Che nostalgia e desiderio di abbracci e strette di mano!

La riflessione del Dott. Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia  

E così è passata una nuova giornata, in cui abbiamo cercato il modo di trasmettere vicinanza attraverso la voce, le immagini, gli sguardi, i messaggi…È un modo di esprimersi che un tempo faceva parte di un linguaggio complesso ed in parte subliminale, che trovava il suo apice naturale e vincente nel contatto. Chi non ricorda il calore che sprigiona dentro di noi il contatto di una mano amica che stringe la tua? Chi non desidera provare oggi quel senso disarmante e al tempo stesso accogliente, di quando riceviamo un abbraccio, muto, forte, lungo, che ci fa sentire accettati, capiti, amati, più di qualsiasi parola? Chi non si trattiene, combattendo contro un istinto ed una pulsione, dall’abbracciare una persona cara per trasmetterle tutto il bene che proviamo per lei? E cosa dire del bacio, di quello tenero e materno, di quello comune ed amicale, di quello intimo e passionale? Una immensa porzione del nostro modo di comunicare è oggi impedita e soffocata da nuove regole, da necessarie precauzioni, da ancestrali paure. Avevamo sviluppato quasi inconsapevolmente una sinfonia di suoni, movimenti, messaggi… subliminali e non… che funzionavano alla perfezione quando erano utilizzati tutti insieme. Ma un’orchestra senza uno strumento non raggiunge il punto più profondo del cuore… ed ora ci troviamo a parlare una lingua incompleta, che è carente di pathos. Facciamo fatica ad arrivare al centro dell’anima senza poter provare il brivido del contatto. Restiamo in superficie. Ma qualcosa, forse, sta succedendo. Ne sentiamo la mancanza. E la mancanza alimenta il desiderio. Si, la nostalgia di qualcosa di essenziale, che viene prima della parola, che può fare a meno della parola, e che appartiene anche all’animale. E’ quel comune senso di appartenenza, quel far parte di una medesima famiglia. Qualcosa di natura sensibile: tenerezza e affetto “vincolo di amorosi sensi” (Ugo Foscolo) che muove il cuore, spinge alla cura, che è contatto fisico, fin dalla notte dei tempi, e vorrei dire per sempre, almeno per l’uomo e gli animali superiori. La mancanza aumenta il desiderio, la cui etimologia significa “mancanza di stelle “: de‐sider. Desiderio e nostalgia così vicini e indissolubili, congiunti, come gli occhi di tutti gli uomini della terra puntati a quegli astri, tanto gelidi e lontani, ma splendidi, per esprimere un desiderio. E la nostra forza cresce, in difesa del nostro obiettivo e ci porta a lottare per ciò cui aneliamo. Abbiamo un desiderio forte, una speranza, una missione: resistere. Semplicemente resistere. Per poter risentire quanto prima la sinfonia che si creava quando eravamo davvero liberi di comunicare. Il contatto fisico ci manca più di quanto avremmo potuto immaginare. Dietro tutto questo, mimetizzato dalla nostalgia del contatto perduto, si annida il peggiore tra i nemici che potessimo incrociare e che, invece, dobbiamo contrastare tralasciando ogni remora: la paura. La paura che trasforma l’altro da noi, chiunque egli sia, in un untore pericoloso e che ci induce a confondere la necessaria protezione della nostra salute con la reiezione delle persone, azzerando finanche gli affetti più cari. La paura che rifiuta la solidarietà umana in nome di una salvezza soltanto sperata, alimentandosi di sospetti. Viviamo nella contraddizione: rimpiangiamo gli abbracci, ma misuriamo le distanze, dimenticando che l’avversario è il virus, non chi, suo malgrado, potrebbe inconsapevolmente veicolarlo.

Dott. Gustavo Cioppa

già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

Fonte: http://www.ilticino.it/2020/10/13/che-nostalgia-e-desiderio-di-abbracci-e-strette-di-mano/

La difesa della salute grazie alla nostra Costituzione

La riflessione di Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

La pandemia certo non è finita, anzi, c’è un ritorno che non fa presagire niente di buono, anche se non presenta quella gravità e, per ora, quel numero di decessi che si ebbero nella scorsa primavera. Né è finita, semmai si è attenuata, la critica veemente che soprattutto dall’opposizione ma non solo è stata diretta alle decisioni politiche che si sono succedute per disciplinare direttamente o indirettamente la pandemia.Ritornando un po’ indietro, è ben chiaro che c’è stato un certo ritardo nella percezione del fenomeno e della sua gravità, anche perché veniva da Paesi lontani che probabilmente hanno a loro volta sottovalutato la malattia e di conseguenza non sono stati sufficientemente tempestivi nell’avvertire le autorità internazionali della reale gravità e potenza espansiva del Covid-19. Fatto sta che l’Organizzazione mondiale della Sanità ha proclamato e suggerito lo stato di emergenza solo il 30 gennaio 2020. E non può non sottolinearsi con piacere che il Governo italiano già il 31 gennaio a sua volta abbia proclamato lo stato di emergenza. Ebbene, l’atto formale che consentiva questa iniziativa era un decreto legislativo dei primi del 2018, quindi oggetto di una legge delega del Parlamento, comunemente definito Codice della Protezione civile. Questo passaggio è di grande rilievo, in quanto la nostra Costituzione, nel sancire che la <Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività> (art.32), aggiunge che nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per legge: una espressa e significativa riserva di legge, dunque, al pari della riserva che accompagna le limitazioni alla circolazione e al soggiorno nel territorio nazionale a rischio per motivi di sanità o di sicurezza.Vero è che, in definitiva, la maggiore responsabilità in materia di tutela della salute è dello Stato, specie quando si tratti di malattie a diffusione internazionale e richiedenti profilassi internazionale; competenza esclusiva dello Stato anche rispetto alle regioni. Ed è ancora allo Stato che spetta definire i principi fondamentali (art.117) ed i livelli essenziali delle prestazioni in tema di diritti civili e sociali (art. 120). Ed è significativo che le norme che interessano sono qualificate nel codice della Protezione civile come principi fondamentali.Ebbene è in forza del codice della Protezione civile che il Governo ha approvato una serie di Decreti del Presidente del Consiglio e di ordinanze anche del Ministro della Sanità, pertanto nel rispetto di quanto stabilito dal codice e dalla Costituzione. Si può forse restare perplessi sulle maglie un po’ troppo larghe che il codice della Protezione civile consente al Presidente del Consiglio, ma sta di fatto che si tratta di strumenti flessibili e rapidi che in definitiva si attagliano bene alla gravità delle situazioni che devono essere affrontate spesso “ad horas”. Sono stati anche utilizzati i decreti-legge, sui quali pure c’è stata qualche critica, quasi che non sia un’abitudine antica quella di usare a volte a sproposito questo strumento per rimediare a problemi non sempre seri quanto quelli creati dal coronavirus. In definitiva, l’Italia, anche a paragone di altri Paesi, è riuscita a reggere bene il peso soprattutto della prima fase della pandemia, significativamente attirandosi il plauso dell’Europa e non solo ed anche la tendenza ad imitare le iniziative più coraggiose del nostro Paese. E ciò nel rispetto della Costituzione, almeno quanto alla forma. Sulle scelte di merito evidentemente il discorso può essere diverso, ognuno può avere altre idee sui rimedi ad un fenomeno per molti sconosciuto. Si pensi che anche gli scienziati non sono d’accordo tra loro sui percorsi migliori per arrivare a vedere la fine di questa tragedia.L’Italia ha dunque fatto il possibile e ha meritato l’attenzione di molti altri Paesi. E che dire dell’Europa? Si è molto criticata la freddezza dell’Unione, ma a conti fatti non c’è mai stata tanta generosità verso i Paesi più bisognosi di aiuti, quanto a fronte della pandemia. Eppure, ma questo pochi lo sanno o lo vogliono sapere, l’Unione non ha una politica economica sua, perché gli Stati membri, sovranisti della prima ora, non hanno voluto l’avesse, fin dal principio. E la cosa si è aggravata quando si è voluto dare il solo governo della moneta, quindi staccandola dalla politica economica, alla beata solitudine della Banca centrale europea. Eppure, di fronte alla gravità della situazione sanitaria e finanziaria, in questa occasione l’Unione ha raschiato il fondo del barile, anche con qualche disinvoltura di troppo che in altri tempi sarebbe finita alla Corte di giustizia. E perfino all’Italia, alla quale ha sempre fatto pagare un prezzo politico altissimo perché Stato cicala e non formica e quindi al di fuori di ogni limite di bilancio, ha finito per dare più di quanto noi stessi sperassimo. E se avessimo chiesto la Luna – e si può capire il perché – ce l’avrebbero data. Ma non ancora del tutto contento, c’è chi filosofeggia sui tempi o sul MES, che pochi sanno cosa sia e come funzioni, specie nell’attuale versione senza interessi che oggi riguarda la modernizzazione delle strutture sanitarie. Quasi che un Paese come l’Italia potesse uscire da solo dal tunnel sanitario e finanziario causato dalla pandemia e da vecchie abitudini da cicale.In conclusione, sono convinto che l’Italia abbia fatto il possibile e il dovuto, anche addolcendo il rapporto con l’Unione Europea per affrontare con prudenza la pandemia ed evitando i guai peggiori che altri Stati, anche piùsaldi e potenti del nostro, hanno invece stentato a superare. Avremmo potuto fare di più e meglio, ma nessuno è perfetto. D’altra parte un contributo negativo è certamente venuto dal momento elettorale, che certo non ha giovato a realizzare un clima sereno e di civile solidarietà anche tra avversari politici.

Dott. Gustavo Cioppa

(Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)

Fonte: http://www.ilticino.it/2020/09/30/la-difesa-della-salute-grazie-alla-nostra-costituzione/

Liliana Segre compie 90 anni: gli auguri del Dott. Gustavo Cioppa e de “il Ticino”

“Rendendo omaggio a questa donna meravigliosa, perpetuiamo la memoria di coloro che sono scomparsi, ma non cancellati”

Il novantesimo compleanno di Liliana Segre, alla quale rivolgiamo il più sincero tra gli auguri, non è una ricorrenza come le altre: è un monito a non dimenticare, a ricordare che la tragedia dello sterminio di un popolo è verità storica con la quale ci dobbiamo confrontare ancora oggi, ogni giorno.

E’ un compleanno di cui noi, e non Lei, dovremmo avvertire il peso, per non avere fatto abbastanza a fronte degli ignobili tentativi di negazione o minimizzazione.Rendendo omaggio a questa donna meravigliosa, perpetuiamo la memoria di coloro che sono scomparsi, ma non cancellati e, soprattutto, impediamo che le cose si ripetano.

Noi, oggi, siamo in festa per Liliana Segre. Lei, con la sua presenza, gli auguri di un futuro migliore ce li rivolge ogni giorno.

Dott. Gustavo Cioppa

Già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

Fonte: http://www.ilticino.it/2020/09/10/liliana-segre-compie-90-anni-gli-auguri-del-dott-gustavo-cioppa-e-de-il-ticino/

“Il coraggio delle cicatrici”

Il Dott. Gustavo Cioppa presenta il libro di Maria Luisa Iavarone

Una battaglia sociale. “Il coraggio delle cicatrici” è il racconto di un’esperienza tragica vissuta in prima persona da un ragazzo di nome Arturo che un giorno viene accoltellato da un branco di quattro minorenni, tanto da rischiare di perdere la vita. Ma è il racconto anche di una madre che vede il proprio figlio combattere contro la morte e vincere. Questo trauma diventa così l’occasione per una profonda riflessione da parte di Maria Luisa Iavarone, la madre di Arturo.Maria Luisa tenta di dare un senso alla vicenda che ha colpito la sua famiglia, cercando diapprofondire i motivi per cui un giovane possa commettere atti così gravi. Così si imbatte nello studio del determinismo ambientale, ossia il fatto che nascere in determinati contesti familiari possa essere fin dall’inizio una delle cause per cui un minore possa cominciare a delinquere, che unita a caratteri particolarmente aggressivi possa essere la scintilla per la commissione di un reato, spesso anche gravissimo.E Napoli è la città in cui la scena criminale si svolge, una città nella quale fin troppe voltenascere in una o altra famiglia può essere a seconda dei casi una fortuna o una condanna. Così la madre di Arturo si rende conto che, spesso, fermarsi ad una analisi meramente superficiale di una vicenda criminale sia controproducente, infatti se davanti a fatti così gravi, si hanno solamente esigenze vendicative, legate al dolore causato dall’offesa subita, non si cambierà mai la società. E qui si pongono le basi per citare la giustizia riparativa, ossia un nuovo modo di porsi davanti a chi commette un reato, ma anche a chi lo subisce, in considerazione del fatto che anche dietro ai reati più gravi, più terribili, e soprattutto più dolorosi da perdonare c’è sempre una Persona. E non solo la persona può cambiare, ma perdere la speranza verso un recupero di un minore significa distruggere la vita di una persona che ha tutta la propria vita davanti, che sconterebbe per il resto dei suoi anni le conseguenze negative di un fatto del passato, come se la Persona fosse il suo Reato. In questo caso i rei sono dei minori, soggetti per definizione vulnerabili, e che in quanto tali necessitano di un trattamento rieducativo differente rispetto a quello previsto per un adulto autore di reato.Maria Luisa capisce che ci vuole coraggio a perdonare, a ricominciare. Ma perdonare non significa dimenticare l’offesa subita, significa attribuire un nuovo vissuto ai fatti del passato, in chiave riparativo-riconciliativa. Solo così si dà un senso ad eventi tragici, nell’ottica di un recupero sociale, che va a vantaggio non solo del reo, ma soprattutto della società.Tuttavia per portare avanti la battaglia di Maria Luisa serve un’evoluzione culturale della società. È una battaglia difficile, perché abbattere i pregiudizi che plasmano i pensieri dei molti, oggi sembra quasi un’utopia.Ma la battaglia di questa madre è la battaglia di tutti, e per questo motivo ognuno di noi deve combattere.

Dott. Gustavo Cioppa

Già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

Fonte: http://www.ilticino.it/2020/09/08/il-coraggio-delle-cicatrici/

Addio a Philippe Daverio: il ricordo del Dott. Gustavo Cioppa

“È morto un grande intellettuale, patrimonio dell’umanità”

Lascia un gran vuoto, incolmabile, la scomparsa di Philippe Daverio (il celebre storico dell’arte scomparso il 2 settembre all’età di 71 anni, ndr). È morto un grande intellettuale, patrimonio dell’umanità, che ci ha lasciato volumi di inestimabile bellezza e grazia. Le pagine di critica d’arte sulle grandi testate giornalistiche e i libri di storia dell’arte, animati da quella forza d’animo che appartiene a pochi, poiché la virtù del vero intellettuale consiste nel trasmettere cultura. Ma Daverio si spingeva ben oltre, appassionando i lettori, facendoli sognare.Non è stato solo un critico d’arte d’immensa levatura, ma un grande scrittore prestato alla critica. Alla stregua dei Longhi, dei Briganti, dei Berenson. Illustre accademico, fine saggista, ironico, prima di tutto uomo sensibile. Philippe Daverio raccontava l’arte ricreandola, senza retorica, solo per amore della bellezza, per quell’imprescindibile onestà intellettuale degli spiriti magni che è generosità. Dono innanzitutto. Dipingeva con le parole – ut pictura poesis – e il carattere che emerge sempre dai suoi scritti è la leggerezza, quell’armonico contrasto di malinconia e allegria. Il dipinto è lì, dinanzi agli occhi dei fruitori che finalmente riescono a vedere quello che il critico è riuscito a vedere e che, per un atto di generosità, comunica al pubblico. A Philippe Daverio la nostra incondizionata gratitudine per averci intrattenuti davanti all’arte svelandoci quel mistero che solo pochi critici illuminati – iniziati – riescono a cogliere e a decifrare.

Dott. Gustavo Cioppa

(già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)

“Andiamoci piano con le teorie sulla decrescita economica”

La riflessione del Dott. Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

Il “de” privativo sembra dilagare senza freni: de-culturalizzazione; de-scolarizzazzione; de-strutturazione; de- etc.etc.; decrescita economica, alfine. È tutto un susseguirsi di “de”, cui neppure la più sfrenata delle fantasie riesce a tener dietro. E si potrà desistere (un “de” per una volta utile) dal considerare che una decrescita, culturale, sociale, economica equivalga, solo ed esclusivamente, a passi indietro? Quali acrobazie mentali e verbali potranno mai dimostrare che il ripiegare su posizioni ed assetti passati e, comunque, di livello più basso abbia i suoi profili di convenienza, specie “in oeconomicis”? Qui è davvero una “contradictio in adjecto”, giacchè la globalizzazione, ben nota al colto ed all’inclita”, è ontologicamente inconciliabile con forme di decrescita economica pianificate in un determinato (e limitato) contesto. Ammesso che una cotal decrescita fosse desiderabile (ma perchè?), essa sarebbe semplicemente irrealizzabile. Chi potrebbe ragionevolmente ipotizzare una “decrescita economica globale”? E chi una decrescita economica locale in un contesto di “crescita economica globale”? Non sembri supponenza, ma davvero non occorre neppure indugiar più che tanto sugli argomenti – tecnici, si dicere licet – addotti a favore di una “decrescita economica”, accettabile se non desiderabile. Eh sì, non occorre davvero: e non già per l’ossimorica valenza, ma proprio perchè si dovrebbe preliminarmente superare una serie di contraddizioni “in logicis”, che farebbero rivoltare nelle tombe, con tanti altri, Aristotele, Kant, Locke? Ma, quel che più conta, la realizzazione di questo sogno si tradurrebbe in un incubo per l’uomo della strada, vale a dire per colui che deve lavorare per mettere insieme il pranzo con la cena. Sarebbe una tragedia, insomma. Adagio, amici, con le tentazioni di teorie economiche bizzarramente novelle: adelante siempre (non detrás), pero con juicio, con tanto juicio. Altrimenti, si rischia di voler andare avanti indietreggiando: questo, sì, il modo migliore di subire quella che, in gergo militare, si chiama memorabile disfatta.

Dott. Gustavo Cioppa

(Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)

Fonte: http://www.ilticino.it/2020/08/27/andiamoci-piano-con-le-teorie-sulla-decrescita-economica/

La strada da seguire dopo la “lezione” del Covid-19

La riflessione di Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e già Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

La Nemesi della storia ha colpito ancora e duramente. Il contagio – a volte letale – si è disteso su tutto il pianeta e va mietendo appieno, tuttora, vittime. Epperò, perché la Nemesi? Ebbene, perché mai come nell’ultimo mezzo secolo l’uomo tanto intensamente – si  vorrebbe dire “intensivamente” –  ha abusato, nel profondo, della terra. E, dopo lunga sopportazione, la natura,  col beneplacito di Baruch Spinoza, ha deciso di intervenire, nella duplice veste di “natura naturans” e “natura naturata”, mostrando al bipes humanus quanto le sia facile, nel batter d’un ciglio, farlo scomparire dal novero degli animali terrestri.

Odo già qualche lamento: “Non abbiamo alcuna prova scientifica che il dissesto (il disastro, melius) ambientale, a tutte le latitudini, abbia un ruolo cospicuo nel propagarsi della feroce epidemia diretta  “urbi et orbi”. Si potrebbe agevolmente replicare che, se non abbiamo la prova positiva, men che meno abbiamo quella negativa. Se non è dimostrato che c’entri, ancor meno è dimostrato che non c’entri. Orbene,  c’è qualcuno – magari un accigliato, ma garrulo frequentatore delle attuali “serate televisive” – che possa escludere, “juris et de jure”, una liaison, quanto meno in termini di – pur non dirimente, sia concesso –  concausa, un nesso fra il morbo ed il pianeta ecologicamente moribondo? Non c’è. E, se ci fosse, sarebbe l’ennesimo, disperato caso di scienziato (?) accecato dalla superbia. Epperò Dante colloca i superbi nelle arche infuocate dell’inferno. Ecco Farinata: “0 Tosco che per la città del foco/vivo t’en vai, così parlando onesto/piacciati di restare in esto loco/ La tua loquela ti fa manifesto/…”  Avremo noi la temerarietà di restare sordi alle innumeri reazioni delle natura – che passano inosservate – contro gli stupri quotidiani del geoambiente? Non potremo, non dovremo, non vorremo. E, dunque, viviamo la dimensione tragica del contagio non come una fatalità terribile, bensì come un quid di cui anche noi abbiamo colpa. E l’uomo può mai sopravvivere se si pone in contrasto, in lotta con la natura? No, non può. La crisi che sta devastando l’economia globale dovrebbe, deve condurci  ad una riflessione epocale. Va ripensata la logica del profitto. È certo che sia consustanziale all’essere umano: dunque, non può essere espunta. Può, nondimeno, essere profondamente mutata, “contaminata” in termini virtuosi, tali da non offendere né la natura e neppure un senso d”umanità palpitante”.

Priva di siffatte connotazioni, la cultura del profitto si risolve nell’immagine dell’ “homo homini lupus”, nè è un caso che Tommaso Hobbes fosse cospicuo intenditor d’economia, oltre che filosofo d’alto livello.

“Oportet, tandem, ut nos vivamus vitam novam”, adottando modalità di coesistenza “secundum naturam”. E il contagio globale, paradossalmente ma non troppo, può costituire occasione storica, giacché noi, anche se inconsapevolmente, stiamo cambiando “dentro”, mentre fuori il mondo è già cambiato: rispetto a quello preCovid, quanto “mutatus ab illo!!

I filosofi della scienza già parlano – et pour cause – di una rivoluzione culturale dietro l’angolo.  È così.

Le rivoluzioni, tuttavia, sono quasi sempre cruente. Ci sono, nondimeno, casi di rivoluzioni che, invece degli umani, massacrarono pregiudizi, falsi miti, idola fori, raggiungendo per tal via la distruzione di un mondo decrepito e degenerato: pensiamo alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, che avvenne per implosione “ab intrinseco”, talché le invasioni barbariche ne furono non già la causa,  bensì la conseguenza.

E altrettanto avvenne, mille anni dopo, all’Impero Romano d’Oriente o Impero Bizantino. Questa volta, però, il parto della storia avvenne sui cannoni (assoluta novità bellica: 1453) di Maometto II° il Conquistatore, che espugnò le plurime fila che costituivano il complesso di mura (impressionante) di Costantinopoli, invitte nel millennio precedente. Anche in questo caso, il Conquistatore raccolse le vestigia di un impero decadente e corroso dall’interno.

E noi? Noi dovremo riformare un sistema capitalista, che mostra la corda da tempo, dopo aver assistito alla deflagrazione ed alla inevitabile morte dei sistemi comunisti.

È impresa da far tremar le  vene e i polsi. I Keynesiani – non di rado con buona pace di John Maynard – hanno le loro ricette. E non manca chi si richiama ad Adamo Smith o ad Adorno, per offrire le proprie soluzioni prefabbricate.

Non è questa la strada. Non è la strada delle inflessibili leggi della economia, che ci porterà a salvamento in un mondo nuovo. L’economia – che non è una categoria aprioristica della ragione – andrà orientata e vissuta alla luce dell’imperativo categorico di Emanuele Kant (pur egli, come Hobbes, grande conoscitore delle scienze economiche, oltre che  sommo filosofo): “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”.

Dott. Gustavo Cioppa 

(Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia, già Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)

Fonte: http://www.ilticino.it/2020/08/09/la-strada-da-seguire-dopo-la-lezione-del-covid-19/

“Onore al merito degli insegnanti”

La riflessione del Dott. Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e già Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare.
Andy Warhol

Dopo avere amaramente constatato il mancato silenzio, da molti auspicato nei mesi bui della pandemia, e per contro il proliferare della chiacchiera, della comunicazione distorta, sensazionalistica, terroristica, l’inutile clangore e frastuono, la consueta frenesia, l’approssimazione, la mancanza di direttive unitarie; dopo aver constatato la mancanza di attenzione, ossia di cura e amore verso il prossimo che alcuni comportamenti sulla soglia dell’imbecillità hanno rivelato, ci si domanda se sia possibile una svolta dell’umanità in meglio nell’era post-covid, che ci si augura prossima. Se tale svolta ci sarà, sicuramente un ruolo preponderante spetterà agli insegnanti di ogni ordine e grado, coloro che plasmano le giovani coscienze ed educano, formano, e non solo trasmettono cultura ma sensibilizzano. Poiché l’intelligenza è fatta anche di sensibilità. La comune radice antropologica non è solo algidamente intellettiva, ma anche e soprattutto sensibile. Credo che la mente non possa essere disgiunta dal cuore, uomini e donne non sono individui dimezzati. Lo è il “Visconte” – dimezzato – il personaggio creato da quel genio di Calvino per dire le nevrosi del Novecento, ereditate dal XXI secolo. Dimezzate sono, ahimè, molte famiglie, i cui figli trovano proprio nella scuola quel luogo che non è un parcheggio, ma una comunità di coetanei e insegnanti con cui trascorrere la maggior parte delle ore del giorno ci si augura in modo sereno. A scuola ogni bambino e ogni ragazzo impara a socializzare, evitando la deriva del solipsismo, incrementato da playstation, televisione e cellulari. A scuola esperisce il mondo e non solo nozioni. Il docente è innanzitutto una guida, un punto di riferimento e non un “pacchetto di servizi” offerti dalla scuola alla famiglia come i punti al supermercato o nei social. A scuola si impara, giorno per giorno, anno dopo anno, non solo un metodo di studio, ma anche l’autocontrollo, l’autodisciplina e l’esercizio dell’autocoscienza. Perché crescere vuol dire anche e soprattutto essere individui autonomi dal conformismo. Credo che un bravo insegnante non debba essere un capobranco – di branchi ce ne sono tanti fuori dalla scuola nella giungla della vita – certo dovrà essere una figura autorevole, ma non autoritaria. E nemmeno, credo, debba tenere al lazo gli studenti come un gaucho della Pampa argentina. La missione dell’insegnante non puó prescindere dalla passione della libertà, intesa come liberazione dal conformismo, così invasivo, compulsivo e nocivo invece nei social. Senza libertà interiore non può darsi felicità. Senza libertà interiore non si è soggetti. E si è soggetti solo quando si esercita la propria coscienza, nelle scelte, ad esempio, che ogni ragazzo è tenuto a fare già molto presto. Il più grande traguardo dell’uomo l’ha insegnato Socrate: “γνῶθι σαυτόν” (“Conosci te stesso”), la massima che avrebbe letto il filosofo greco sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, secondo Platone, assurta a imperativo della sua ricerca filosofica. La vita senza conoscenza non ha valore. La conoscenza non è l’utile, il conveniente, la chiacchiera, non avere dubbi. Tutt’altro. Un buon maestro non si stanca di educare alla criticità, al pensiero simbolico, l’unico in grado di generare empatia, miglior antidoto al pensiero unico. Un buon maestro, soprattutto, insinua il dubbio. Perché senza il dubbio la conoscenza non progredisce. Nel drammatico tempo della pandemia gli insegnanti di ogni ordine e grado hanno lavorato egregiamente senza risparmiarsi, evitando la deriva degli studenti, hanno incoraggiato e risollevato gli animi, hanno ascoltato e contenuto l’angoscia dei propri studenti. Non è stato facile. Ma gli insegnanti l’hanno fatto. Tuttavia, la DAD non è sufficiente, l’hanno ribadito docenti, psicologi e medici: si esperisce il mondo grazie al coinvolgimento di tutti e cinque i sensi. Mi auguro che a settembre gli studenti di tutto il mondo possano ritornare a vivere la scuola “in presenza”. Che ritornino quei gesti così umani e formativi: una stretta di mano, una pacca sulla spalla; gesti che nessuna faccina sullo smartphone potrà mai sostituire. Il virtuale non coincide con il reale. Ma si trattava di un’emergenza e gli insegnanti hanno dato il meglio di sé. Si dovrà evitare, soprattutto, che la popolazione scolastica – bambini e adolescenti – resti iperconnessa troppo a lungo. Gli esseri umani non sono macchine con fili cablati dentro una presa di corrente. Gli esseri umani non sono ancora replicanti o, forse, i migliori, gli spiriti evoluti, lo sono. Ma perché non ci slegano dalle loro corde maniacali, / (…) / Perché devono ignorare le nostre intime ragioni d’esistere / (…) non c’è alcun computer che possa aiutarli / e altra algebrica fascinazione elettronica, se non la coscienza. (Domenico Cara, Disputa di confine). E, ricordiamo, un buon docente non sarà mai né un tecnico né un tecnocrate. Se qualcuno insinua che il libro è morto, lo stesso la cultura tradizionalmente intesa, be’, tutto questo è smentito dalla fame di cultura e di libri. Mi è capitato di andare in un piccolo paese di montagna e di vedere una teca davanti a un negozio di generi alimentari contenente libri. Un cartello invitava gli utenti a cibarsi di nuovi libri, offrendone di propri. “Non di solo pane vive l’uomo.” (Matteo, 4,4). Il vero baluardo è solo il conoscere, contro l’inerzia e l’indifferenza, solo l’amore, l’avere cura, il prendersi cura e non il depauperamento del pianeta, speculare a quello della coscienza. Come brillano i versi dell’ultimo poeta che, ricordiamolo, prima di essere un grande artista è stato un educatore, un insegnante: “Solo l’amare, solo il conoscere / conta, non l’aver amato, / l’aver conosciuto. Dà / angoscia // il vivere di un consumato / amore. L’anima non cresce più.” (Pier Paolo Pasolini, Il canto della scavatrice). Negli ultimi decenni la scuola è stata la cenerentola della società, con livelli di disorganizzazione sempre più drammatici, e non certo per colpa del corpo docente. L’emergenza da pandemia credo sia anche un’occasione per ripensare efficacemente il ruolo della scuola nell’attuale società. Secondo alcune menti illuminate, fra cui il cardinale Bassetti (presidente della Conferenza episcopale italiana) saremmo “il fanalino di coda dell’Europa nella retribuzione degli insegnanti.” Ecco, mi auguro che ci sia una “ripresa” anche e soprattutto della scuola, del ruolo fondante rivestito dall’istituzione scolastica, fiore all’occhiello di un Paese civile.

Dott. Gustavo Cioppa

(Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia, già Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)

Fonte: http://www.ilticino.it/2020/07/19/onore-al-merito-degli-insegnanti/

Gustavo Cioppa ricorda Ennio Morricone: “Un grande italiano nel mondo”

“Ha fatto sognare tutti con le sue Musiche meravigliose”

cioppa e morricone

“Un pensiero all’uomo che ha fatto sognare tutti con le sue Musiche meravigliose, un grande italiano nel mondo. Ennio Morricone”. Lo scrive su Linkedin Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia (nella foto un incontro tra Gustavo Cioppa ed Ennio Morricone, ndr)”. 

(Adnkronos)

Fonte: http://www.ilticino.it/2020/07/06/gustavo-cioppa-ricorda-ennio-moricone-un-grande-italiano-nel-mondo/

La persona al centro della nostra Costituzione

La riflessione del Dott. Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia  

E’ soprattutto nei periodi di difficoltà che emergono i valori fondamentali che caratterizzano il modo di essere del sistema-Paese e il loro incidere sui comportamenti del corpo sociale complessivamente considerato. Durante le difficoltà create dal Covid-19 abbiamo potuto sentire con frequenza non proprio abituale invocare importanti valori espressi dalla nostra Carta costituzionale, quasi a cercare un ancoraggio, un conforto o anche semplicemente un riferimento. E la nostra Carta certamente contiene valori destinati ad ispirare la nostra vita di relazione e il rapporto con le istituzioni chiamate a dare applicazione e quindi concretezza a quei valori.

Maturata durante e all’alba di una parentesi storica finita nella tragedia della Seconda guerra mondiale, la comune volontà della grande maggioranza del popolo italiano ha inteso creare le condizioni per non ripeterne gli errori all’interno del Paese e per una pace duratura nelle relazioni esterne. L’Assemblea costituente ebbe il compito di tradurre quella volontà in uno strumento giuridico che ne scolpisse termini essenziali duraturi e soprattutto condivisi. Dalla dialettica che si sviluppò nell’Assemblea, politica anche per il contributo della parte significativa di tecnici, nacquero i frutti migliori che ancora si colgono nella nostra legge fondamentale, base e cemento della nostra democrazia. E il risultato più rilevante realizzato fu dato dalla sinergia sulla condivisione degli obiettivi, tra le tre forze politiche e intellettuali anche molto distanti: la cattolica, la socialista, la liberale. Ognuna di queste componenti offrì un contributo decisivo alla buona riuscita dei lavori, anche sacrificando in parte alcuni punti fermi delle rispettive posizioni politiche e ideologiche pur di realizzare una seria discontinuità rispetto al passato, a conferma che il costruire insieme almeno i principi fondamentali dell’assetto di un Paese non ha alternative ragionevoli. Tale sinergia vale di sicuro a comprendere anche la costante relazione della Costituzione con il concreto sviluppo del Paese, sì da consentire di interpretare al giusto la volontà e le esigenze del corpo sociale. La Costituzione è infatti non è uno strumento statico ma dinamico, un pezzo di carta da far vivere giorno per giorno, come uno spartito musicale, sì da misurare la sua efficacia sulle esigenze che il Paese fa progressivamente emergere e di cui reclama la soddisfazione. Non di questa o quella componente politico-sociale, anche prevalente, ma del Paese nelle sue diverse componenti sociali.

I principali tratti del disegno costituzionale

Vediamo, dunque, almeno i principali tratti di questo disegno, varato il 22 dicembre 1947, non a caso precisati soprattutto in termini generali nel capitolo iniziale della Carta dedicato ai Principi Fondamentali.

Anzitutto si afferma il principio democratico, secondo il quale la sovranità appartiene al popolo. A questo principio viene ancorata la forma di governo, l’attribuzione delle competenze normative, la divisione dei poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario. Di rilievo è, sulla premessa pur sempre della unità e indivisibilità della Repubblica, la previsione dell’articolazione territoriale delle competenze, con diversa intensità tra Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto ordinario. Emerge la rilevanza attribuita alla partecipazione più diretta delle comunità territoriali all’esercizio del potere di governo del Paese, aspetto non certo secondario di un sistema democratico.

Trovano una collocazione significativa i diritti fondamentali della persona, sia come singolo che nelle formazioni sociali, il rispetto della dignità dell’uomo che ne è la principale espressione, senza alcuna differenza quanto a sesso, razza, religione, censo o opinioni politiche, in breve della persona in quanto tale. E non manca il diritto al lavoro e l’onere dello Stato di promuovere le condizioni che ne rendano effettivo l’esercizio e la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica. Del pari importante é il riconoscimento dell’indipendenza e della sovranità della Chiesa Cattolica e l’attenzione a tutte le altre confessioni religiose. E certo non manca di significato un valore spesso trascurato proprio nei momenti di difficoltà che ne richiedono soprattutto il rispetto: l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. In breve, emerge la centralità dell’uomo, come spesso usavano ricordare i politici dell’epoca.

Né poteva mancare un chiaro riferimento allo sviluppo della cultura e della ricerca, così come all’ambiente e al patrimonio storico e artistico. E del pari all’apertura del nostro Paese alla vita di relazioni internazionali, con l’impegno significativo di conformare il nostro ordinamento giuridico alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, compreso l’impegno a riconoscere allo straniero il diritto di asilo e in generale il trattamento dovuto in base ai trattati internazionali. Di definitivo rilievo è il ripudio della guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali e il consenso a limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri pace e giustizia (leggi: Nazioni Unite e Unione Europea).

L’insegnamento per il futuro del Paese

Questo è dunque il quadro dei principali valori che la nostra Carta costituzionale ha enunciato, insieme a tanti altri che ne segnano specificamente l’applicazione e il completamento. Penso alla rigidità della Costituzione, modificabile solo con procedura solenne,  all’eguaglianza in base a tutti i parametri  imposti da un ragionevole livello di civiltà giuridica, al limite sociale del diritto di proprietà, alla libertà di manifestazione del pensiero, all’indipendenza del giudice rispetto ai poteri legislativo ed esecutivo, al principio di legalità e della tutela giurisdizionale effettiva, alla libertà di impresa, alla libertà d’insegnamento, alle libertà sindacali, al ruolo assolutamente prevalente del Parlamento nei processi normativi, alla Corte costituzionale.

Non è poco ed è ciò che fa della nostra Carta Costituzionale certamente tra le più efficaci e democratiche anche rispetto a sistemi di ben più antica democrazia. Ed è il risultato, vale la pena ripeterlo, in una sinergia costruttiva tra forze politiche e ideologiche molto diverse, che in Assemblea riuscirono a trovare quel necessario punto di sintesi al quale il contesto attuale non riesce neppure ad avvicinarsi.

Il sistema è poi completato da una rete di garanzie e di pesi e contrappesi, che conferma l’idea dell’esigenza che il contributo al rafforzamento dell’assetto democratico sia di tutte le forze e di ciascuna, secondo il modello dell’Assemblea Costituente. Questo è il disegno costituzionale costruito da tutti. Ed è anche l’insegnamento per l’evoluzione futura del Paese.

Dott. Gustavo Cioppa

(Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia, già Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)

Fonte: http://www.ilticino.it/2020/06/23/la-persona-al-centro-della-nostra-costituzione/