato delle auto o dal grido dell’antifurto. Forse non è tutto perduto. Forse non… Forse un bambino ha udito quel suono, presagio di Bene.
Dott. Gustavo Cioppa
(già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)