Mamma sgozzata con i suoi due bambini

Tre corpi straziati in casa da colpi di coltello e la quiete di un paese sconvolta dalla tragedia di una famiglia distrutta. La mamma, Maria Cristina Omes, 38 anni, riversa nel soggiorno. Colpita tre volte dalla punta di una lama. «Ferite brutte, inferte con accanimento» spiegano gli inquirenti. La figlia Giulia, che avrebbe compiuto 5 anni il prossimo 25 agosto, con la gola tagliata nella sua cameretta mentre il fratellino Gabriele, 20 mesi, anche lui colpito al collo, preso in braccio e dopo il fendente appoggiato sul materasso del letto matrimoniale. Triplice omicidio, secondo i carabinieri di Abbiategrasso che indagano dalla notte di sabato, subito dopo la partita dell’Italia con l’Inghilterra, con i colleghi del nucleo investigativo di Milano, coordinati dal procuratore capo di Pavia, Gustavo Cioppa, e dal suo sostituto Giovanni Benelli. La tragedia è avvenuta a Motta Visconti. E gli inquirenti, che comunque non escludono nessuna ipotesi, hanno sentito per ore, anche nella notte, il marito della donna e padre dei due bambini, Carlo Lissi, 32 anni, informatico. È stato lui a dare l’allarme. Sabato notte, rientra a casa e scopre il massacro dopo aver visto la partita dell’Italia al Mondiale nella casa vicina di un amico, con altre 13 persone. Sono tutti testimoni concordi nel riferire che Carlo Lissi era con loro, che era arrivato alle 23,30 ed «era tranquillissimo ». Lissi telefona al 118 alle 2,10. Ma tra le sirene e i lampeggianti che svegliano il quartiere sotto shock, compaiono anche alcuni dei vicini di casa della coppia che riferiscono che loro avevano sentito Maria Cristina gridare. Qualcuno racconta che tra lei — che lavorava per la Sai Assicurazioni, era stata anche volontaria alla Croce Rossa e partecipava alle attività teatrali all’oratorio — e il marito negli ultimi mesi qualcosa non funzionasse. Si erano sposati sei anni fa, «ma adesso si stavano separando», dicono in paese. Una vicina dice di averla sentita urlare: «No! I figli no!».

L’ultima villetta angolare col giardino in via Ungaretti per la nuova famiglia coi bambini era l’immagine del posto dove si poteva stare bene. Maria Cristina l’anno scorso col marito e amici aveva risistemato il giardino, messo l’altalena per i bimbi, fissato un gazebo sul retro. Gli inquirenti, a ieri sera, erano alla ricerca di riscontri sulla prima ipotesi: quella del triplice omicidio in famiglia. «Diversi aspetti vanno chiariti, non ci sono indagati» sottolinea il procuratore capo di Pavia. Mentre il sindaco di Motta Visconti, Primo De Giuli, avvalora l’ipotesi rapina: «Nella zona la delinquenza si sta accanendo, furti e rapine sono all’ordine del giorno e non ci sono telecamere». Manca ancora l’arma dei delitti. Questa mattina nella villetta arriveranno anche i Ris di Parma per ulteriori analisi.

Simone Bianchin

16 giugno 2014

Fonte: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/06/16/mamma-sgozzata-con-i-suoi-due-bambiniil-marito-trova-i-corpi-interrogato-per-ore20.html?ref=search

Lissi cambia strategia e non risponde al pm ora la difesa punta sull’infermità mentale

OGGI il gip Annamaria Oddone deciderà se convalidare il fermo di Carlo Lissi. Lui, ieri, si è avvalso della facoltà di non rispondere mentre in serata, a Motta Visconti, tanta gente è scesa in strada per una fiaccolata in memoria di Maria Cristina Omes, che aveva 38 anni ed è stata colpita da sei coltellate – quattro al collo, una al torace e una a un braccio – e dei suoi bambini Giulia, di quattro, e Gabriele, venti mesi, entrambi colpiti una volta al collo secondo i risultati dell’autopsia all’Istituto di medicina legale di Pavia. Non ha risposto, Lissi, eppure nella caserma dei carabinieri in paese, domenica sera, aveva smesso di mentire arrendendosi davanti ai tanti gravi indizi che portavano tutti a lui, sentendosi incastrato dall’urlo di sua moglie riconosciuto dalla vicina di casa, dalle dichiarazioni dei suoi amici tutti stupiti della sua scelta di andare a vedere la partita dell’Italia con loro invece di restare a casa. Non lo aveva mai fatto, proprio per stare con la sua famiglia, hanno spiegato. Aveva iniziato a confessare tutto agli inquirenti premettendo di volere per sé «il massimo della pena». Invece, l’avvocato che adesso lo difende, Corrado Limentani, molto probabilmente chiederà per lui una perizia psichiatrica «per capire cosa è successo nella sua mente, cosa non gli ha impedito di realizzare il pensiero di uccidere i suoi cari». La strategia difensiva metterebbe in dubbio la confessione resa da Lissi nella caserma dei carabinieri, che ha portato al suo fermo. Il presupposto è che quelle “dichiarazioni spontanee” siano state rese in uno stato di «assoluta confusione mentale» che non avrebbe consentito di rispecchiare ancora la realtà. Spiega l’avvocato che Lissi «è tuttora sotto shock, assistito da uno psichiatra. Sono tre giorni che piange, piano piano sta realizzando cosa è successo: si è avvalso della facoltà di non rispondere proprio perché non ha ancora la lucidità per spiegare i fatti».

La sua ricostruzione, nella quale ha spiegato il movente dicendo che non era più felice con sua moglie e che voleva chiudere la relazione liberandosi di tutto e di tutti, combacia con i riscontri sulla scena del crimine. Lissi ha detto cose che solo l’assassino poteva sapere. La successiva messinscena della rapina è chiara anche perché lui crea senza logica un disordine diffuso in casa: apre la cassaforte con combinazione a 6 cifre, butta per terra un quadro e per aria una cassettiera della sala da pranzo, rovescia le borse di sua moglie lasciando un portafoglio rosso sul tavolo con all’interno una banconota da 50 euro, abbatte un mobiletto, rovescia dei giocattoli e poi la biancheria in camera senza aprire anche gli armadi.

La scena nella villetta si presentava terribile agli inquirenti, tanto che il procuratore capo di Pavia, Gustavo Cioppa, vuole ringraziare i carabinieri che «pur gravati da forti sensazioni a livello emotivo sono stati bravissimi. Hanno saputo fare il proprio dovere con padronanza della situazione».

Sabato a Motta Visconti sarà lutto cittadino per gli ottomila residenti, in tanti già scesi per le strade ieri sera per una fiaccolata in memoria delle vittime. Alle 10 i funerali saranno celebrati dal parroco don Gianni Nava nella chiesa di San Giovanni Battista, dove Carlo e Maria Cristina si erano conosciuti anni fa, quando lei faceva l’animatrice e cantava nel coro mentre lui giocava nella squadra di pallavolo dell’oratorio. Tutte attività passate, finite dopo la nascita della prima bambina, Giulia. La parrocchia ieri ha ricevuto dalle segreterie del Papa e del cardinale Scola un messaggio da girare alle famiglie di Carlo e Maria Cristina: «Il Papa e l’arcivescovo — spiega don Gianni Nava — hanno fatto sapere che pregano e sono vicinissimi alle famiglie sconvolte da questo tragico avvenimento che segna tutta la nostra comunità che vive questo sconforto e dolore ». Don Gianni, che aveva conosciuto Carlo e Maria Cristina l’anno scorso in occasione del battesimo del piccolo Gabriele, ha già incontrato i genitori di Carlo Lissi, Francesco e Pia. Anche loro frequentano la parrocchia, fanno i volontari: «Sono distrutti. Non pensavano di avere un figlio capace di fare una cosa del genere. Lui si era tenuto tutto dentro, non si era mai confidato. Li ha sconvolti. Io ho detto loro che appena ci saranno le condizioni intendo andare a trovare Carlo in carcere».

Oltre all’accusa di triplice omicidio volontario della moglie e dei due figli, la procura individua pesantissime aggravanti che configurano l’ergastolo, come la “minorata difesa” per le vittime (nessuna poteva difendersi, anche se la moglie aveva tentato di scappare dopo la prima coltellata) e la premeditazione. Oggi nella villetta sopralluogo dei Ris, mentre i carabinieri sentono ancora i conoscenti di Lissi.

Simone Bianchin

19 giugno 2014 

Fonte: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/06/19/lissi-cambia-strategia-e-non-risponde-al-pm-ora-la-difesa-punta-sullinfermita-mentaleMilano07.html?ref=search

Pavia, ucciso dal digiuno in cella c’è un altro medico indagato

PAVIA – C’ è un terzo indagato, nell’ inchiesta per la morte del detenuto tunisino al carcere di Pavia. È la psichiatra dell’ ospedale San Matteo di Pavia: il primo settembre rifiutò il trattamento sanitario ospedaliero proposto dal direttore sanitario dell’ istituto penitenziario nei confronti di Sami Ben Garci Mbarka che era già in sciopero della fame,e parzialmente anche della sete, da un mese e mezzo. Nel referto – dove confondendosi scrive che il paziente è «in sciopero della fame dal 17 agosto», mentre in realtà l’ astensione era cominciata un mese prima – dice che il paziente è «lucido». E aggiunge che «il rifiuto delle cure proposte pare manipolatorio e finalizzato a ottenere vantaggi secondari non specificati». Quindi: «Non sussistono allo stato elementi psicopatologici di rilievo né estremi per un Tso». Il giorno dopo, invece, il ricovero ci fu. Ma la salute di Mbarka era già compromessa e tre giorni dopo il detenuto morì. Oltre alla psichiatra sono indagati la direttrice dell’ istituto penitenziario, Iolanda Vitale, e il direttore sanitario del carcere, Pasquale Alecci, che ieri si è difeso così: «Cos’ avrei dovuto fare di più? Più che sottoporlo giornalmentea colloquio psichiatrico in istituto e a colloquio psichiatrico in ospedale, più che chiedere il ricovero? Se lo psichiatra dice: “Non vi sono gli estremi per un Tso perché è capace di intendere e di volere”, noi non abbiamo i mezzi per poter fare altro». Alecci assicura che la morte di Mbarka gli «pesa come un macigno». E lancia anche un allarme: «C’ è il rischio elevato che ci possano essere episodi di emulazione da parte di altri ristretti. E la norma giuridica non ti dà indicazioni chiare su come bisogna comportarsi. Se si dovesse presentare di nuovo un caso del genere che cosa bisogna fare?». Il procuratore capo di Pavia, Gustavo Cioppa, invita alla prudenza: «È un caso complesso, una morte che desta molte preoccupazioni perché non riguarda un cittadino libero. Per questo abbiamo nominato come periti tre specialisti di altissimo livello. Aspettiamo l’ esito della perizia prima di trarre conclusioni».

DAVIDE CARLUCCI

16 novembre 2009

Fonte: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/11/16/pavia-ucciso-dal-digiuno-in-cella.html?ref=search

Amsa compie 110 anni e festeggia con 15 mila cestini intelligenti

Tra pochi giorni partirà una nuova campagna con protagonisti i netturbini. E Milano dà l’esempio a New York e Tokyo

I milanesi litigano con l’acronimo Amsa, ma sono contenti dei servizi offerti da questa azienda (del Gruppo a2a) che per celebrare i suoi 110 anni ha inviato il conduttore Max Laudadio per strade e mercati a sondare l’umore dei cittadini. Su quell’acronimo però sono scivolati in parecchi. Poco importa. Per conoscere il modello operativo dell’Azienda Milanese Servizi Ambientali si sono mossi americani e giapponesi perché anche metropoli come New York e Tokyo hanno qualcosa da imparare da una realtà in formato più mignon come Milano, ma ambiziosa al punto da essere già una smart city da competizione. “È fiore all’occhiello dell’Italia” dice Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera nell’introdurre un compleanno speciale. Corriere e Amsa, 140 anni di vita il primo, 110 la seconda, realtà cresciute con questa città che strizza l’occhio all’innovazione e al rigore dei suoi operatori. E Valerio Camerano, ad del Gruppo a2a, lo evoca con un aneddoto. 

“Ma lei sa come sono quelli dell’Amsa? Me lo ha chiesto la portinaia, sbucata di sera dal buio, quando per errore stavo gettando dei rifiuti nel contenitore sbagliato. Ho risposto: “No”. E lei ha ribattuto: “Sono terribili””. Questione di educazione civica, e anche di rispetto da parte dei cittadini per quegli operatori “di cui si sente parlare solo quando ci sono problemi”, dice il direttore operativo Mauro De Cillis. E allora come farli conoscere? Attraverso una campagna pubblicitaria che partirà tra qualche giorno sui 1400 automezzi dell’Amsa stessa e li vedrà, uomini e donne con le loro divise addosso, promuovere il messaggio “La mattina presto sei bellissima da 110 anni”. Una città a cui piace la sua immagine e pensa a come migliorarla. Presto arriveranno 15 mila cestini intelligenti “con sensori che rileveranno il livello di reimpimento – dice Camerano – Questa informazione verrà collezionata da una unità centrale per velocizzare la raccolta dei rifiuti. Un esempio di tecnologia al servizio della città”. 

Milano è tra i leader europei per quanto riguarda la raccolta differenziata. “Nel 2017, la percentuale è stata del 54%, un risultato che fa del nostro capoluogo la prima città europea sopra il milione di abitanti a superare il 50 per cento di raccolta differenziata ed una delle migliori in assoluto insieme a Vienna”, quantifica De Cillis, volgendo lo sguardo al 2020, con l’obiettivo di toccare quota 60%. “Amsa ha saputo sviluppare con intelligenza il sistema di raccolta porta a porta e ha accompagnato i cittadini in un percorso di sempre maggior sensibilità ambientale”, dice il sindaco Giusepe Sala in un messaggio. E Camerano ricorda che la città dispone di un termovalorizzatore che fornisce energia a 147 mila famiglie. La prossima scommessa sarà “creare una piattaforma economica circolare per il trattamento dei rifiuti”, dice in un video il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. Una filiera che partendo dalla prevenzione, passa al recupero della materia e dell’energia, e allo smaltimento. 

Per Massimo Granelli, assessore alla Mobilità e Ambiente del Comune “Milano offre l’immagine di una città in cui ogni giorno si riversano migliaia di persone e sa come competere, grazie anche a operatori che sanno dialogare sia con l’anziano sia con chi è appena arrivato e non sa parlare la nostra lingua”. “Milano anticipa i tempi, esempio che insieme si può lavorare bene – ribatte Gustavo Adolfo Cioppa, sottosegretario alla Presidenza in Regione Lombardia – Infatti, sa ospitare un napoletano come me”.

Lorenza Cerbini

7 dicembre 2017 (modifica il 7 dicembre 2017 | 12:38)

Fonte: https://www.corriere.it/tecnologia/provati-per-voi/17_dicembre_05/amsa-compie-110-anni-festeggia-15-mila-cestini-intelligenti-0dc67368-d9ec-11e7-b304-2de4b8890db8.shtml

Consegnate a 141 dipendenti le Stelle al Merito del Lavoro

Al tradizionale incontro hanno presenziato Roberto Maroni e Gustavo Cioppa per la Regione. Il governatore: «La crisi K-Flex? Intervenga il governo». Lettera e appello anche della Camusso sulla multinazionale di Roncello

«Sono orgoglioso di partecipare a questa cerimonia di consegna delle Stelle al Merito del Lavoro, un’antica onorificenza istituita nel 1898, che viene conferita a 141 lavoratori dipendenti che prestano o hanno prestato servizio nel nostro territorio regionale». Lo ha spiegato il sottosegretario alla presidenza della Regione Lombardia, Gustavo Cioppa, a margine della cerimonia di lunedì per le Stelle al Merito del Lavoro a cui è intervenuto assieme al presidente Roberto Maroni. «L’importanza del lavoro, sancita anche dalla nostra Carta Costituzionale – ha sottolineato il sottosegretario – viene testimoniata dai profili dei premiati». Anche quest’anno, ha continuato, «vengono premiati lavoratori contraddistintisi per particolari doti di perizia, laboriosità e buona condotta morale. Proprio questi valori, che stanno alla base di una condotta di vita e di lavoro corretta, devono essere tutelati e promossi sia dalla società civile che dalle istituzioni». Il sottosegretario ha voluto anche ringraziare la prefetta Luciana Lamorgese «per l’impianto austero e, allo stesso tempo solenne, della cerimonia, a testimonianza dell’importanza attribuita dalle Istituzioni all’evento».

Il governatore Maroni

«In Lombardia abbiamo avviato tante iniziative importanti a sostegno del lavoro, ma ci dovrebbe essere una pressione fiscale più bassa ma questo non dipende da noi», ha tenuto a sottolineare il presidente Maroni. Sullo scenario dell’occupazione, poi, il governatore non ha nascosto che «ci sono anche diverse situazioni che preoccupano, come quello della K-Flex, su cui bisogna intervenire ed è il governo a doverlo fare. Ribadisco – ha aggiunto – bisognerebbe avere una pressione fiscale più bassa e incentivare le aziende a rimanere sul territorio e non delocalizzare. Anche questo è uno degli obiettivi che vogliamo raggiungere attraverso il Referendum sull’Autonomia del 22 ottobre». Poi sulla crisi di Alitalia ha aggiunto: «Non credo che la vicenda Alitalia possa rappresentare un freno per gli investitori e non penso che possa creare particolari problemi in Lombardia».

(LaPresse)Il caso K-Flex

E sul caso della K-Flex, a cui ha fatto riferimento il governatore lombardo, il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha indirizzato una lettera alle lavoratrici e ai lavoratori della Kflex, azienda del comparto della gomma-plastica di Roncello (Monza Brianza) che è in fase di delocalizzazione e che ha dichiarato 187 esuberi. Nella lettera Camusso si pone «a sostegno della loro lotta in difesa del posto di lavoro, iniziata il 24 gennaio scorso». «Sono ben consapevole che oggi per voi e per le vostre famiglie non è un giorno felice come invece dovrebbe essere. Lo ricorderete per quei telegrammi che la vostra azienda ha inviato proprio alla vigilia della festa del 1° maggio. La K-Flex, senza alcuna ragione, se non quella del profitto – ha scritto ancora il segretario della Cgil – ha deciso di trasferire in un altro Paese le produzioni che da sempre svolgeva in Italia. La Cgil farà di tutto perché si trovi una soluzione diversa. Faremo pressioni sul Governo, a cominciare dal Ministero dello Sviluppo Economico, perché finalmente si facciano seri provvedimenti sulle delocalizzazioni».

Redazione Milano Online

1 maggio 2017 | 13:27

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/17_maggio_01/consegnate-141-dipendenti-stelle-merito-lavoro-27742fe6-2e5f-11e7-8176-4e0249fd95d5.shtml?refresh_ce-cp

Tunisino espulso, si studiano i progetti e le coperture dell’uomo

La procura bresciana non chiude le indagini dopo l’allontanamento da Edolo di Nasreddine Ben Dhiab, 23enne tunisino che progettava attentati

«L’espulsione non significa conclusione degli accertamenti». È risoluto il procuratore generale di Brescia, Pier Luigi Maria Dell’osso, ripercorrendo l’ultima operazione antiterrorismo portata a termine nel Bresciano nella provincia di Brescia, con il fermo e il rimpatrio di Nasreddine Ben Dhiab, 23enne tunisino che progettava attentati e che con la famiglia abitava da anni a Edolo, in Valcamonica, evidenziando il lavoro ininterrotto che la Procura porta avanti insieme alle forze dell’ordine per prevenire situazioni pericolose e attentati di matrice islamica. Agenti della Digos di Brescia a Tunisi hanno consegnato il 23enne alle autorità locali che lo attendevano con un decreto di fermo che gli ha aperto le porte del carcere.

«Soggetto pericoloso»

«Il provvedimento amministrativo (il decreto di espulsione è stato firmato direttamente dal Ministro dell’Interno, Marco Minniti) è stato eseguito perché sono emersi elementi che hanno portato alla luce la pericolosità del soggetto – sottolinea il pg Dell’Osso – ma questo è solo l’ultimo di numerosi episodi che attestano una volta di più, come la Lombardia, e in particolare la Lombardia orientale, attragga l’interesse di soggetti, come quello espulso, che sono alla ricerca di contatti, incontri, relazioni, all’insegna della Guerra Santa». E l’episodio dei giorni scorsi a Sesto San Giovanni, con l’uccisione, in un conflitto a fuoco con la polizia italiana, di Amri, autore della strage del 19 dicembre a Berlino, ne è ulteriore prova, secondo il procuratore generale. Il distretto della procura di Brescia ha cominciato ad occuparsi di terrorismo nel 2003 con l’arresto di Mourad Trabelsi, allora imam di Cremona, accusato di far parte di un’organizzazione che progettava attentati alla metropolitana di Milano e al Duomo di Cremona, poi espulso nel 2008. Gli fa eco il Sottosegretario alla Presidenza della regione Lombardia, Gustavo Cioppa, già procuratore capo a Pavia, ritornando anche sui fatti di Istanbul, nei quali si è versato ancora una volta «sangue innocente, alimentando il clima di terrore. Le misure di controllo e lotta al terrorismo sono le più rigorose – continua Cioppa – vengono prese e rafforzate nella consapevolezza che devono ridurre il rischio, anche se da sole non bastano». Massima allerta, dunque, anche in provincia di Brescia, tenendo conto dei mutamenti del terrorismo, dalle Torri Gemelle a oggi, da Al Qaeda in poi. L’intento rimane immutato: diffondere la paura, «unica vera arma nelle mani dei massacratori jihadisti – afferma Dell’Osso – per questo serve adeguata capacità d’azione».

Attentati equiparabili a episodi di guerra

Il procuratore generale parla di attentati equiparabili a episodi di guerra, messi a segno in maniera così organizzata da permettere anche a una sola persona di compiere un massacro. Gruppi di terroristi disseminati in una galassia di correnti. Ma a contrastare questo pericolo in Italia c’è un sistema di intelligence «dalla capacità molto alta, e lo testimoniano le azioni compiute e a loro e alle forze dell’ordine, sempre in prima linea, va la riconoscenza di Regione Lombardia e del nostro paese – evidenzia ancora Cioppa che si augura nuovi orizzonti di pace per l’anno appena iniziato, stigmatizzando tutti gli episodi che hanno coinvolto persone innocenti. Fa appello a tutti quei valori su cui si fondano civiltà e democrazia. «Il terrorismo vorrebbe privacene e farci vivere sotto l’ incubo di una costante paura che qualcosa di grave possa accadere». E se da un lato si confida nell’intuito investigativo degli uomini dei servizi di sicurezza, dall’altro si esortato i cittadini a mantenere le proprie abitudini. «La nostra vittoria l’abbiamo già conseguita e continueremo a conseguirla soprattutto non facendoci privare della libertà di continuare a vivere serenamente la quotidianità».

Lilina Golia

3 gennaio 2017 | 10:30

Fonte: https://brescia.corriere.it/notizie/cronaca/17_gennaio_03/brescia-terrorismo-tunisino-espulso-si-studiano-progetti-coperture-dell-uomo-57c2a45a-d196-11e6-a55b-632cc5cf8e9f.shtml

Il suk degli ambulanti abusivi che unisce Brera e viale Monza

Un milanese su tre acquista merce falsa. Dal centro alla periferia, nelle fermate del metrò come nei mercati: ecco il network dei prodotti contraffatti. Confcommercio torna a denunciare il fenomeno: «Peso intollerabile, vita delle imprese a rischio»

Ci sono gli abusivi che soprattutto nelle giornate di pioggia ti aspettano all’ingresso delle fermate della metropolitana con una manciata di prodotti. Altri invece mettono in mostra tutta la loro mercanzia sui marciapiedi, su lenzuola o bancarelle più o meno stabili da far sparire alla prima avvisaglia di controlli. Ma i prodotti contraffatti si vendono anche, in alcuni casi, come documentano recenti indagini, nei negozi. Incrociare i falsi a Milano è facile. In centro e in periferia, sugli scaffali o nei mercati. Le segnalazioni di cittadini e imprenditori sono svariate: nella stazione di Cadorna come alla fermata Uruguay, nelle vie di Brera come sui marciapiedi di viale Monza, a Chinatown come nei mercati di via Kramer e di viale Papiniano. I prodotti falsificati non copiano però solo i marchi, ma imitano anche le strategie. Per il mondo del commercio la nuova strada è il web? Lo stesso vale per il mercato illegale: la contraffazione conquista spazi nel mondo virtuale.

Anche in questo campo è la legge del mercato a dominare: c’è un’offerta tanto massiccia e capillare perché esiste una domanda. E non di poco conto. Almeno se si guarda ai dati nazionali (il valore totale in Italia è stimato in 6,9 miliardi di euro all’anno e solo in Lombardia l’anno scorso sono stati sequestrati oltre 7 milioni di pezzi) e ai risultati del sondaggio «Vero o falso?», promosso da Confcommercio e presentato ieri in occasione della giornata di mobilitazione di categoria «Legalità, mi piace!». Nell’area metropolitana di Milano una persona su tre (il 37 per cento) ammette di aver acquistato almeno una volta una copia. E un milanese su quattro (il 23 per cento) confessa candidamente di averla comprata volontariamente. Le preferenze sono sempre le stesse: accessori moda, abbigliamento, libri, dvd, orologi, tecnologia, occhiali e gioielleria. I motivi? Domina, ovviamente, la convenienza, perché il fattore economico in tempi di crisi pesa, soprattutto sul portafogli. Anche i luoghi dove trovare prodotti contraffatti sono sempre quelli (dagli abusivi di strada e nei mercati alla spiaggia). La novità è rappresentata da Internet, indicato dall’11 per cento del campione formato da 710 persone tra semplici cittadini e imprenditori.

Sorprende invece che il 13 per cento degli intervistati sia disinteressato riguardo alla qualità del prodotto, a cui si aggiunge un sei per cento che pensa che tra «vero» e «falso» non ci sia poi questa gran differenza, e ancora uno 0,1 per cento che addirittura giudica migliore la copia rispetto all’originale. E se sui danni provocati dalla merce contraffatta c’è consapevolezza — le persone concordano sul fatto che alimenti la criminalità, che possa provocare danni alla salute e che di certo penalizza l’economia sana — sul fronte delle contromisure le posizioni sono meno nette. Tutti favorevoli (l’89 per cento) a perseguire i produttori e venditori. Ci si spacca a metà invece sulle responsabilità dell’acquirente, che solo una maggioranza risicata (il 57 per cento) sanzionerebbe.

«Contraffazione e abusivismo sono pesi supplementari — spiega Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio — che penalizzano la vita delle imprese. In tempi di difficoltà economiche questi pesi diventano intollerabili. Il pericolo è che queste attività illegali vengano considerate a lungo andare un mercato parallelo conveniente e accettabile. Sappiamo invece che rappresentano una minaccia per la salute dei consumatori, danneggiano l’economia sana e sono la terza fonte di finanziamento della criminalità organizzata». Commenta Gustavo Cioppa, sottosegretario di Regione Lombardia: «Alimentare i mercati irregolari è una scelta irresponsabile per i singoli e per la collettività. Sono fenomeni che devono essere combattuti con forza dalle istituzioni, dalla categoria e dagli stessi consumatori».

Pierpaolo Lio

23 novembre 2016 | 07:37

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/16_novembre_23/suk-ambulanti-abusivi-che-unisce-brera-viale-monza-contraffazione-falsi-c2f80cdc-b144-11e6-aca9-06f7502f8eb7.shtml

Elena, tornata dal coma: «Dopo dieci mesi mi riprendo la vita»

La consigliera comunale del Pd investita a Pavia il 12 novembre è tornata al lavoro. È costretta a usare il deambulatore per muoversi. «La strada è ancora lunga»

Bisogna dosare le forze. Ed è una lotta quotidiana con la testa che corre al lavoro, al ritorno alla guida della commissione Servizi sociali e la voglia di partecipare alla seduta del Consiglio comunale di giovedì prossimo. Ma le gambe sono segnate da quasi 250 giorni d’ospedale, e serve un deambulatore per sorreggere lo sforzo dei muscoli, e poi la voce è ancora incerta dopo le operazioni al viso e alla mandibola. Ma Elena è lì, con un golfino rosa e i capelli biondi soltanto un po’ più corti. Pronta a riprendersi questi dieci mesi di vita: «Voglio tornare a occuparmi della città – racconta -, ringrazio tutti della vicinanza è stato fondamentale, ma ora voglio riprendere la mia vita, anche se la strada è poco facile e lunga». È un mezzo miracolo, anche se la testa e lo spirito vorrebbero essere già a cento all’ora. Ma no Elena, bisogna dosare le forze. Lo ripetono gli amici che da quel 12 novembre di un anno fa non hanno mai smesso di starle vicino, al Niguarda di Milano, al San Matteo e al Mondino durante la riabilitazione. Sono 309 giorni dalle sette di sera di quel mercoledì quando Elena Maria Madama, 27 anni, praticante legale e consigliere comunale del Partito democratico di Pavia, viene travolta da un’auto rubata e trascinata per 700 metri sui masselli di Strada Nuova, il cardo della Ticinum romana.

Il lungo applauso

Alla guida della Opel Insigna bianca rubata nel Milanese c’è un ragazzo moldavo quasi coetaneo di Elena, Radion Suvac. È sospettato di far parte di una banda che ricetta navigatori satellitari. Viene catturato dopo sei mesi di caccia in giro per l’Europa, grazie alle indagini coordinate dal procuratore capo di Pavia, Gustavo Cioppa, e del sostituto Mario Andrigo. Manca un complice e l’inchiesta continua per mettere in fila tutti i tasselli in attesa della richiesta di rinvio a giudizio. Giovedì Elena è tornata a Palazzo Mezzabarba. Nella sala Grignani ha presieduto per la prima volta dopo l’incidente la commissione Servizi sociali. Ad accoglierla un lungo applauso, dopo un calvario durato dieci mesi. «Devo ringraziare i miei genitori, Enrico il mio fidanzato, e i miei familiari e amici che non mi hanno mai lasciato sola. E anche i colleghi consiglieri di maggioranza e minoranza che mi hanno sempre aggiornato e coinvolto».

Nella solita pasticceria

Elena Madama è stata il consigliere con il maggior numero di preferenze alle scorse comunali: 481. Sabato scorso ha incontrato l’amico e assessore alla Cultura di Pavia Giacomo Galazzo: «Vuole tornare subito in Consiglio, ma non c’è fretta, deve pensare soprattutto alla sua ripresa, noi siamo qui e l’aspetteremo come sempre». Prima dell’incidente lavorava come praticante in uno studio legale pavese, stava organizzando le nozze con il fidanzato Enrico. S’è svegliata dal coma a dicembre, ha subito diversi interventi: «Devo essere grata alle straordinarie capacità e alla passione di coloro che si sono occupati di me nelle strutture dove sono stata ricoverata». Oggi ha ripreso a frequentare la storica pasticceria Vigoni con le amiche, grazie a Facebook segue e commenta la vita politica pavese, ma anche lo straordinario avvio di campionato della sua Inter: «Ora voglio tornare a parlare del futuro della mia città e non del passato».

Cesare Giuzzi

19 settembre 2015 | 09:17

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_settembre_19/elena-tornata-coma-dopo-dieci-mesi-mi-riprendo-vita-d11494c8-5e9a-11e5-8999-34d551e70893.shtml

«Spaccate» in farmacie e negozi Presa banda di albanesi, 11 arresti

Le indagini dei carabinieri di Abbiategrasso. Quattordici i colpi finora accertati, tutti negli ultimi quaranta giorni, nelle province di Milano, Pavia, Bergamo e Brescia

Erano esperti in assalti con spaccata ai danni soprattutto di tabaccherie e farmacia. Nel corso della notte tra martedì e mercoledì, i carabinieri di Abbiategrasso hanno eseguito 11 arresti con l’ipotesi di associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione di decine di furti. A carico degli indagati, tutti albanesi, sono stati raccolti gravi indizi in merito a decine di colpi in esercizi delle province di Milano, Pavia, Bergamo e Brescia. I banditi rubavano un’auto potente, le sostituivano la targa e poi la usavano per scardinare la serranda, agganciandola alla macchina con un cavo. Quindi spaccavano la vetrina e razziavano il negozio. Con questa tecnica la banda di albanesi in un mese e mezzo secondo gli investigatori ha messo a segno 8 furti ai danni di tabaccherie, farmacie e un negozio di abbigliamento, oltre che in sei abitazioni sparse tra le province di Milano, Pavia, Bergamo e Brescia. Mercoledì otto malviventi tra i 23 e i 34 anni sono finiti in manette con un fermo firmato dal pubblico ministero di Pavia Andrea Zanoncelli e ora attendono la convalida del giudice per le indagini preliminari (motivo per cui non ne sono state diffuse le generalità).

Armi e telefoni satellitari

Altri tre erano già stati arrestati in flagranza di reato il 20 maggio a Brescia, al termine di uno scontro a fuoco con i carabinieri del nucleo radiomobile, dopo il furto in una tabaccheria commesso con la stessa tecnica. Pedinati, non avevano rispettato l’alt dei militari e avevano anche tentato di investirne uno. Mercoledì, tra Corsico, Vimodrone, Cassano d’Adda e Abbiategrasso sono stati bloccati gli altri componenti della banda, alcuni di loro con legami di parentela. Un’organizzazione criminale all’apparenza orizzontale, senza un capo particolare, ma molto ben organizzata, ha spiegato il procuratore della Repubblica Gustavo Cioppa, che poteva contare su armi e telefoni satellitari e conosceva molto bene il territorio.

Quattordici colpi

Gli 11 arrestati sono accusati di associazione per delinquere finalizzata al furto e alla ricettazione dei prodotti che rubavano, per lo più argenteria e sigarette, e sospettati di aver commesso altri colpi su cui ora i carabinieri stanno approfondendo le indagini, partite a metà aprile dal furto di un’automobile di grossa cilindrata nel centro di Abbiategrasso. Quattordici, dunque, i colpi finora accertati, eseguiti tutti negli ultimi quaranta giorni. Gli albanesi precedevano le spaccate con dei sopralluoghi e sono entrati nelle case di impiegati e imprenditori quando erano assenti. Ora si sta calcolando l’ammontare del profitto dei furti.

Redazione Milano Online

27 maggio 2015 | 13:40

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_27/spaccate-farmacie-negozi-presa-banda-albanesi-11-arresti-5ed8094c-0460-11e5-8b0b-0cc2990e0043.shtml

Investita e trascinata, i genitori: «Dopo mesi Elena riesce a parlare» Si cerca ancora un 18enne russo

In manette Radion Suvac, 27enne, si cerca il complice. La 26enne consigliera del PD travolta di proposito dai ladri in fuga, finì in coma e riportò ferite al capo e al volto

«Per sei mesi non abbiamo pensato ad altro che stare vicino a nostra figlia, farle sentire il nostro amore e scegliere di volta in volta che cosa era meglio fare per lei. Non so più quante operazioni ha fatto, so che finalmente i segnali sono incoraggianti. Il percorso sarà lungo, ma adesso Elena riesce a parlarmi e fa qualche passo». Nelle parole di Idangela Vittadini non c’è (e non c’è mai stato) spazio per odio o rancore verso chi, quella sera di pioggia del 12 novembre scorso, ridusse in fin di vita la figlia, Elena Madama, 26 anni. Neppure oggi che, con un’indagine lunga e paziente, sono stati identificati i due balordi dell’Est (uno già arrestato) che la investirono con un’auto nel centro di Pavia, trascinandola per 700 metri e abbandonando poi la macchina con il corpo maciullato della ragazza, per sparire nel nulla. Idangela e il marito Lino ieri mattina erano in Procura, accanto al capo dell’ufficio, Gustavo Cioppa, che dopo averli abbracciati ha parlato della «fine di un incubo per i genitori di Elena ma anche per Pavia, che ha vissuto lo stesso dolore». Da loro solo parole di gratitudine per tutti: «Abbiamo sempre avuto fiducia negli investigatori, questo è un momento di soddisfazione. Dobbiamo ringraziare tutta la città che ci è stata sempre vicina e non ci ha mai fatto sentire soli». Elena, intanto, continua il suo difficile percorso. Uscita dal coma, ora è in riabilitazione all’Istituto neurologico Mondino.

L’arrestato è un moldavo di 26 anni, Radoon Suvac, ammanettato dalla polizia a Piacenza. C’era lui quella notte alla guida della Opel Insigna che in Strada Nuova travolse Elena, praticante avvocato e consigliere del Pd in Comune, che era appena uscita dall’ufficio. Vicino a Suvac c’era un russo di 18 anni, che ora è ricercato. I due facevano parte di una banda internazionale specializzata nel furto di navigatori satellitari ed è probabile che quella sera Elena avesse visto qualcosa che ha spinto deliberatamente i due a investirla, prima in retromarcia e poi in avanti, trascinandola per 700 metri. In questi mesi i due si sono spostati continuamente in vari Paesi d’Europa, e non per sfuggire agli investigatori ma perché occupati a piazzare la refurtiva all’estero.

Il lavoro della polizia è stato immane: si è partiti dall’analisi di 500 mila dati di traffico telefonico che aveva agganciato la cellula della zona dell’investimento, per arrivare a un numero, quello del russo, ripreso quella sera anche dalle telecamere della stazione di Pavia. Intercettando le sue telefonate gli investigatori sono risaliti anche a Radon Suvac, di cui avevano l’identikit, e ne hanno seguito i movimenti sino a quando la sua presenza è stata segnalata a Piacenza, dove era ospite di un connazionale che faceva parte della stessa banda. Adesso anche il russo avrebbe le ore contate.

7 maggio 2015 | 08:50

Luigi Corvi (ha collaborato Enrico Venni)

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_07/elena-riesce-parlare-soddisfatti-il-pirata-cella-madama-consigliera-pd-pavia-investita-trascinata-8356cec6-f483-11e4-83c3-0865d0e5485f.shtml