“Goodbye, Libertà…”: vivere al tempo del coronavirus

La riflessione del magistrato Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo di Pavia

Il problema è avere gli occhi e non sapere vedere,
non guardare le cose che accadono…
Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non
sono più curiosi. Che non si aspettano che accadrà
più niente. Forse perché non credono che la bellezza
esista. Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa,
rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi
di infinito desiderio.

Pier Paolo Pasolini

Quello che salta all’occhio, adesso, è un’accentuazione della mancanza di libertà. Ma non lamentiamoci. Siamo vivi, questo il miracolo, ogni giorno. Non che tutto, prima, fosse più bello, buono, genuino, giusto. Tutt’altro. Ma almeno un effetto collaterale positivo del virus c’è stato: la diminuzione dell’inquinamento. Abbiamo lasciato in garage le nostre automobili e, reclusi nelle nostre abitazioni, continuiamo a lavorare, magari più di prima, grazie allo smart working. Qualcosa è mutato nei nostri comportamenti. Restiamo a casa, resistiamo. Consapevoli e responsabili, evitiamo lo spettro del contagio. Intanto aspettiamo il vaccino, che ci faccia ritornare, finalmente, alla normalità. Già è una conquista la diminuzione dell’inquinamento, di cui hanno tratto giovamento soprattutto i malati d’asma. Ma quei droni che svolazzano in ogni dove come gigantesche libellule metalliche dai mille occhi, e quelle telecamere puntate come canne di fucili, non solo fuori, ma dentro casa? Senza dire dei satelliti, ‘cose’ superate, ormai, dalle nuove tecnologie. E che dire delle app a scopo sanitario?… Se prima esisteva una parvenza di libertà, nell’era del Coronavirus – tra i nuovi comportamenti e mutazioni varie, o modificazioni (spero non genetiche), abiti mentali, procedure – non più. Addio, Libertà… Speriamo sia solo goodbye, Libertà. Ma una cosa è certa: il mondo e l’uomo, dopo il transito di Covid19, e non ne siamo ancora usciti, non saranno più come prima. Saranno migliori?
Almeno potesse comparire l’ombrello di Mary Poppins, per volare altrove, in un punto della Terra non contaminato dal virus. Ma ammesso ci sia, il portentoso ombrello, non si potrebbe comunque andare da nessuna parte. La pandemia ha raggiunto ogni luogo del pianeta. E quegli slogan che imperversano sui Social, tanto tranquillizzanti quanto imbecilli: “Andrà tutto
bene…”, li trovi dappertutto, anche sul balcone di un’impresa di pompe funebri. Signore e signori, rallegriamoci: la fase da bollino rosso è finita. Siamo quasi nella fase due, da bollino giallo. Diminuiscono i decessi, i contagiati, i positivi, si chiudono i reparti di terapia intensiva.
Nessuno aveva immaginato quanta nostalgia avremmo avuto dell’abbraccio di parenti e amici, di una funzione religiosa, una sala di teatro, la visita a una mostra, una tavolata conviviale e anche lo stare pigiati in metro, che ci procurava un certo fastidio, ma che ora ci manca. Era il nostro mondo. Lo era, anche la ressa in aeroporto o in stazione, per salire su un treno, magari diretti nella tanto agognata vacanza. Viaggiatori verso il centro immobile della propria anima, lì conviene andare e fare un bel repulisti. Qualcuno forse aveva pensato a qualcosa del genere, ma era la trama di un romanzo distopico. E Ridley Scott, per Blade Runner (1982) aveva immaginato che l’anno fatidico fosse il 2019. Toh, l’anno del Covid.
Due ragazzi – mascherina e guanti di lattice – portano la spesa a chi è solo, emarginato, troppo anziano per esporsi alla minaccia di un nemico subdolo e invisibile. Il centro storico della città è spettrale, non c’è nessuno, tranne quei due. La pioggerellina di marzo fa ancora più belle le violette e gli alberi in fiore sono un antidoto alla paura. Dalla finestra aperta di un palazzo la musica di Funiculi Funiculà versione operistica allarga il cuore. I due ragazzi vanno mano nella mano, nell’altra la sporta della spesa, sperano che “La bellezza salverà il mondo”.

Nella fase tre si potrà tornare a sfiorarsi le mani, una guancia? Che ne sarà del contatto fisico, inscritto nella comune radice antropologica degli esseri umani, e pure degli animali? Loro potranno continuare a farlo, gli animali. Ma noi, probabilmente continueremo a guardarci con sospetto, almeno finché non ci sarà un vaccino. E se il Coronavirus avesse subito delle modificazioni? Certo, ragionando così si continuerà a vivere nel panico, succubi della paura.
Conviene navigare sottocosta, giorno per giorno, poi si vedrà.
Una sera, alle 23, nella mia via sono arrivate le macchine della polizia, seguite da una specie di trattore che sembrava un carro armato. L’altoparlante gridava di non uscire dalle proprie abitazioni fino alle 24 perché era in corso una sanificazione. Le luci bluastre delle volanti proiettavano delle figure sinistre sulle pareti delle case, così lugubri da sembrare disabitate. Al crepuscolo, per po’ di giorni si è sentito echeggiare nell’aria l’inno nazionale. Si spalancavano le finestre e la gente usciva sui balconi, e i più applaudivano. Dai terrazzi sventolava il tricolore. Era un marzo anomalo, da primavera inoltrata. Poi siamo rimasti attoniti alle parole del Primo Ministro Inglese, primo fautore della teoria dell’immunità di gregge, ahimè seguita da altri leader dopo di lui, ma non da noi. Fa inorridire il pensiero che si possa sacrificare la vita dei cosiddetti ‘deboli’ (anziani, immunodepressi, soggetti con patologie a rischio), per selezione
naturale destinati a soccombere, al fine di sviluppare una fantomatica immunità di gregge. Gli esseri umani non sono un gregge. Per fortuna sono italiano e non penso più di fuggire dal mio Paese. Sono orgoglioso che fra gli antenati degli italiani vi siano Dante, Michelangelo, Botticelli, Leonardo, Galileo, e la lista sarebbe interminabile; giganti che hanno fatto brillare l’Italia di vera civiltà e non di civilizzazione. Perché questi due nomi tra loro imparentati non sono la stessa cosa.
Negli ospedali di Bergamo, Brescia, Milano e di tutta Italia non si è verificata la deriva della pietà. Medici e infermieri continuano a prodigarsi con inalterabile dedizione nella cura degli ammalati di Coronavirus, che nella Fase uno purtroppo aumentavano ogni giorno. Negli ospedali si lavorava a turni estenuanti, in condizioni impossibili. Le agghiaccianti testimonianze dei medici – essere in prima linea senza nemmeno l’equipaggiamento – crescevano. L’emergenza da pandemia era al culmine. Il numero degli ammalati in terapia intensiva aumentava e, purtroppo, anche quello dei medici ammalati e del personale sanitario. La primavera era esplosa ma si respirava un’aria di morte, anche nei fiori e nei fili d’erba s’impregnava lo strazio dei condannati a morte senza nemmeno il conforto dei familiari accanto.
Dopo avere sfrondato l’essenziale dal superfluo, ritornano la compassione e l’empatia. Non si può non mettersi nei panni degli agonizzanti negli ospedali, i quali hanno come unico conforto gli occhi di un angelo: l’infermiera dietro la visiera. Faceva il giro del mondo la storia del medico che prestò il cellulare alla nonnina, la quale poté così parlare con la nipote per l’ultima volta e poco dopo morire serena. Ci si sentiva tutti uniti nello strazio e nella paura.
Beato chi riesce a piangere. È un po’ come fare un bel repulisti nell’anima, per ritrovare, dopo essersi liberati di ciò che è dannoso e superfluo, solo l’essenziale. Gli occhi, in fondo, non sarebbero stati creati per vedere, ma per piangere. (Jacques Derrida, Memorie di cieco).
Verso Pasqua, si è cominciato a parlare dell’addio alla migliore generazione – quella dei nostri padri e dei nostri nonni, di coloro che hanno visto la guerra e contribuito a costruire questo Paese – stroncata dal Coronavirus. Che gli anziani fossero i più colpiti si è saputo fin da subito. Non si sapeva nulla, invece, degli orrori delle case di riposo, dove il virus ha compiuto una strage.

In questa Fase uno si era uniti, ed era bello quel “sentirsi tutti sulla stessa barca”, ma forse quest’impulso alla fratellanza e alla solidarietà era solo un istinto di codardia. Era la paura a farci sentire tutti – Così lontani così vicini – resistenti e resilienti, ciascuno nella propria abitazione? Certo, in ogni parte del mondo, c’erano i soliti incoscienti che andavano al supermercato a fare shopping ogni ora del giorno, o a fare jogging, anche quelli che non l’avevano mai fatto prima. Era la speranza a buon mercato del qui e ora, nei nostri recinti, ma anche la speranza del poi, per cui si vagheggiava un mondo migliore, post virus, grazie al quale la Terra sarebbe diventata il migliore dei mondi possibili. Era l’indignazione verso la deriva della pietà di certi potenti e alcuni comportamenti aberranti. Si tirava un sospiro di sollievo. I nostri ospedali non chiudono le porte in faccia a chi non abbia i soldi per pagare le cure mediche, a differenza di altri Paesi. Qui da noi, almeno per ora, le code sono solo davanti ai supermercati e non ai negozi di armi e munizioni. Quanto a Mister Johnson – primo fautore dell’immunità di gregge – anche lui poi finito in terapia intensiva, be’ che dire? Non abbiamo certo gioito alla notizia. E quando è migliorato ci ha fatto piacere.
Siamo arrivati alla fine della Fase uno – quella più critica – ma gli assassinati dal virus ci sono ancora.

Si annota nella memoria, come in un diario di bordo, come un naufrago, il crescere dello spavento, ed è ansia, ma ci sono, anche, degli sprazzi d’azzurro. Ancora sopravvive la compassione di chi piange. Allora non è tutto perduto? Qualcosa d’umano sopravvive, e si sorride, nonostante il pianto. E si ripete il gesto sacro, ogni mattino: salutare e magari sorridere al dirimpettaio, anche lui prigioniero delle proprie paure, compagno di viaggio isolato nella tempesta. Si vorrebbe ridere, cantare, pregare, ma il silenzio sacro è rotto dalla pletora di diktat invasivi – nemmeno un banale: Ciao, come stai? – e tossici che ti vorrebbero soldatino di piombo o di carne, una cosa sola con la procedura. E se tu volessi replicare, stai pur certo che lo yes man e quelli dell’entourage ti direbbero che devi farlo – il lavoro agile o la didattica a distanza – in nome del dovere civico. E ti fanno persino sentire in colpa verso chi soffre davvero, e muore. Medici e infermieri con dedizione, compassione e sapienza, loro sì, lavorano davvero, e sacrificano ogni giorno la propria vita nell’inferno degli ospedali. Si dovrebbe tacere, almeno per rispetto verso i morti. Ma tu, povero prof, caro impiegato, cos’altro chiedevi se non un po’ di silenzio? Per connetterti non al computer o allo smartphone, nella gabbia che è diventata la tua casa. Non cresce il seme nel silenzio dell’umile terra?
I comportamenti sono cambiati. Ma quanta e nuova aberrante alienazione. Punti di vista. Che non si lamentino quelli che hanno la fortuna di lavorare, ma ringrazino a mani giunte per ciò che hanno: la salute, una casa, un lavoro. Soprattutto lavorino, e più di prima, tanto da non avere il tempo per pensare, una benedizione – il superlavoro – per scacciare i cattivi pensieri.
Per alcuni l’attesa della fine di questa guerra batteriologica somiglia tremendamente al copione beckettiano di Aspettando Godot. Ma dovrà pur finire?!… L’altra attesa – quella di un mondo
migliore – ahimè, sarà sine fine. Sia che si guardi a un passato remoto o a un futuro remoto, l’uomo non cambia. Anche negli ambienti più ostili, per un’insopprimibile legge di sopravvivenza gli organi dell’uomo riescono ad adattarsi.
Un’idea di speranza è nei ‘disegni naturali’ di un ragazzo della Costa del Galles che, seppure effimeri, rinascono dopo che l’onda li ha cancellati. L’uomo non cambia, nel bene e nel male. Impossibile arrestare il piacere di creare: flusso inarrestabile, come la vita, come la freccia di una spirale puntata all’esterno. Ogni giorno quel giovane, armato di rastrello, pazienza e determinazione, va sulla spiaggia per dare forma con le mani a qualcosa di bello, nuovo e irripetibile, come la vita. Ogni forma di vita. Perché lo fai? – gli hanno chiesto – Per la mia salute mentale… ha risposto. Un giovare a sé e agli altri, questo il segreto delle creazioni effimere di quel ragazzo.

La sensazione di essere immersi nell’oscurità in pieno giorno. Le case, il cielo, il mare, il battello attraccato al molo, tutto è grigio plumbeo. Ma un lembo della cabina è illuminato. La parete, di un bianco metallico, è come se brillasse di luce propria. Partirò da lì, da un punto luminoso in mezzo al buio. Ammesso riesca a conservare i miei neuroni. A patto di non farmi risucchiare da certe gabbie che di fatto hanno modificato la vita di tutti. Prima o poi il cielo si squarcerà, e il battello salperà. In questa interminabile quarantena, ancora occorre raccogliersi in sé, nel silenzio, come Noè nell’arca. È consolante che almeno i nostri amici a quattro zampe siano immuni al virus, almeno desidero pensare così, anche se alcuni studiosi non ne siano del tutto sicuri.
Ancora occorre raccogliersi in sé, nel silenzio, poiché di ciò di cui non si può parlare si deve tacere. (Ludwig Wittgestein, Tractatus logico-Philosophicus).
Mi piace pensare a quel lembo di luce come a un barlume di speranza – ognuno ha la propria – fosse pure quella dell’immaginazione, del sogno. Ma affinché quel punto luce dilaghi e sia finalmente aurora, occorre che ciascuno conservi il bene più prezioso, inscritto nel DNA di ogni essere umano, e che nessuno, nemmeno uno stupido virus, potrà distruggere: la libertà.

Dott. Gustavo Cioppa

(Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia, già Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)

Fonte: http://www.ilticino.it/2020/04/28/goodbye-liberta-vivere-al-tempo-del-coronavirus/

25 aprile: la riflessione di Gustavo Cioppa

“Ingiusto mettere insieme la Festa della Liberazione e la memoria delle vittime del Covid-19”

L’idea di dedicare il 25 aprile, ormai storica Festa della Liberazione, con l’omaggio alle vittime del Covid mentre rivela un sentimento nobile per coloro che hanno in entrambi i casi perduto la vita, cioè il bene più prezioso,  non riesce a eliminare la diversità, sotto ogni profilo, delle due ipotesi e pertanto finisce con il fare una confusione impropria e forse anche ingiusta. Certo, la Festa della Liberazione è un modo per non perdere la memoria di un passaggio oggettivamente tragico della storia del nostro Paese, per entrambe le parti che si confrontarono. Peraltro, l’alba della Repubblica, salutata ancora con un aspro confronto politico-ideologico, ha visto anche l’impegno e la sinergia di forze tra loro diverse per gettare le basi di un periodo di pace e di democrazia parlamentare, impegno che, ancora oggi, dovrebbe ridurre a poco le pur fisiologiche diversità di opinioni e di ideologie. Quel poco, però, è stato sufficiente per non azzerare del tutto i malumori che la Festa della Liberazione ha puntualmente alimentato. La memoria, d’altra parte, che tesaurizza i nostri ricordi, soggettivamente belli o brutti che fossero, è qualcosa che non può essere ridotta al fastidio di qualche corteo imbandierato o a qualche chiassoso canto, ma va custodita almeno quanto ai valori che meritano di essere trasmessi alle generazioni successive.
Per le vittime di questo virus subdolo e misterioso quanto alle origini e ai rimedi ci si può chiedere se sia il caso di unirne il ricordo ad una festa, perché tale è la Festa della liberazione. Per le vittime del virus, e non vale la pena di pensare ad altre responsabilità, ci sarà tempo anche per questo, ma di sicuro non per una festa. Dunque non si tratta solo di ipotesi diverse, vittime nell’uno e nell’altro caso solo in quanto ha visto finire la vita di molte persone, troppe, ma per ragioni che non meritano di essere celebrate o semplicemente ricordate insieme. Si può pensare a cementare la memoria anche di questo tragico evento che ha colpito l’intero mondo, in ogni possibile latitudine, magari unendo il ricordo a quello di altri Paesi ugualmente colpiti. Si tratta infatti, a differenza della resistenza e della Liberazione, di qualcosa che non appartiene solo alla memoria italiana, ma del mondo intero, sì al contrario di una festa nazionale sarebbe meglio pensare ad una giornata mondiale della memoria e insieme, questo sì, della solidarietà: invocata a parole oggi, ma rimpiangeremo, col senno di poi, di non  avere coltivato abbastanza.
In definitiva, mettere insieme le due cose sarebbe ingiusto, a voler tacere della possibilità di polemiche delle quali francamente non sentiamo il bisogno.

Dott. Gustavo Cioppa

25/04/2020

Fonte: http://www.ilticino.it/2020/04/25/25-aprile-le-riflessione-di-gustavo-cioppa/

Il dramma delle case di riposo: interviene Gustavo Cioppa

La riflessione del magistrato, già Procuratore Capo di Pavia. “Residenze sanitarie per anziani o Residenze letali?”

RSA o RLA? Residenze sanitarie per anziani o Residenze letali? Il quesito può apparire crudo, provocatorio, ma non è questo il senso in cui intenderlo. Sottende, invece, un gigantesco perché, cui le riflessioni che seguono cercano qualche risposta.

Negli ultimi giorni si è cominciato a prendere concretamente atto dell’imponente numero di decessi riguardante le RSA e sono state avviate indagini penali dalle Procure competenti ed inchieste amministrative dal Ministero della Salute. Saranno, dunque, gli organi competenti a verificare se siano stati commessi reati e/o se ci siano stati illeciti disciplinari et similia. Non è questo, tuttavia, il punto focale dell’interrogativo.
Perché?
Fin dagli inizi, è stata data ampia e reiterata comunicazione del fatto che i decessi provocati dal contagio virale concernevano le persone anziane in percentuale inaudita: 90/80/70)%.
Non sono mancate dotte disquisizioni, giacché hanno detto la loro il colto e l’inclita, in gran copia.
Si è, quindi, data per assodata la questione, che in realtà era e resta un fenomeno, e il dato è finito fra tanti altri: neppure fra quelli di particolare interesse, visto che è stato citato, più o meno, occasionalmente nei quotidiani annunci sull’iter del contagio.
Delle RSA non si è parlato. Alle RSA non si è pensato. Eppure, se gli ospedali più specializzati ed avanzati facevano grande fatica ed erano in sofferenza, come poteva il personale delle RSA, esiguo e non specializzato, far fronte al flagello del virus, connotato da alta diffusività? In tale stato di cose le RSA si sono tramutate in una sorta di trappole mortali, in cui il contagio ha mietuto a piene mani.
Ebbene, fin da subito, s’è osservato,  è apparso chiaro, è stato noto che il  principale bersaglio erano le persone anziane, parte delle quali ospitate nelle apposite Residenze.
Perché, dunque, non si è operato in modo da proteggerle? Perché?
È passato un lungo tempo e non si è fatto quanto era chiaro che si dovesse fare, subito e con la determinazione del caso.
Perché, perché gli anziani sono stati lasciati così, in luoghi chiusi, dove un solo contagiato ne avrebbe certamente infettati molti altri?
Così è precisamente avvenuto e la sequela dei decessi ha assunto le forme di una autentica moria di inermi, lasciati in balía degli eventi. Gli anziani sono stati facili vittime della calamità ed oggetto crudele della sostanziale indifferenza di tanti loro simili, magari più giovani.
E non si dica che la virulenza del contagio ha attaccato di sorpresa. Una volta inquadrato il terribile problema, si sono messe a punto strategie, continuamente calibrate, soppesate, valutate e rivalutate, a livello nazionale e territoriale.
Perché, allora, per gli anziani “contenuti” nelle RSA, no?
Perché no?
Qui non interessano i profili di responsabilità penale, amministrativa, disciplinare, che, certo, dovranno essere accertati da chi di competenza, sempre che non risultino parte di una aggrovigliata moltitudine, di difficile decifrazione nella attribuzione delle singole condotte e mancanze.
Tutto quel che qui si vorrebbe è una risposta al perché.
E più si riflette e più si giunge alla conclusione che una risposta, nella direzione e nel senso ricercati, non ci sarà. E non ci sarà per il semplice  motivo che non può esserci.
È, infatti, una risposta che attiene alle coscienze, giacché l’aspetto che non concerne la giustizia degli uomini e, anzi, la trascende, è qualcosa di ontologicamente tremendo: è il volto brutale di una tragedia nella tragedia, si vorrebbe dire di “uomini e no, di uomini contro” ma ci si ritrae atterriti e si rifiuta siffatta immagine.
In fondo, fanno molti più danni le insipienze, i pensieri deboli, le incapacità, le mediocrità che non qualsivoglia altra causa. È per questo che il perché, oggetto di queste considerazioni, rimarrà a galleggiare nel vuoto, povero interrogativo condannato a restare solo con sé stesso: troppo ambizioso, per non essere confinato, tout court, nella sfera della metafisica.
Ai morti, vittime innocenti anche di quanto si doveva fare, di quanto si doveva saper fare, non resta nemmeno l’omaggio di un funerale, come a tutti gli altri assassinati dal virus. Epperò, questi sono morti particolarmente inermi, indifesi, perché non hanno avuto neppure una minima possibilità di provare a mettersi in salvo.
Non resta che, nel rivolgere loro una commossa parola ispirata alla píetas, indirizzare ai vivi – quali che siano le colpe di taluni e l’indifferenza di altri – un monito antico: “parce, parcite sepultis”.

Dott. Gustavo Cioppa

18 Aprile 2020

Fonte: http://www.ilticino.it/2020/04/18/il-dramma-delle-case-di-riposo-interviene-gustavo-cioppa/

Inchiesta sulle tangenti nella sanità, archiviate le accuse all’ex procuratore di Pavia Gustavo Cioppa

Il magistrato in pensione era finito nelle indagini sulle tangenti al Pini e al Galeazzi quando era diventato sottosegretario alla presidenza della Regione con la giunta Maroni. La richiesta di archiviazione fatta dalla procura

Sono state archiviate le indagini nei confronti dell’ex procuratore della Repubblica di Pavia, Gustavo Cioppa, indagato nell’aprile 2018 per favoreggiamento e abuso di ufficio nell’ambito delle indagini sugli illeciti nel settore della sanità lombarda in relazione agli ospedali Gaetano Pini e Galeazzi. Il giudice per le indagini preliminari ha accolto la richiesta del pubblico ministero Eugenio Fusco, dichiarando insussistenti i presupposti per promuovere un’azione penale nei confronti dell’allora sottosegretario alla presidenza della Regione Lombardia durante la giunta presieduta da Roberto Maroni.

Nell’inchiesta, coordinata dai pm Fusco e Letizia Mannella, si parlava dei rapporti tra Cioppa e il primario del Cto-Pini Giorgio Maria Calori, arrestato nel 2018. Il gip scrisse che il magistrato in pensione “è apparso una sorta di referente e portavoce negli ambienti della Regione degli interessi di Calori e, di conseguenza, dei soggetti a lui vicini (pubblici e privati) risultati implicati a tessere la medesima trama affaristica”. A un anno e mezzo da quelle parole, la posizione di Cioppa, che tra i tanti casi seguiti nella sua carriera si è occupato anche dell’omicidio del magistrato Bruno Caccia è stata archiviata. 

“Sono molto soddisfatto perché si è finalmente conclusa una vicenda una vicenda che mi ha profondamente ferito – ha commentato all’Ansa Gustavo Cioppa – Sono stato un uomo al servizio delle istituzioni per oltre cinquanta anni e l’essere stato giudicato completamente estraneo ai fatti di indagine è per me motivo di grande soddisfazione e rafforza la mia fiducia nelle Istituzioni tutte e nella magistratura in particolare, che ho sempre servito con impegno e lealtà”. Negli anni di lavoro a Pavia, Cioppa si è occupato anche dell’omicidio architettato da Carlo Lissi, che uccise moglie e due figli nella propria villetta di Motta Visconti (Pavia); e anche della morte del fotogiornalista Andrea Rocchelli, ucciso da un colpo di mortaio in Ucraina. Un caso internazionale che si è concluso il 12 Luglio 2019 con la sentenza della Corte d’Assise, che ha condannato a 24 anni Vitaly Markiv.

21 novembre 2019

Fonte: https://milano.repubblica.it/cronaca/2019/11/21/news/pavia_ex_procuratore_gustavo_cioppa_archiviata_indagine_favoreggiamento_abuso_ufficio_sanita_-241550217/

Da Milano alla Giordania nasce il network mondiale del Giardino dei Giusti: in rete ce ne sono ottanta

Gli obiettivi: combattere l’odio, annullare le divisioni tra le nazioni e istituire la Giornata internazionale dei Giusti dell’umanità. La nostra città in prima linea con il Parco Monte Stella

Un grande giardino della memoria per unire tutti i soggetti impegnati nella diffusione del messaggio dei Giusti. È l’obettivo del network creato da Gariwo (il Comitato per la Foresta dei Giusti) tra ottanta Giardini dei Giusti in tutto il mondo (70 in Italia e 10 divisi tra Giordania, Armenia, Russia, Israele, Tunisia, Polonia e Usa). Annunciato durante il primo incontro internazionale alla Fondazione Cariplo di Milano, il progetto si pone l’obiettivo di combattere la cultura dell’odio, il terrorismo fondamentalista e di promuovere l’accoglienza dei migranti in linea con i valori dei Giusti.

Nel 2017 è stata firmata, in primis dal sindaco Giuseppe Sala oltre che da molte personalità italiane e internazionali, la Carta delle responsabilità 2017 e Gariwo si sta impegnando per istituire, anche attraverso l’approvazione di una legge, la Giornata in memoria dei Giusti dell’umanità.

L’amministrazione di Milano, ha detto la vicesindaco Anna Scavuzzo, “vuole tradurre in pratica i valori di giustizia, pace e parità di diritti che la Carta evidenzia. Valori che coinvolgono tutti, nessuno escluso. Milano ha fatto dell’accoglienza, della tolleranza e della solidarietà la sua cifra, tratti distintivi che abbiamo il dovere di coltivare. Il Giardino dei Giusti è una realizzazione concreta di questo spirito”.

Una risposta concreta alle nuove ineguaglianze e chiusure, per Gabriele Nissim, presidente di Gariwo, il fine è quello di ”creare sinergie e risvegliare le coscienze di fronte ai problemi del nostro tempo. La rete dei Giusti in Italia e nel mondo può svolgere un grande lavoro di educazione”.

Il sottosegretario alla presidenza della Regione Lombardia, Gustavo Cioppa, afferma che “è importante salutare con entusiasmo il lancio di un network che si propone come strumento per divulgare la voce dei Giusti nel mondo, distribuendo per ogni dove l’eco di lingue, culture, civiltà, il cui comune denominatore sia la giustizia”.

16 novembre 2017

Fonte: https://milano.repubblica.it/cronaca/2017/11/16/news/giardini_giusti_gariwonetwork_milano_memoria-181265362/?ref=search

Sgozzò la moglie e i figli: «Voglio lo sconto di pena»

Rito abbreviato e perizie, il padre-omicida di Motta Visconti fa di tutto per evitare l’ergastolo. La suocera: «Deve soffrire»

MilanoRito abbreviato per Carlo Lissi, il giovane che la scorsa estate sgozzò moglie e due figli, per essere libero di vivere senza il fardello della famiglia.

L’ha deciso ieri il gip di Pavia Luisella Perulli, accogliendo la richiesta del suo legale Corrado Limentani, teso a scongiurare l’ergastolo e puntare a una condanna a 30 anni. Che potrebbero scendere ulteriormente se la perizia psichiatrica, disposta sempre ieri dal magistrato, dovesse confermare il suo «vizio di mente». Accertato per ora solo dagli psichiatri della difesa. Una possibile clemenza non certo condivisa dalla suocera Giuseppina Radaelli: «Non perdono e non perdonerò mai chi ha ucciso mia figlia e i miei due nipoti. Da questo processo chiedo solo giustizia: deve restare in carcere a soffrire, così come ha fatto soffrire noi».

Carlo Lissi, 31 anni, ieri ha preferito non presentarsi in aula, come non sarà presente il 14 maggio quando il gip assegnerà l’incarico ai periti per capire la «capacità di intendere» del giovane tecnico informatico. «Ma il signor Lissi sarà comunque presente in una delle prossime udienze, per raccontare quanto è successo – hanno garantito i suoi avvocati -. È molto afflitto per quanto è successo e disposto a espiare la giusta pena per le sue responsabilità». Pena che potrebbe fermarsi a 30 anni, e forse scendere se appunto gli fosse riconosciuto il «vizio di mente». Diagnosi che potrebbe meglio spiegare perché la sera del 14 giugno 2014 l’uomo ha ucciso a coltellate la moglie Maria Cristina Omes, 38 anni, e i due figli Giulia, 5 anni, e Gabriele, 20 mesi. Disarmante la motivazione: «Ero innamorato di Maria, una mia collega di lavoro, tra noi non c’è mai stato nulla, non intendeva tradire il fidanzato. Ma io avevo perso la testa per lei, anche perché ero stanco di mia moglie: essendo più grande di me comandava lei in casa. Tanto che avevo già avuto in passato un paio di relazioni extraconiugali».

La famiglia come una gabbia da cui uscire in qualche modo. Lissi pensa alla separazione, ma alcuni amici gli spiegano come sia un passaggio duro tra procedure giudiziarie e alimenti da pagare. Senza contare che avrebbe dovuto affrontare anche genitori e suoceri. Però quella sera di giugno confessa il suo amore per Maria alla moglie, ne nasce un violento litigio. Lei lo accusa, lo insulta. Lui afferra un coltello e inizia a colpire, mentre lei tenta di fuggire gridando «no, no» e chiedendo «perché, perché?». Dopo la moglie, i figli. Ancor più agghiacciante la spiegazione: «Non riesco a capire bene neppure io perché l’abbia fatto. Forse perché temevo che avrebbero sofferto troppo senza madre ne padre». Dopo il delitto l’idea di suicidarsi, subito scartata. Simula invece l’azione di una banda di rapinatori e svuota la cassaforte dei gioielli della moglie. Poi, per crearsi un alibi, va al bar a vedere la partita Italia-Inghilterra. «Normalissimo» racconteranno gli amici con lui davanti al televisore. La versione della rapina finita male regge appena 24 ore poi, incalzato dal procuratore capo di Pavia Gustavo Cioppa e dal sostituto Giovanni Benelli, crolla e confessa tutto.

Ieri il primo passo di un processo destinato non certo a stabilire la sua colpevolezza, ma solo l’entità della pena. Con la possibilità di evitare l’ergastolo tra l’abbreviato e una perizia psichiatrica favorevole. Eventualità che fa infuriare la mamma di Maria Cristina: «Deve restare in carcere e soffrire come ha fatto soffrire noi».

Enrico Silvestri – Mer, 22/04/2015

Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/politica/sgozz-moglie-e-i-figli-voglio-sconto-pena-1119216.html

Cerimonia di inaugurazione anno giudiziario 2017 della Corte dei Conti Sezione Lombardia

Il Sottosegretario Cioppa ha partecipato alla cerimonia di inaugurazione  dell’anno giudiziario 2017 della Corte di Conti sezione Lombardia.

Anche quest’anno la Corte ha dato atto dell’intensa e proficua attività svolta e degli importanti risultati raggiunti, nonostante le difficoltà derivanti dalle carenze in organico ed al sempre maggior carico di lavoro.
 

La Corte dei Conti costituisce un ausilio ed un supporto fondamentale per le nostre amministrazioni. Regione Lombardia ha consolidato nel corso degli anni un rapporto di leale, piena e proficua collaborazione, istituzionale e tecnica, con questa Corte.
Regione e Corte dei Conti viaggiano sullo stesso binario e con un obiettivo comune: garantire ai cittadini della nostra Regione un’amministrazione
sana, efficiente e trasparente.


Anche grazie alla collaborazione ed all’ausilio fornito dalla Corte, questa amministrazione regionale è riuscita, nonostante il contesto economico non favorevole e la sempre maggior contrazione delle risorse disponibili, ad ottenere e poi a mantenere indicatori brillanti nella gestione finanziaria e negli investimenti, come riconosciuto dalla stessa Corte anche nell’ultimo giudizio di parifica.

E’ dovere istituzionale e morale di ogni amministratore e di ogni funzionario adempiere al proprio mandato nel rispetto dei principi di legalità, etica pubblica, integrità e trasparenza. Le vicende di cronaca ci insegnano che, fermi gli sforzi per implementare i controlli e le azioni di sistema, non possiamo e non dobbiamo abbassare la guardia nella lotta all’illegalità e, anzi, dobbiamo ricercare sempre nuovi strumenti e soprattutto mantenere una stretta collaborazione tra le Istituzioni deputate ed impegnate, ciascuna nel proprio ambito di competenza, a contrastare il malaffare. Il dialogo e la collaborazione tra le Istituzioni sono un elemento fondamentale”.

Non possiamo che augurare buon lavoro ai magistrati ed a tutti i funzionari della Sezione regionale della Corte dei Conti e porgere il più sentito ringraziamento per l’importante compito che ogni giorno svolgono con serietà, equilibrio e determinazione.

Ultimo aggiornamento 17/02/2017

Fonte: https://www.regione.lombardia.it/wps/portal/istituzionale/HP/istituzione/Agenda/DettaglioEvento/servizi/Cittadini/diritti-e-tutele/accesso-agli-atti-trasparenza-e-privacy/annogiudiziario/annogiudiziario

Grande Guerra e vittoria nella memoria nazionale

Il Sottosegretario alla Presidenza Gustavo Cioppa partecipera’ al secondo di un ciclo di incontri dedicato alla celebrazione del centenario della Grande Guerra, promosso dal comandante della Prima Regione Aerea Settimo Caputo e dal presidente dell’Unuci di Milano Mario Sciuto.

Ultimo aggiornamento 22/02/2017

Fonte: https://www.regione.lombardia.it/wps/portal/istituzionale/HP/istituzione/Agenda/DettaglioEvento/servizi/Cittadini/cultura/musei-ed-ecomusei/convegno3/convegno3

EDUCAtaMENTE verso la legalita’

Il Sottosegretario alla Presidenza Gustavo Cioppa partecipera’ all’apertura dei lavori del Festival della Legalità “EDUCAtaMENTE verso la legalita’”. L’importante iniziativa si terra’ a Brescia, da giovedi’ a sabato,  e offrira’ un momento di riflessione sui temi della legalita’, dell’Etica e dell’Antimafia.

Ultimo aggiornamento 01/03/2017

Fonte: https://www.regione.lombardia.it/wps/portal/istituzionale/HP/istituzione/Agenda/DettaglioEvento/servizi/Cittadini/diritti-e-tutele/accesso-agli-atti-trasparenza-e-privacy/EDUCAtaMENTE/EDUCAtaMENTE

Un’aula per ricordare Falcone

Maroni intitola al magistrato una sala di Palazzo Lombardia

Sala ambasciatori, all’undicesimo piano di Palazzo Lombardia è dedicata a Giovanni Falcone e a «tutti i martiri della legalità». Ieri pomeriggio, in occasione dell’anniversario delle strage di Capaci del 1992, in Regione si è tenuta una breve cerimonia durante la quale il presidente della Regione Roberto Maroni ha scoperto la targa assieme al sottosegretario alla presidenza con delega alla legalità, Gustavo Cioppa, che nella sua attività di magistrato ha conosciuto personalmente Falcone e ne ha voluto tracciare un ricordo. «Un uomo eccezionale che ha segnato la storia della magistratura – ha detto Cioppa – con grande equilibrio e grande tratto umano e da cui tutti noi magistrati ed ex magistrati abbiamo qualcosa da imparare». Maroni, che con l’iniziativa ha voluto a nome della Regione rendere omaggio a Falcone nel 24esimo anniversario della morte, ha invece ricordato come la legge sul sequestro dei beni alla criminalità organizzata che promosse da ministro dell’Interno sia partita proprio da una proposta di Falcone, cioè quella di distinguere «la sorte del mafioso da quella del suo patrimonio». «Da ministro dell’Interno – ha ricordato Maroni – ho lavorato prendendo una sua proposta rimasta nel cassetto per molti anni, trasformandola in legge». Prima di questa legge, ha osservato il governatore, «non veniva fatta questa distinzione, quindi se il mafioso moriva in carcere o non veniva più considerato pericoloso, il patrimonio sequestrato veniva restituito. Oppure il mafioso intestava i suoi beni ai nipoti, che non essendo considerati pericolosi, impediva il sequestro e la confisca. La distinzione fra le misure di prevenzione personali da quelle patrimoniali ci consentì di triplicare nel giro di due anni i patrimoni sequestrati e poi confiscati alla criminalità organizzata».

Redazione – Mar, 24/05/2016

Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/milano/unaula-ricordare-falcone-1262827.html