Altri due arresti per gli abusi sessuali sulla bimba disabile

Era stato il fratellino della vittima a far scattare le indagini. Ora sono quattro gli uomini accusati

PAVIA – La gente adesso collabora e punta l’indice sui «mostri». Infatti, in quel paesino di un migliaio di abitanti, Inverno Monteleone, sarebbero stati in tanti ad avere abusato della piccola Rita (il nome è di fantasia), 12 anni, mentalmente disturbata. A luglio era stato il fratellino di 9 anni a mettere una pulce nell’orecchio dell’assistente sociale e a far scattare un’operazione dei carabinieri di Stradella che avevano arrestato due pensionati accusati di violenza sessuale. Erano finiti ai domiciliari Luciano Finotti, 63 anni, con piccoli precedenti alle spalle, e Berengario Borromeo, 74 anni. Entrambi di Inverno Monteleone. Da allora la bimba, figlia di una famiglia numerosa di contadini, dopo l’interrogatorio assistito, era stata inserita in una comunità protetta. Ma le indagini non si erano fermate. Il pm Paolo Mazza della Procura di Pavia, diretta da Gustavo Cioppa, aveva disposto intercettazioni ambientali e telefoniche che hanno avuto l’effetto sperato. All’alba di ieri sono stati arrestati anche Angelo C., 57 anni, guardia giurata, e Sebastiano M., 46 anni, fruttivendolo ambulante di Santa Cristina e Bissone, con precedenti.

Il primo, secondo l’accusa, approfittava della piccola portandola a casa sua, con il consenso dei genitori che non sospettavano nulla. «La porto a fare un giretto, a prendere un po’ d’aria». Il fruttivendolo, invece, quando incrociava la bimba, la convinceva (non ci voleva molto, visto il suo stato mentale) a salire in auto per poi appartarsi in zone isolate. Anche per la guardia giurata e il venditore ambulante sono scattati i domiciliari. Oggi ci sarà l’interrogatorio di garanzia con il gip Erminio Rizzi. «Dopo un certa omertà iniziale – spiega il procuratore della Repubblica, Gustavo Cioppa – la gente ha iniziato a collaborare. Non potevano non sapere. Indicazioni importanti che si sono incrociate con le nostre indagini, permettendoci di ammanettare altre due persone. C’è però l’atroce sospetto che ad abusare della bambina siano stati altri uomini. Per questo l’inchiesta potrebbe riservare nuovi inquietanti sviluppi».

Michele Focarete

29 febbraio 2012 | 17:46

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/12_febbraio_29/pavia-abusi-bambina-disabile-altri-arresti-inverno-monteleone-1903488311666.shtml

Il figlio di Riina andrà a lezione al Bo Iscritto al terzo anno di Economia

Domenica esce di cella. Lavorerà in una onlus cittadina. Intanto il senatore padovano Luciano Cagnin (Lega) dichiara: «Pronti a scendere in piazza»

PADOVA — Nonostante le barricate alzate dalla Lega («qui non lo vogliamo»), Giuseppe Salvatore Riina tra qualche giorno si trasferirà a Padova. Il terzogenito del «capo dei capi» Totò (recluso a Opera con 12 ergastoli sulle spalle) domenica finirà di scontare nel carcere di Voghera gli otto anni e dieci mesi per associazione mafiosa inflitti dalla Corte d’Appello di Palermo e confermati dalla Cassazione il 9 gennaio 2009. Dopodichè, lo stesso 2 ottobre o nei giorni successivi, non tornerà a Corleone ma arriverà in Veneto con l’obbligo di firma, il dovere di rincasare entro le 22 e di non frequentare pregiudicati. Il suo percorso di reinserimento sociale e lavorativo è stato affidato a una onlus fondata nel 1979 da un gruppo di famiglie, per «sensibilizzare il territorio rispetto alle dinamiche di esclusione sociale». Oggi è specializzata nell’affrontare marginalità, immigrazione, dipendenze, minori, famiglie multiproblematiche e percorsi penali.

L’associazione padovana, citata nell’ordinanza di scarcerazione firmata dal giudice Maria Teresa Gandini del Tribunale di Sorveglianza di Pavia, è stata scelta da Riina su consiglio del suo avvocato, la vicentina Francesca Casarotto. «Salvuccio» nel 2009 è stato infatti recluso al Due Palazzi di Padova e gli educatori che l’hanno seguito hanno fatto da tramite con la onlus, pronta a dare la propria disponibilità. Una soluzione, dicono dall’associazione, gradita alla madre di Riina junior, Ninetta Bagarella, che avrebbe detto: «Vorrei salvare almeno il più giovane dei miei figli, evitandogli di tornare in Sicilia». Dalla donna sarebbe partita anche l’idea di trovargli una sistemazione senza doversi appoggiare a una delle case-famiglie proposte dai volontari. Anche perchè Giovanni Riina, 34 anni, è iscritto al terzo anno di Economia all’Università di Padova.

«Gli offriremo un lavoro da impiegato e uno stipendio, col quale potrà pagarsi una stanza —spiegano alla onlus —. Se dimostrerà di volersi realmente redimere, lo aiuteremo anche a cambiare nome. Una seconda opportunità va concessa a tutti. Certo, se sul suo arrivo non si fossero accesi i riflettori sarebbe stato meglio, comunque l’abbiamo accettato perchè dalle relazioni delle carceri in cui è stato risulta un detenuto modello (anche il padre si è sempre vantato di essere tale, ndr). Ma se dovesse sgarrare anche una sola volta, se ne dovrà andare». Sarà tenuto d’occhio dalla polizia, perchè secondo il procuratore capo di Pavia, Gustavo Cioppa, «resta un soggetto potenzialmente pericoloso ». Per i magistrati che l’hanno condannato «era diventato il nuovo punto di riferimento della famiglia e protagonista della riorganizzazione della cosca facente capo al padre». Ma la realtà che lo ospita ha le spalle grosse: ha già seguito uno dei fratelli Nirta, responsabili della strage di Duisburg, compiuta del 2007 dall’Ndrangheta. «E’ stato qui qualche anno, era un uomo buono e mite. Si è comportato bene».

Michela Nicolussi Moro
28 settembre 2011

Fonte: https://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2011/28-settembre-2011/figlio-riina-andra-lezione-bo-iscritto-terzo-anno-economia-1901663204634.shtml

Riina jr: «Vengo a vivere al Nord»

«Voglio rifarmi una vita». Venerdì il sì del giudice Insorge la Lega: «Da noi non lo vogliamo»

PAVIA – «Signor giudice, voglio rifarmi una vita da persona per bene, nonostante il nome che porto» dice il giovanotto in tribunale. L’hanno accontentato: dal 2 ottobre prossimo, lasciandosi alle spalle i cancelli del supercarcere di Voghera dopo aver scontato una condanna a otto anni, Salvuccio non tornerà più nella sua Sicilia. Una normale storia di reinserimento sociale? No, a renderla speciale è il cognome del protagonista: Riina. Per la precisione Giuseppe Salvatore Riina, 34 anni, figlio del boss dei boss. «Salvuccio» ha deciso di tagliare i ponti con Corleone, con l’ambiente mafioso, con l’ingombrante famiglia e giocarsi la seconda chance di vita al Nord, prendendo casa e lavorando per una onlus.

Destinazione tenuta al momento segreta, i rumors la indicano nella zona di Padova ma il fatto più importante è ovviamente la rottura tra Riina junior e le sue radici. E la Lega, che ai suoi esordi aveva scatenato una battaglia proprio contro l’invio al Nord di personaggi legati a Cosa Nostra, non ci sta: «Vale lo stesso discorso di 30 anni fa: sono personaggi pericolosi, qui non li vogliamo» attacca Gianluca Buonanno, deputato del Carroccio e già componente della Commissione antimafia. Il giudice di Pavia Maria Teresa Gandini, competente per la questione, ha depositato ieri mattina la sua decisione: dopo la scarcerazione Riina potrà risiedere nel Nord Italia. Ma conformemente a quanto richiesto dal procuratore capo Gustavo Cioppa, che ritiene il personaggio ancora «potenzialmente pericoloso», ha sottoposto il figlio del boss per 2 anni a misure del vigilanza speciale: Salvuccio dovrà rincasare sempre prima delle 22, non potrà incontrare pregiudicati e deve sottoporsi all’obbligo di firma. Per il resto sarà libero di prendersi casa e lavoro.

«Sia chiaro che il signor Riina non è un pentito – precisa il suo legale avvocato Francesca Casarotto – e rimane in ottimi rapporti con i suoi congiunti. Semplicemente ha manifestato al giudice la sua volontà di non ritornare in Sicilia e di fermarsi in un luogo dove ritiene di avere più possibilità di ricominciare una vita da persona onesta lontano dall’ambiente che gli ha provocato guai con la giustizia». Determinanti nella svolta sono stati alcuni incontri con i volontari nel carcere di Voghera, gli studi compiuti (informatica in particolare) e l’opportunità offerta al detenuto dalla onlus presso la quale lavorerà come impiegato. Ma come detto non tutti sono disposti a porgere metaforicamente l’altra guancia. «Se sapessi che uno così viene a vivere nel mio comune affiggerei manifesti con la sua faccia e la scritta “Via da qui”; un Riina deve sentire l’ostilità dell’ambiente che lo circonda» dice Gianluca Buonanno. E aggiunge il deputato leghista: «Non vogliamo che la storia e gli errori degli anni 70 si ripetano; allora l’applicazione dei soggiorni obbligati significò l’arrivo della mafia nelle nostre regioni. Oggi il pericolo è aumentato perché queste organizzazioni possono contare su ramificazioni più forti».

Claudio Del Frate
24 settembre 2011 12:23

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/11_settembre_24/riina-figlio-vengo-vivere-nord-1901625717621.shtml

Traffico illecito di rifiuti: sequestrato l’impianto della Riso Scotti Energia

Ai domiciliari anche Giorgio Radice, presidente del consiglio di amministrazione

MILANO – Doveva produrre energia pulita, invece smaltiva rifiuti non consentiti. La centrale a biomasse Riso Scotti Energia di Pavia è stata messa sotto sequestro mercoledì mattina, durante l’operazione «dirty energy», coordinata dalla procura della Repubblica di Pavia – diretta dal procuratore capo Gustavo Adolfo Cioppa – e condotte dai sostituti Roberto Valli, Luisa Rossi e Paolo Mazza. Sette persone sono finite agli arresti domiciliari, tra cui il presidente della società, Giorgio Radice e il direttore dell’impianto, Massimo Magnani, gli indagati nel complesso sono 12. Inoltre, sono stati sequestrati 40 mezzi ed eseguite 60 perquisizioni in tutta Italia.

SCARTO DEL RISO – La Riso Scotti Energia, società di proprietà della Riso Scotti, era destinata, in principio, allo smaltimento, attraverso una centrale a biomasse, della lolla del riso, un sottoprodotto della lavorazione industriale impiegato come ottimo combustibile. In seguito, grazie a un’evoluzione della normativa, l’impianto era autorizzato a smaltire anche rifiuti speciali non pericolosi: «Il coinceneritore – commenta Ugo Mereu, comandante regionale della Lombardia del Corpo forestale – sulla carta era un vero e proprio fiore all’occhiello, poiché serviva a smaltire uno scarto della produzione e, al contempo, a creare energia rinnovabile da reimpiegare in azienda. Purtroppo però abbiamo constatato che le cose non stavano così».

RIFIUTI NON CONSENTITI – Secondo le indagini condotte dal Corpo forestale, nell’impianto, insieme alla lolla, si bruciavano anche rifiuti di varia natura (tra cui legno, plastiche, imballaggi e fanghi di depurazione di acque reflue) con concentrazioni di inquinanti (soprattutto metalli pesanti) superiori ai limiti consentiti dalla legge. Un traffico di 40.000 tonnellate di rifiuti urbani e industriali non regolarmente trattati, provenienti da impianti di smaltimento in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia Romagna, Toscana e Puglia. Tutto ciò era possibile grazie ai falsi certificati rilasciati da laboratori di analisi chimiche compiacenti, per un giro d’affari che, secondo le prime stime, si aggira intorno ai 30 milioni di euro, grazie anche agli incentivi statali che questo genere di impianti riceve: «Il guadagno illecito principale proviene, oltre che dallo smaltimento dei rifiuti, dalla vendita di energia rinnovabile, per la quale sono previsti incentivi statali», conferma Paolo Moizi, comandante provinciale del Corpo forestale di Pavia. L’azienda, avrebbe venduto la propria energia (in realtà non pulita) a un prezzo elevato, perché incentivato, alla rete nazionale: «Inoltre – prosegue Moizi – nell’impianto era stato installato un secondo generatore, che ufficialmente sarebbe dovuto servire in caso di malfunzionamento del primo, ma che in realtà produceva ugualmente energia». La lolla miscelata con scarti industriali, inoltre, veniva anche venduta, senza alcuna autorizzazione, per la produzione di lettiere per animali, in particolare pollame e suini, e per la produzione di pannelli di legno.

ESCLUSE INFILTRAZIONI MAFIOSE – La centrale, che si trova alle porte di Pavia, ha probabilmente immesso in atmosfera emissioni oltre il limite consentito: «E’ un filone d’indagine successivo – spiega Mereu – ciò che noi abbiamo constato, tuttavia, è che la centralina di rilevamento presente nell’impianto funzionava male: dai report non risultavano variazioni tra una rilevazione e l’altra. Impossibile non accorgersene». Le indagini condotte dal Nucleo investigativo provinciale di polizia ambientale e forestale di Pavia del Corpo forestale dello Stato, in collaborazione con personale della polizia di Stato – Gabinetto regionale della polizia scientifica di Milano e Direzione centrale anticrimine di Roma, sono durate due anni. La maxi operazione, che ha richiesto l’impiego di 250 agenti del Corpo forestale e di 25 poliziotti, è la prima nel settore delle smaltimento delle biomasse: «Sono impianti relativamente giovani ed è necassario incrementare i controlli, visto il giro d’affari che muovono, anche se questo tipo di indagini sono molto difficili, perché richiedono elevate competenze tecniche». Dell’inchiesta si sta occupando la Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini: «Per ora non abbiamo elementi per affermare che sia coinvolta la criminalità organizzata, ma per legge quando un’indagine si occupa di traffico illecito di rifiuti, la competenza spetta alla DDA», conclude Mereu.

Maddalena Montecucco
17 novembre 2010

Fonte: https://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/10_novembre_17/pavia-traffico-rifiuti-riso-scotti-arresti-energia-1804189016896.shtml?fr=correlati

Madre e figli uccisi, procuratore di Pavia: ”La risoluzione in tempi rapidi”

Il procuratore capo di Pavia, Gustavo Cioppa, risponde ai giornalisti in merito al triplice omicidio a Motta Visconti, in provincia di Milano, dove una donna di 39 anni è stata trovata morta insieme ai due figli, di 4 anni e 20 mesi, nella sua abitazione. A scoprire i corpi è stato il marito che in queste ore viene ascoltato dai carabinieri video di Flavio Lo Scalzo/AGF

Fonte: https://www.bresciaoggi.it/home/italia/madre-e-figli-uccisi-procuratore-di-pavia-la-risoluzione-in-tempi-rapidi-1.4106070

Omicidio a Motta Visconti, il marito confessa: “Avevamo appena fatto l’amore, poi li ho uccisi tutti”

«Carlo, Carlo perché mi fai questo?». Sarebbero queste le ultime parole di Cristina Omes prima di morire dissanguata per le ferite inflittale dal marito con un coltello. Niente in quella serata lasciava presagire la tragedia che si stava per compiere nella villetta di Motta Visconti. Carlo Lisi confessando il triplice omicidio ha raccontato ai carabinieri che vevano appena fatto l’amore sul divano nel salotto, stavano guardando la televisione insieme, i bambini dormivano tranquillamente: Giulia nella cameretta e Gabriele nel lettone matrimoniale. A un certo punto Carlo si alza in mutande, va in cucina il cui ingresso si trova alle spalle del divano, prende un coltello, raggiunge la donna seduta di spalle rispetto all’ingresso del salotto e comincia a colpirla. Lei urla, cerca di reagire e grida «aiuto». Lui la colpisce con un pugno facendola finire a terra nell’androne dell’ingresso e la finisce con una coltellata di punta alla gola. Il corpo resterà lì quattro ore, dissanguandosi. Ancora in mutande finisce i suoi figli: Giulia di quattro anni e Gabriele di 20 mesi con un colpo deciso che ha reciso loro la carotide.

Poi si è fatto una doccia in cantina, si è vestito, ha provato a simulare un furto lasciando aperta la cassaforte, andando infine a vedere la partita dell’Italia ai Mondiali in compagnia di un amico al pub Zimè di Motta Visconti. Lungo il percorso, in via Mazzini, si è liberato del coltello buttandolo in un tombino, dove i carabinieri lo hanno ritrovato questa mattina. Al pub lo conoscevano in molti e ai carabinieri hanno raccontato che Lissi era tranquillo, ha scherzato e esultato per i gol della Nazionale come tutti.

Solo intorno all’1.30, quando è rientrato a casa, il programmatore 31enne ha dato l’allarme. Ai carabinieri di Abbiategrasso, che sono intervenuti, l’uomo ha detto di aver trovato la porta di casa spalancata e di essersi subito messo in allarme. Ha poi raccontato di ave trovato la moglie sul divano in un lago di sangue, di averla abbracciata e di aver cercato inutilmente di rianimarla, poi di essere salito al piano superiore e di aver trovato i corpi dei due figli. A quel punto il 31enne ha detto di aver avvertito il 118 e chiamato i carabinieri. La ricostruzione, però, non ha convinto gli investigatori, che hanno subito notato come gli abiti di Lissi, che sarebbero dovuti essere sporchi di sangue, in realtà fossero puliti. Questo e altri particolari hanno permesso ai carabinieri di risolvere il caso in meno di 24 ore. «È stato un delitto orribile, efferato. Qualsiasi cosa io possa dire non è abbastanza», ha spiegato il procuratore di Pavia Gustavo Cioppa, che ha coordinato le indagini.

Perché? Durante la confessione ha detto ai carabinieri di essersi innamorato di una collega di lavoro, una passione che non era comunque corrisposta. Carlo le aveva fatto della avances, «anche esplicite», ma la donna non aveva mostrato alcun interesse. Secondo l’assassino, la famiglia sarebbe stato un ostacolo per il suo nuovo amore.

Fonte: https://www.liberoquotidiano.it/news/italia/11637748/Omicidio-a-Motta-Visconti–il.html

Ragazzo morto accoltellato, fermato un giovane vicino alla famiglia

Sospetti su un 25enne, pregiudicato, residente come la vittima a Chignolo Po e fidanzato della cugina

C’è un fermo per l’omicidio di Gianluca Serpa, diciotto anni, arrivato in fin di vita e poi morto all’ospedale di Castel San Giovanni, nel piacentino. Il ragazzo, che è stato trasportato in ospedale dal padre e dal fratello in ospedale attorno alle 2,30 della notte fra domenica e lunedì, sarebbe stato ucciso al termine di una lite vicino a casa a Chignolo Po, in provincia di Pavia. 

La lite – Ieri intorno alle 23  i carabinieri di Pavia e di Stradella, hanno fermato Angelo Siciliano, 25 anni, pregiudicato, residente come la vittima a Chignolo Po, fidanzato della cugina. Ascoltato dai magistrati di Pavia, Paolo Mazza e Gustavo Cioppa, per Siciliano è scattato il fermo con l’accusa di omicidio. Secondo   gli inquirenti il 25enne avrebbe accoltellato il diciottenne al termine di una lite sui cui motivi non è stata ancora fatta luce.

L’arma del delitto – L’arma del delitto potrebbe essere un grosso coltello ricurvo e parzialmente seghettato, con una lama lunga circa 20 centimetri, trovato ieri ancora sporco di sangue tra la spazzatura, poco distante dal luogo dove è stata soccorsa la vittima.

Fonte: https://www.liberoquotidiano.it/news/italia/1130574/Ragazzo-morto-accoltellato–sotto-torchio-papa-e-fratello-.html

Milano: furti in farmacie e bar, fermati 11 albanesi

Milano, 27 mag. – (AdnKronos) – Nel corso della notte i carabinieri della compagnia di Abbiategrasso, comune alle porte di Milano, hanno eseguito 11 fermi di indiziato di delitto emessi nei confronti di un gruppo di albanesi che, secondo gli inquirenti, fanno parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione di delitti contro il patrimonio.

A carico degli indagati sono stati raccolti gravi indizi di colpevolezza in relazione a decine di furti in tabaccherie e farmacie delle province di Milano, Pavia, Bergamo e Brescia che sono state razziate con la tecnica della ‘spaccata’.

Maggiori particolari saranno resi noti nel corso della conferenza stampa, alla quale presenzierà il Procuratore Capo di Pavia, Gustavo Cioppa, che avrà luogo alle 11 presso il comando provinciale carabinieri di Milano.

Fonte: https://www.liberoquotidiano.it/news/cronaca/11793991/milano-furti-in-farmacie-e-bar-fermati-11-albanesi.html

Moglie e figli sgozzati in casa: fermato il marito per omicidio

Carlo Lissi confessa: “Voglio il massimo della pena”. La sua versione smentita dai riscontri scientifici. L’uomo aveva una passione (non corrisposta) per una collega

Un delitto efferato, spietato, che ha creato “angoscia” perfino tra egli inquirenti. La donna, Cristina Omes, di 38 anni, e i due piccoli, Giulia e Gabriele, di 5 anni e di 20 mesi, sono stati sgozzati e sui loro corpi ci sono numerose altre lesioni che fanno supporre un accanimento senza alcuna pietà.

Per il triplice omicidio, che ha distrutto una famiglia intera sconvolgendo gli abitanti di Motta Visconti, è stato fermato dopo un lungo interrogatorio il marito Carlo Lissi. Formalizzate le accuse, l’uomo è stato portato nel carcere di Pavia.

Malgrado avesse inscenato una rapina nel tentativo di sviare le indagini, Lissi è stato ripetutamente interrogato dai carabinieri finché è crollato. Quando gli hanno contestato di essere invaghito, da oltre sei anni, di una collega, non ha potuto che arrendersi all’evidenza dei fatti. “Datemi il massimo della pena”, ha detto testualmente il 31enne impiegato tenendosi le mani tra la testa. Sin dalle prime battute i carabinieri del Nucleo investigativo hanno cominciato a propendere per la pista “famigliare” subito dopo le prime fasi di indagine. Il fatto stesso che nella strage non fosse stato risparmiato nemmeno il più piccolo dei due bambini, di appena 20 mesi, rendeva meno credibile la pista “esterna”, di una sanguinosa rapina, e il mancato ritrovamento dell’arma del delitto nelle immediate vicinanze dei cadaveri rendeva difficile uno scenario di omicidio-suicidio. Tanto da farlo escludere pubblicamente dagli inquirenti già nel primo pomeriggio. Lissi, dopo l’allarme da lui stesso dato poco dopo le 2 di notte, è stato sentito fino a ieri mattina e poi è stato fatto tornare a casa. Risentito più volte nel corso della giornata per confrontare via via le sue dichiarazioni con quelle di amici e testimoni e con i primi riscontri scientifici e medico-legali emersi sulla scena del delitto, gli investigatori dell’Arma hanno prima cominciato ad avere dubbi sulla sua versione e poi avrebbero avuto sentore di possibili gravi tensioni nella coppia. Stanotte, dopo uno stringente interrogatorio nella caserma della Compagnia di Abbiategrasso (Milano) l’epilogo della vicenda, con le contestazioni formali.

“Carlo, perché mi fai questo?”, ha urlato Cristina mentre lui la trafiggeva ripetutamente con un coltello da cucina. Poco prima avevano fatto l’amore nel salotto adiacente all’ingresso. Poi la furia. La donna, colta di spalle mentre guardava la televisione, ha anche cercato di reagire, ma lui l’ha colpita con un pugno e ha iniziato a infierire con l’arma. Così, dopo averla sgozzata, ha lasciato il corpo a terra a dissanguarsi per quattro ore. Quindi è salito al piano di sopra dove stavano dormendo i bambini. È andato prima nella cameretta della figlia: le ha appoggiato una mano sul collo e con l’altra ha affondato, di punta, il coltello nella gola. La piccola è morta senza nemmeno svegliarsi. Poi si è diretto nella camera matrimoniale dove il fratellino veniva fatto addormentare per essere spostato in cameretta. Anche al piccolino Lissi ha fatto scendere la lama nella gola, tenendo fermo il collo, mentre dormiva profondamente. La donna e i figli sono stati brutalmente assassinati con numerose coltellate in casa, una villa nella zona residenziale di Motta Visconti. La scena apparsa ai soccorritori è stata raccapricciante: sangue ovunque e i corpi della bambina nella sua cameretta, del piccolo nel letto matrimoniale e della donna, in soggiorno, martoriati. La cassaforte aperta e i contanti in essa contenuti, una cifra di non particolare entità, pare, spariti, ma senza segni di effrazioni evidenti sul forziere o sulla porta. Una messinscena, insomma.

“Dopo aver sterminato la famiglia – ha spiegato il procuratore capo di Pavia, Gustavo Cioppa – Lissi è andato a vedere la partita dell’Italia da amici, come se niente fosse”. Dopo la mattanza si è infatti trovato con un amico al pub del paese, lo Zymè. “Non tremava, non era nervoso, sorrideva e parlava di calcio, come tutti – ha raccontato un vecchio conoscente – ha anche esultato in occasione dei gol di Marchisio e Balotelli”.

Sergio Rame – Lun, 16/06/2014

Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/moglie-e-figli-sgozzati-casa-fermato-marito-omicidio-1028410.html

Salvuccio Riina: “Vado al Nord per rifarmi una vita”

«Signor giudice, voglio rifarmi una vita da persona per bene, nonostante il nome che porto» dice il giovanotto in tribunale. L’hanno accontentato: dal 2 ottobre prossimo, lasciandosi alle spalle i cancelli del supercarcere di Voghera dopo aver scontato una condanna a otto anni, Salvuccio non tornerà più nella sua Sicilia. Una normale storia di reinserimento sociale? No, a renderla speciale è il cognome del protagonista: Riina. Per la precisione Giuseppe Salvatore Riina, 34 anni, figlio del boss dei boss. «Salvuccio» ha deciso di tagliare i ponti con Corleone, con l’ambiente mafioso, con l’ingombrante famiglia e giocarsi la seconda chance di vita al Nord, prendendo casa e lavorando per una onlus.

Destinazione tenuta al momento segreta, i rumors la indicano nella zona di Padova ma il fatto più importante è ovviamente la rottura tra Riina junior e le sue radici. E la Lega, che ai suoi esordi aveva scatenato una battaglia proprio contro l’invio al Nord di personaggi legati a Cosa Nostra, non ci sta: «Vale lo stesso discorso di 30 anni fa: sono personaggi pericolosi, qui non li vogliamo» attacca Gianluca Buonanno, deputato del Carroccio e già componente della Commissione antimafia. Il giudice di Pavia Maria Teresa Gandini, competente per la questione, ha depositato ieri mattina la sua decisione: dopo la scarcerazione Riina potrà risiedere nel Nord Italia. Ma conformemente a quanto richiesto dal procuratore capo Gustavo Cioppa, che ritiene il personaggio ancora «potenzialmente pericoloso», ha sottoposto il figlio del boss per 2 anni a misure di vigilanza speciale: Salvuccio dovrà rincasare sempre prima delle 22, non potrà incontrare pregiudicati e deve sottoporsi all’obbligo di firma. Per il resto sarà libero di prendersi casa e lavoro.

«Sia chiaro che il signor Riina non è un pentito – precisa il suo legale avvocato Francesca Casarotto – e rimane in ottimi rapporti con i suoi congiunti. Semplicemente ha manifestato al giudice la sua volontà di non ritornare in Sicilia e di fermarsi in un luogo dove ritiene di avere più possibilità di ricominciare una vita da persona onesta lontano dall’ambiente che gli ha provocato guai con la giustizia». Determinanti nella svolta sono stati alcuni incontri con i volontari nel carcere di Voghera, gli studi compiuti (informatica in particolare) e l’opportunità offerta al detenuto dalla onlus presso la quale lavorerà come impiegato. Ma come detto non tutti sono disposti a porgere metaforicamente l’altra guancia. «Se sapessi che uno così viene a vivere nel mio comune affiggerei manifesti con la sua faccia e la scritta “Via da qui”; un Riina deve sentire l’ostilità dell’ambiente che lo circonda» dice Gianluca Buonanno. E aggiunge il deputato leghista: «Non vogliamo che la storia e gli errori degli anni 70 si ripetano; allora l’applicazione dei soggiorni obbligati significò l’arrivo della mafia nelle nostre regioni. Oggi il pericolo è aumentato perché queste organizzazioni possono contare su ramificazioni più forti».

Nino Amadore

24 settembre 2011 

Fonte: https://ninoamadore.blog.ilsole24ore.com/2011/09/24/salvuccio-riina-vado-al-nord-per-rifarmi-una-vita/