Mafia, nel 2016 almeno 18 intimidazioni ad amministratori lombardi

La Commissione regionale e il Comitato Scientifico si impegneranno per approfondire il monitoraggio del fenomeno

Milano, 20 novembre 2017 – Sono almeno 18 gli atti intimidatori di stampo mafioso negli confronti degli amministratori locali, avvenuti in Lombardia l’anno scorso. E’ quanto emerge dal rapporto 2016 di ‘Avviso pubblico’ che ha un focus dedicato alle minacce nei confronti degli agenti di polizia municipale, con 108 casi censiti. Il tema delle minacce nei confronti degli amministratori locali e’ stato al centro di un incontro promosso oggi a Palazzo Pirelli dalla commissione speciale Antimafia e al quale sono intervenuti Gustavo Cioppa, sottosegretario alla presidenza della Regione Lombardia, Gian Antonio Girelli, presidente della commissione speciale Antimafia, Nando Dalla Chiesa, presidente del comitato tecnico scientifico, Pier Paolo Romani, coordinatore nazionale Avviso Pubblico, e Virginio Brivio, presidente Anci Lombardia.

Nelle scorse settimane la commissione speciale antimafia aveva inviato ai Comuni lombardi un questionario per raccogliere piu’ dati possibili: oltre 900 le risposte ricevute, ben 500 dai Comuni, e oltre 120 segnalazioni di casi di varia natura. “La presentazione del rapporto di Avviso Pubblico e la sintesi dei questionari inviati dalla Commissione Antimafia e dal Comitato per la legalita’ di Regione Lombardia – ha commentato Girelli – evidenziano la criticità di un fenomeno purtroppo diffuso in tutta Italia e anche in Lombardia. I numeri ci dicono che troppi amministratori pubblici subiscono vari tipi di intimidazioni, sotto forma di violenza fisica, attentati a beni, minacce in varie forme. E i dati raccolti hanno il limite di non aver raccolto tutto quanto effettivamente e’ avvenuto, essendo ancora da vincere una certa resistenza a denunciare. Ecco che allora l’impegno della nostra Commissione deve svilupparsi su tre obiettivi: – far comprendere che quando un amministratore viene minacciato non deve in nessun modo sentirsi solo, ma sentire il supporto e la protezione di tutta la rete di amministratori lombardi; – far sapere alle organizzazioni mafiose che c’e’ una risposta di tutta la realtà istituzionale al loro tentativo di minacciare e intimorire gli amministratori pubblici; – maturare la consapevolezza che ad essere minacciata, quando avvengono fatti di questo genere, non e’ la singola persona o la singola realtà, ma la stessa tenuta del sistema democratico. La Commissione regionale e il Comitato Scientifico si impegneranno per approfondire con Avviso Pubblico il monitoraggio del fenomeno e l’immediata condanna di ogni intimidazione, nonché attivare un supporto alle vittime”.

Fonte Agi

Fonte: https://www.ilgiorno.it/cronaca/intimidazioni-mafia-1.3548921

Teste di maiale e macchine bruciate: fare il sindaco, mestiere a rischio

La relazione dell’Antimafia: nel Milanese il record di minacce

Milano, 21 novembre 2017 – Tra le regioni del Settentrione è la Lombardia la prima per numero di minacce e intimidazioni riconducibili ad ambienti mafiosi subite dagli amministratori locali, vale a dire dai sindaci e dagli assessori dei 1.543 Comuni che ne fanno parte. A rivelarlo è il dossier «Amministratori sotto tiro», curato dall’associazione “Avviso Pubblico”, da tempo impegnata nel contrasto alle infiltrazioni malavitose. In testa alla graduatoria ci sono Calabria, Sicilia e Campania con, nell’ordine, 87, 86 e 64 casi di minacce e intimidazioni a politici locali nel corso dei 12 mesi del 2016, l’anno al quale fa riferimento la ricerca. Al quarto posto la Puglia (62 casi), al quinto la Sardegna (42), quindi Lazio (21) ed Emilia Romagna (19). Poi ecco la Lombardia con 18 casi. La provincia più colpita è Milano (6), seguono Mantova, Como e Pavia con 3 casi ciascuna, Lecco con 2 e infine Brescia con un solo caso. Dati fisiologicamente sottostimati. Di che tipo di intimidazioni si parla, esattamente? Nel dossier si segnalano in particolare i casi di Pescate (Lecco), dove è stata ritrovata una testa di maiale scotennata che, secondo i carabinieri, costituiva un avvertimento per un consigliere comunale, quello di Sorico (Como), dove è stata incendiata l’auto del sindaco.

La via preferita dalla malavita è proprio l’incendio di un bene di proprietà della persona “sgradita”, seguito da lettere e messaggi minatori e dai danneggiamento di strutture e mezzi. Le aggressioni fisiche sono “solo” il 10% dei casi. E ancora marginali risultano insulti e minacce via social network. Diciassette le locali di ’ndrangheta attive sul territorio, un dato, quest’ultimo, già emerso dalle ultime inchieste delle procure. «Le intimidazioni mafiose rappresentano un pericolo per la libertà individuale, sociale ed economica – spiega Gustavo Cioppa, sottosegretario della Regione nel corso della presentazione del dossier alla Commissione Antimafia del Pirellone –. Un fenomeno che anche grazie al coraggio degli stessi amministratori minacciati emerge ora nella sua gravità. Una consapevolezza da cui si può innescare una reazione». A sottolineare l’importanza del sostegno delle istituzioni ai propri appartenenti e dell’associazionismo sono stati anche Maria Ferrucci, ex sindaco di Corsico, ora in quel Consiglio comunale dove esplose il caso della Sagra dello Stocco di Mammola, e da Virginio Brivio, presidente dell’Associazione dei Comuni Lombardia (Anci Lombardia). «La regione – dice Nando Dalla Chiesa – è un campo di battaglia: a rischio non solo la concorrenza, ma anche le libertà politiche». Da parte sua la Commissione antimafia del Pirellone nei mesi scorsi aveva inviato ai Comuni un questionario sempre sul tema della intimidazioni: oltre 900 le risposte ricevute, ben 500 dai Comuni per oltre 120 segnalazioni di casi di varia natura. «Fenomeno purtroppo radicato», conclude il presidente Gian Antonio Girelli.

di GIAMBATTISTA ANASTASIO

Fonte: https://www.ilgiorno.it/cronaca/minacce-sindaci-1.3550076

“Piazza Fontana non si dimentica, lottiamo contro i rigurgiti di fascismo”

I familiari delle vittime: stanchi dell’assenza di esponenti dello Stato

Muilano, 13 dicembre 2017 – «È vero oggi è il 12», indovina un passante dallo striscione di testa mentre il corteo lungo e magro, che in fondo pare tutto gonfaloni e divise, attraversa piazza del Duomo col sottofondo della urla d’una massa di adolescenti in attesa di qualche loro idolo in via Mercanti. Troppo rumorosa oggi questa piazza, per ascoltare quel silenzio che «gridava», 48 anni fa, quando era murata da «migliaia e migliaia» di persone ai funerali, ricorda Carlo Arnoldi, presidente dell’Associazione Familiari e vittime di Piazza Fontana.

Una risposta «di popolo» che «contribuì» «a sconfiggere la strategia della tensione» e salvare la democrazia, ricorda nel suo messaggio il Presidente Sergio Mattarella, e dice che la strada della verità va ancora «perseguita». Come hanno fatto le famiglie delle vittime e i feriti, ricorda il sottosegretario della Regione Gustavo Cioppa. E se è mancata la giustizia, «le indagini degli anni ’90 non sono state inutili – ricorda Guido Salvini, il magistrato che le ha riaperte -. Le sentenze danno» ai neonazisti di Ordine nuovo «una paternità» della strage «chenon può essere discussa». «I colpevoli ci sono e sono i fascisti», sintetizza il sindaco Beppe Sala, e ai «rigurgiti» di saluti romani, blitz, provocazioni e vandalismi che hanno infestato gli ultimi mesi di vita pubblica non solo milanese «dobbiamo rispondere con un antifascismo militante». «Bisogna mettere fuorilegge le associazioni naziste e fasciste, le leggi ci sono», taglia corto dal palco la presidente nazionale dell’Anpi Carla Nespolo, mentre quello milanese, Roberto Cenati, invita «gli antifascisti e i democratici» domani in consiglio comunale, dove si discute la mozione di maggioranza per negare spazi, partocini e contributi a chi non si riconosce nei valori della Costituzione.

«Ci sono forze politiche che non prendono le distanze dal fascismo, rimane che chi lo fa deve moltiplicare gli sforzi», chiosa Sala. Anche «portando in piazza l’anno prossimo più giovani». E più persone in generale, perché, dice Arnoldi, anche se son passati «gli anni terribili in cui il 12 dicembre era un mero pretesto per contestare le istituzioni, a Bologna, a Brescia si mobilitano in migliaia: anche a Milano è tempo che la manifestazione sia una». Gli anarchici della Ghisolfa a Piazza Fontana arriveranno a sera insieme al corteo dei centri sociali partito da piazza Abbiategrasso. Dopo essersi riuniti in piazza Santo Stefano, più piccola e piena, per scoprire la nuova lapide a Claudio Varalli e Giannino Zibecchi, un blocco di granito a prova di nuovi vandalismi. Ma Claudia Pinelli ieri mattina era con l’associazione Familiari alla Casa della Memoria, per parlare a cento studenti. E prima di andare in piazza Santo Stefano era in Piazza Fontana, dietro le transenne, ad ascoltare Arnoldi dire il nome di suo padre Pino dopo quelli delle 17 vittime della bomba alla Banca dell’Agricoltura: un diciottesimo «presente», lontanissimo da quelli a braccio teso, per il ferroviere anarchico, «vittima due volte», anche di «pesantissimi infondati sospetti». Perché poi, chiarisce Arnoldi, quelli che «in questa piazza brillano per la loro assenza sono i rappresentanti dello Stato. Siamo stanchi di invitare tutti gli anni qualcuno per sentirlo poi declinare per impegni improvvisi. Certo, sanno che Milano è una città difficile, divisa. Ma sanno anche delle connivenze di apparati dello Stato che allora collaborarono nella strage, e si cerca di fare in modo che col passare degli anni sia dimenticata. Non lo sarà mai».

Fonte: https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/strage-piazza-fontana-1.3602769

Milano, carabiniere morto in caserma: l’esercitazione doveva essere con armi scariche

Andrea Vizzi, che stava simulando la parte dell’aggressore, non indossava il giubbotto antiproiettile

Milano, 13 febbraio 2018 – Non aveva il giubbotto antiproiettile addosso Andrea Vizzi, il carabiniere 33enne che ieri è rimasto vittima di un incidente alla caserma Montebello di Milano, durante un’esercitazione. E non lo indossava perché in quel momento stava simulando la parte dell’aggressore in uno degli scenari a cui le Api (Aliquote di pronto intervento) immaginano di trovarsi in caso di attentato o persona pericolosa in preda all’alterazione psicofisica.

L’esercitazione, che si sarebbe dovuta svolgere ad armi scariche, era cominciata alle 17:30, quindi era quasi a metà quanto un collega brigadiere ha esploso il colpo accidentalmente. Secondo quanto ricostruito finora, la pattuglia composta da quattro persone che stava svolgendo l’esercitazione era rientrata da un’attivita’ operativa e si era subito dopo dedicata al ciclo di esercitazioni che dovevano avere luogo nel grosso garage multipiano scelto per organizzarle. La procedura, come appreso, prevede che le armi – in particolare gli M12 (mitragliatrici) con cui spesso i carabinieri hanno a che fare – utilizzate durante le operazioni in strada vengono poi controllate e scaricate in modo da essere utilizzate in modo inoffensivo durante l’esercitazione.

In questo passaggio però qualcosa non ha funzionato ed è su questo che si sta concentrando l’indagine della procura, coordinata dalla pm Sara Arduini e dall’aggiunto Tiziana Siciliano e operata dal nucleo investigativo dei carabineri di Milano. Era proprio il brigadiere il responsabile del gruppo in quel momento ed e’ dal suo fucile che e’ partito il colpo che ha raggiunto l’appuntato nell’emitorace destro. Nel contesto delle tragiche fatalità che hanno portato alla morte di Andrea Vizzi c’è anche la distanza ravvicinata, appena pochi metri, tra il fucile e il suo corpo. Per il ruolo che stava svolgendo in quel momento, Vizzi, si trovava proprio nella linea di tiro, tanto che il colpo non gli ha dato scampo. Il militare e’ stato rianimato per circa 45 minuti ma poi e’ morto durante il trasporto all’ospedale. Nessun dubbio che si sia trattato di un incidente: il collega responsabile dell’accaduto e’ stato ricoverato subito anch’esso sotto choc all’ospedale San Carlo. Questa mattina però è stato dimesso e sta verbalizzando in queste ore il suo racconto dei fatti. Per lui si potrebbe formulare un’accusa di omicidio colposo. Contestualmente partira’ anche una procedura interna di tipo amministrativo.

Comunque, nella caserma Montebello c’è un precedente recente, per fortuna senza nessuna conseguenza grave, a quanto accaduto ieri pomeriggio: solo un colpo di pistola esploso per sbaglio, nessun ferito e una denuncia per ‘violata consegna’ alla Procura Militare.

L’Arma tuttavia si è stretta attorno al dolore di entrambe le famiglie. In particolare, i genitori della vittima con una sorella stanno partendo in questi momenti dalla stazione di Brindisi per raggiungere Milano e una volta qui saranno assistite dai colleghi militari; l’altra sorella, che abita invece a Torino, gia’ ieri sera e’ arrivata nel capoluogo lombardo. Un’intera famiglia dedicata al servizio nelle forze dell’ordine quella del carabiniere leccese: la fidanzata è infatti un’agente di polizia in servizio a Milano.

Vicinanza anche da Regione Lombardia.  “Cordoglio e solidarietà alla famiglia del giovane servitore dello Stato caduto in servizio a Milano ed all’Arma dei Carabinieri”, scrive in una nota il sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia Gustavo Cioppa. “I giovani – continua Cioppa – appartenenti all’Aliquota di primo intervento, unità ‘antiterrorismò per fronteggiare in maniera immediata qualsiasi attacco, servono lo Stato con grandissima capacità, professionalità e spirito di sacrificio. La morte di questo giovane durante un’esercitazione sia fulgido esempio per la cittadinanza tutta dell’impegno costante che le Forze dell’Ordine pongono al servizio della collettività”. “Il suo ricordo – conclude il sottosegretario – resterà sempre vivo nella nostra memoria, insieme a quello di tutti gli appartenenti all’Arma che hanno perso la vita in servizio per la tutela dei valori di libertà e democrazia su cui è basata la nostra Repubblica”.

Fonte: https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/esercitazione-carabiniere-morto-1.3722940

Milano, carabiniere ucciso in caserma: il giallo del caricatore

Andrea Vizzi è morto durante un’esercitazione. “L’arma non doveva avere colpi”

Milano, 14 febbraio 2018 – Quel colpo non avrebbe mai dovuto partire dall’arma. La Beretta Pm12 doveva essere scarica. O meglio, il caricatore della pistola mitragliatrice doveva essere scarico. E invece qualcosa non ha funzionato, forse nella fase di scaricamento. A farne le spese è stato Andrea Vizzi, centrato al petto da un proiettile calibro 9 esploso da pochi metri: inutili le manovre di rianimazione andate avanti per 45 minuti; il militare è morto durante il trasporto in ambulanza dalla caserma Montebello al pronto soccorso del Policlinico.

Il giorno dopo la tragedia che ha scosso i carabinieri di Milano e di tutta Italia non c’è ancora una spiegazione definitiva. I genitori dell’appuntato 33enne, originario della leccese Corigliano d’Otranto, sono arrivati nel primo pomeriggio di ieri con un volo Brindisi-Linate e hanno raggiunto all’obitorio di piazzale Gorini la fidanzata di Vizzi, agente di polizia, e l’altra figlia residente a Torino; ad accoglierli c’era il comandante generale Giovanni Nistri. Messaggi di vicinanza sono giunti da tutte le istituzioni nazionali e cittadine: dal sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi («Ci stringiamo intorno ai parenti») al sottosegretario alla presidenza di Regione Lombardia Gustavo Cioppa («Il suo ricordo resterà sempre vivo»). Del caso si stanno occupando i carabinieri del Nucleo investigativo, coordinati dall’aggiunto Tiziana Siciliano e dal pm Sara Arduini.

Dopo le dimissioni dall’ospedale San Carlo, dov’è stato ricoverato per una notte in stato di choc, il vice brigadiere che ha accidentamente ucciso Vizzi è stato sentito dai colleghi di via Moscova per avere la sua versione; a breve verrà aperto un fascicolo per omicidio colposo in cui il 46enne verrà iscritto come atto dovuto per i successivi approfondimenti. Di quella squadra, composta da quattro elementi, lui era il responsabile: una lunga esperienza tra Radiomobile e Antidroga, il militare era entrato sin dall’inizio nelle Api, le Aliquote di primo intervento istituite a fine 2015 dopo l’attentato al Bataclan per intervenire in caso di eventuali assalti terroristici; Vizzi, invece, aveva fatto ingresso nel reparto qualche mese fa, proveniente dalla stazione di Arese. 

Tutto è successo in pochi secondi, poco prima delle 18 di lunedì, durante un’esercitazione al piano -2 della Montebello, in un’area riservata proprio all’addestramento delle Api in uno scenario che ricalca quello del parcheggio di un centro commerciale. Il 33enne impersonava un attentatore armato di coltello che all’improvviso aggredisce un militare in strada, simulando uno dei casi accaduti di recente in Inghilterra. Era senza giubbotto antiproiettile, visto che si trattava di un’esercitazione «in bianco», vale a dire con armi scariche. Eppure il colpo è partito comunque, dalla Pm12 imbracciata dal vice brigadiere e capo squadra. Cosa non ha funzionato? Urge una premessa: è da escludere che un colpo sia rimasto in canna, come può capitare con la pistola Beretta d’ordinanza; la Pm12 è un’arma automatica a massa battente, cioè con una sorta di stantuffo posteriore che spinge il proiettile verso l’esterno e per la quale il caricamento di ogni singolo colpo non è effettuato dall’operatore. Quindi, una cosa pare certa: se il colpo è partito, vuol dire che il caricatore era inserito. L’ipotesi più probabile è che il vice brigadiere lo abbia introdotto nella mitragliatrice convinto che fosse privo di proiettili, sicuro di averlo scaricato completamente. Scartata dai colleghi del 46enne – descritto come esperto e molto scrupoloso nel suo lavoro (ieri sera in tanti lo hanno accolto con un abbraccio senza parole al rientro in caserma) – l’ipotesi dell’inserimento volontario di un caricatore pieno, anche solo per simulare un livello di stress il più vicino possibile a una situazione di reale pericolo e con la convinzione che il proiettile non sarebbe mai potuto partire neppure per sbaglio.

Fonte: https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/carabiniere-morto-caserma-1.3724141

Regione Lombardia ricorda le donna vittime di mafia

Milano, 20 marzo 2018 – Regione Lombardia ha ricordato le vittime delle mafie nel corso di una giornata promossa dal Consiglio regionale, in cui protagoniste sono state soprattutto le donne che lottano e che sono state vittime della criminalità organizzata.

“Oggi le donne possono essere una delle chiavi più potenti per contrastare la mafia e debellare questa cultura che si trasmette da una generazione all’altra – ha commentato il presidente del Consiglio regionale, Raffaele Cattaneo – possono avere ruolo ancora più important”». In questi cinque anni “il Consiglio regionale ha voluto dare una risposta in positivo, perché non basta dire che la mafia riguarda anche il nostro territorio – ha aggiunto – ma ci vuole sensibilizzazione e cultura della legalità”. Alla giornata ha partecipato anche Maria Lusida Iavarone, docente di scienze pedagogiche e madre di un ragazzo aggredito e gravemente ferito da una baby gang a Napoli: “I ragazzi sono i radar della legalità”, ha commentato. Sono intervenuti anche Gustavo Cioppa, sottosegretario alla Presidenza della Giunta regionale, Alessandra Cerreti, magistrato della Direzione distrettuale antimafia e Nando Dalla Chiesa, presidente del Comitato tecnico scientifico per la legalità e il contrasto alle mafie. oltre a 230 studenti delle scuole superiori lombarde. “Questa commemorazione – ha dettp Cerreti – non è fine a se stessa ma serve per comprendere il presente e migliorare il futuro, con la cultura e rifiutando le logiche mafiose che serpeggiano ovunque, perche’ qualsiasi forma di prevaricazione è mafia, perché la mafia e’ prevaricazione.

Nel corso della mattinata è stato inoltre messo in scena lo spettacolo ‘Pi Amuri – Ballata per fiori innamorati. Storie di donne contro la mafia’ della Compagnia del Bivacco. La pièce ha messo in scena, con una coreografia essenziale colorata di rosso nero e bianco, le storie di Rita Atria, Piera Aiello e Saveria Antiochia e un ricordo di Lea Garofalo e della figlia Denise Cosco. In chiusura dei lavori, Gianantonio Girelli, presidente della commissione regionale Antimafia, ha ricordato che la prevenzione è l’elemento cruciale per un contrasto efficace dell’illegalità e ha invitato a “trasformare il ricordo in impegno”.

Fonte: https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/donne-vittime-mafia-1.3798473

Regione, Fabrizio Sala vicepresidente al posto di Mantovani

Mini rimpasto di Giunta: Giulio Gallera assessore al Reddito di autonomia e all’inclusione sociale. Francesca Brianza, assessore  al post Expo e alla Città metropolitana. Gustavo Cioppa sottosegretario alla Presidenza.

Milano, 23 ottobre 2015 –  E’ Fabrizio Sala, assessore di Forza Italia,  il nuovo vicepresidente della Regione Lombardia al posto di Mario Mantovani, arrestato la scorsa settimana. Le altre novità riguardano due nuovi assessori e un magistrato sottosegretario alla Presidenza.

Fabrizio Sala assume la carica di vicepresidente mantenendo le attuali deleghe  assessorili (Casa, housing sociale, Expo 2015). Giulio Gallera diventa assessore al Reddito di autonomia e all’inclusione sociale. Francesca Brianza, consigliere regionale, entra in giunta come assessore con delega al post Expo e alla Città metropolitana. Gustavo Cioppa, magistrato di Cassazione ed ex procuratore di Pavia, entra in giunta come sottosegretario alla Presidenza. Cioppa dovrebbe occuparsi anche di trasparenza,

Contestualmente sono state rimodulate le deleghe degli assessori Mario Melazzini e  Mauro Parolini. Il primo assumerà anche la delega all’Università e il suo assessorato concentrerà le attività a sostegno della ricerca e dell’innovazione, assumendo la nuova denominazione di ‘Università, ricerca e open innovation’. Parolini coordinerà le politiche a favore delle imprese nel loro complesso, assumendo la denominazione di ‘assessore allo Sviluppo economico’.

MARONI – “Adesso la squadra è completa e quindi possiamo andare avanti con energia fino alla fine del mandato”.  “Non è stato facile, eèvero, ci sono state molte fibrillazioni ma per me questo assetto della giunta arriva fino al 2018″.  Maroni ha spiegato che terrà la delega fino a quando la riforma sarà attuata,”volendo anche fino al 2018, non è un problema”.

BRAMBILLA – “Regione Lombardia ha due nuovi assessori ma non quello più importante e necessario, vacante da agosto. Maroni è stato costretto a tenere per sé le deleghe di sanità e welfare perché non in grado di risolvere le beghe della maggioranza, in primis di Forza Italia, ora parzialmente risarcita con la vicepresidenza e con un assessorato che più che a sostenere il reddito dei lombardi serve a sostenere gli equilibri di potere”. Così il capogruppo del Pd in Regione Enrico Brambilla in merito al terzo rimpasto di giunta.

CASTELLANO – “Con nuove deleghe che sfiorano il ridicolo per la loro inconsistenza, questo terzo rimpasto in due anni e mezzo di legislatura è il segno evidente della debolezza di Maroni e della sua maggioranza”. Lo dichiara Lucia Castellano, capogruppo regionale del Patto Civico, commentando il rimpasto di Giunta. “L’unica logica, ancora una volta, è quella della spartizione”.

BUFFAGNI – “La Giunta Maroni è come la Salerno-Reggio Calabria, non è mai completa, è sempre bloccata ed è costantemente oggetto delle attenzioni della magistratura”. Lo sostiene Stefano Buffagni, nuovo capogruppo del Movimento 5 Stelle in Regione Lombardia. “Sarebbe un miracolo vederla pronta per il 2018, a fine legislatura”, aggiunge Buffagni in una nota, convinto che si tratti solo di “un balletto di poltrone” e che “Maroni non governa la Lombardia perché è ostaggio della sua maggioranza esattamente come Pisapia a Milano”.

23 ottobre 2015

Fonte: https://www.ilgiorno.it/politica/regione-deleghe-rimpasto-1.1416958

Salvuccio Riina: “Vado al Nord per rifarmi una vita”

«Signor giudice, voglio rifarmi una vita da persona per bene, nonostante il nome che porto» dice il giovanotto in tribunale. L’hanno accontentato: dal 2 ottobre prossimo, lasciandosi alle spalle i cancelli del supercarcere di Voghera dopo aver scontato una condanna a otto anni, Salvuccio non tornerà più nella sua Sicilia. Una normale storia di reinserimento sociale? No, a renderla speciale è il cognome del protagonista: Riina. Per la precisione Giuseppe Salvatore Riina, 34 anni, figlio del boss dei boss. «Salvuccio» ha deciso di tagliare i ponti con Corleone, con l’ambiente mafioso, con l’ingombrante famiglia e giocarsi la seconda chance di vita al Nord, prendendo casa e lavorando per una onlus.

Destinazione tenuta al momento segreta, i rumors la indicano nella zona di Padova ma il fatto più importante è ovviamente la rottura tra Riina junior e le sue radici. E la Lega, che ai suoi esordi aveva scatenato una battaglia proprio contro l’invio al Nord di personaggi legati a Cosa Nostra, non ci sta: «Vale lo stesso discorso di 30 anni fa: sono personaggi pericolosi, qui non li vogliamo» attacca Gianluca Buonanno, deputato del Carroccio e già componente della Commissione antimafia. Il giudice di Pavia Maria Teresa Gandini, competente per la questione, ha depositato ieri mattina la sua decisione: dopo la scarcerazione Riina potrà risiedere nel Nord Italia. Ma conformemente a quanto richiesto dal procuratore capo Gustavo Cioppa, che ritiene il personaggio ancora «potenzialmente pericoloso», ha sottoposto il figlio del boss per 2 anni a misure di vigilanza speciale: Salvuccio dovrà rincasare sempre prima delle 22, non potrà incontrare pregiudicati e deve sottoporsi all’obbligo di firma. Per il resto sarà libero di prendersi casa e lavoro.

«Sia chiaro che il signor Riina non è un pentito – precisa il suo legale avvocato Francesca Casarotto – e rimane in ottimi rapporti con i suoi congiunti. Semplicemente ha manifestato al giudice la sua volontà di non ritornare in Sicilia e di fermarsi in un luogo dove ritiene di avere più possibilità di ricominciare una vita da persona onesta lontano dall’ambiente che gli ha provocato guai con la giustizia». Determinanti nella svolta sono stati alcuni incontri con i volontari nel carcere di Voghera, gli studi compiuti (informatica in particolare) e l’opportunità offerta al detenuto dalla onlus presso la quale lavorerà come impiegato. Ma come detto non tutti sono disposti a porgere metaforicamente l’altra guancia. «Se sapessi che uno così viene a vivere nel mio comune affiggerei manifesti con la sua faccia e la scritta “Via da qui”; un Riina deve sentire l’ostilità dell’ambiente che lo circonda» dice Gianluca Buonanno. E aggiunge il deputato leghista: «Non vogliamo che la storia e gli errori degli anni 70 si ripetano; allora l’applicazione dei soggiorni obbligati significò l’arrivo della mafia nelle nostre regioni. Oggi il pericolo è aumentato perché queste organizzazioni possono contare su ramificazioni più forti».

Nino Amadore

24 settembre 2011 

Fonte: https://ninoamadore.blog.ilsole24ore.com/2011/09/24/salvuccio-riina-vado-al-nord-per-rifarmi-una-vita/

Due ore di libertà per Vallanzasca: incontra la mamma

Dodo Perri, uno dei più noti «musher» europei, travolto da un gommone mentre faceva subacquea

«Uno dovrebbe conoscerla mia mamma. Piccolina, minuta, tutta bianca coi capelli color neve…». Stropicciava quegli occhi blu che fecevano impazzire le donne ma che diventavano più duri del ghiaccio quando premeva il grilletto uccidendo, il «bel René». Parlava di lei. Marie, la sua mamma ormai vecchia e malandata, ma anche la donna, forse l’unica, che mai lo ha abbandonato nella sua esistenza. Prima di duro di periferia, poi di boss tragico e spietato, infine di ergastolano senza speranza.
Marie così gracile eppure forte come una leonessa.
Il «bel René» è Renato Vallanzasca, uno detenuti numeri uno d’Italia. Sante il bandito scappava in bicicletta, lui rombando su auto rubate, facendosi largo a colpi di mitra. Fu il rapinatore assassino protagonista delle cronache nere degli anni ’70-80. Ma di mamma ce n’è una sola, si sa. E di fronte a lei, anche il cattivo con la faccia d’angelo si scioglie.
Già da un paio d’anni l’ex boss della Comasina chiedeva con insistenza il trasferimento dal carcere di Voghera a quello di Milano per poter essere più vicino alla sua «vecchina». Ha 89 anni ed è malata. Lo scorso anno, il 1° maggio, René, 56 anni di cui 36 trascorsi (tra un’evasione e l’altra) dietro le sbarre, era riuscito a coronare il suo desiderio: una breve visita a casa di Marie nell’appartamento antico di via Porpora a Milano. Ieri l’abbraccio si è finalmente ripetuto. Stavolta però nell’ospedale dove la donna è ricoverata ormai da mesi. Una visita di due ore. Ottenuta con grande fatica. Già il 15 giugno dell’anno scorso Vallanzasca si era presentato di persona al Tribunale di sorveglianza chiedendo ancora di uscire di cella. Per farle visita. Ma i giudici risposero picche. Il suo avvocato, Alessandro Bonalume, non si è arreso. E stavolta, malgrado il parere contrario della Procura generale, il Tribunale di Sorveglianza ha detto sì. Persino Marie dal suo letto d’ospedale aveva supplicato, rivolgendosi all’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Chiedendo la grazia per quel suo figlio «maledetto» ma amato.
Il sostituto procuratore generale, Gustavo Cioppa, nonostante tutto, aveva chiesto di respingere la domanda di permesso per Vallanzasca, facendo presente che non erano ravvisabili i motivi di particolare urgenza. Ma il tribunale ha evidentemente voluto andare incontro al desiderio dell’anziana donna. «Al permesso che gli fu recentemente negato – aggiunge l’avvocato – il signor Vallanzasca ha fatto ricorso, perché le motivazioni addotte a quell’opposizione non gli sembravano giuste. D’altronde una donna novantenne con gravi patologie non deve necessariamente essere a rischio per destare allarme. Ritengo che il Tribunale di sorveglianza, composto da magistrati competenti, abbia dimostrato di avere anche un cuore e una coscienza».
René ieri è uscito, dunque, dal carcere di Voghera e, sotto stretta sorveglianza, ha raggiunto la clinica dove sua mamma è ricoverata. Lo scorso anno l’incontro tra i due era avvenuto senza problemi. Avevano pranzato insieme, con loro anche la compagna dell’ex boss, Antonella. «Renato – ha ribadito lei più volte – non è più il bandito Vallanzasca, è un uomo che la lunga detenzione ha completamente cambiato. In lui non c’è più alcuna pericolosità. Ecco perché sono convinta che una eventuale concessione della grazia renderebbe solo giustizia a una profonda trasformazione umana in un soggetto che ha abbandonato ogni forma di violenza».
Lo stesso Achille Serra, il prefetto di Roma che da commissario di polizia per anni diede la caccia al «bel René» adesso si dice contento. «Non certo per lui – chiarisce -. Le mie domande al Dap di avvicinarlo a casa – puntualizza Serra – non erano certo richieste in suo favore, ma una sorta di dovere morale verso quell’anziana donna che ha seguito il figlio, fino a quando ha potuto, in tutte le carceri e in tutti i processi».

Andrea Acquarone – Sab, 15/07/2006

Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/due-ore-libert-vallanzasca-incontra-mamma.html

Omicidio dott. Caccia

L’omicidio del Procuratore Capo di Torino Bruno Caccia, magistrato esemplare per rettitudine morale e incorruttibilita. Le indagini sono state particolarmente complesse, sia sotto il profilo sostanziale che sotto il profilo sostanziale. Il Dott. Cioppa ha chiesto il rinvio a giudizio per gli imputati, sostenendo la valenza probatoria dei nastri contenenti registrazioni determinanti ai fini della prova. La Corte d’Assise di Milano, pur evidenziando la valenza solo indiziante e liberamente valutabile dei predetti nastri di registrazioni, ha statuito che era dai medesimi evincibile certamente il movente criminoso degli autori, come pure la preparazione del delitto e gli elementi concreti della fattispecie criminosa.

Ritrovamento a Parigi di una giovane liceale scomparsa

Il ritrovamento a Parigi di una giovane liceale scappata di casa, a causa dello scarso rendimento scolastico, indagini che hanno richiesto il coordinamento con l’Interpol, la polizia internazionale e l’Ufficio immigrazione e polizia di frontiera

Operazione “Alba Nostra”

Il coordinamento di un’inchiesta, relativa all’operazione c.d. “Alba Nostra”, che ha condotto allo smascheramento di una cospicua attività illecita organizzata inerente al favoreggiamento della prostituzione, per poi reinvestire i proventi illeciti nel mercato degli stupefacenti, organizzazione presente, dalle risultanze delle indagini, in tutta Italia (Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Veneto, Lazio, Campania, Calabria) e anche all’estero (Germania, Olanda, Belgio, Albania, Romania)

Furti e rapine

Furti e rapine, anche nel contesto delle baby gang, stoppando l’attività della “banda delle spaccate” che seminava il terrore nelle farmacie del milanese, con l’arresto di 11 albanesi, come pure il caso dei furti e riciclaggio di rame nel pavese, per tonnellate di metallo rubato, con l’arresto di sette persone e il sequestro di quattro impianti o consentendo, grazie anche all’attività dei carabinieri infiltrati nella movida, l’arresto di tre rapinatori che avevano messo a segno molti colpi

Indagini su frodi milionarie

Indagini su frodi milionarie, come quella da 20 milioni di euro all’anno, ove veniva spacciato come Pinot Grigio dell’Oltrepò Pavese del comune vinaccio prodotto con uva scadente

Reati di frode in assicurazione

Reati di frode in assicurazione, come nel caso che ha visto indagate una decina di persone proprio per questo reato, tra cui due donne accusate di essersi procurate in maniera volontaria e clandestina un aborto, proprio per frodare le assicurazioni

Il messaggio del sottosegretario Gustavo Adolfo Cioppa

in occasione della nascita di GariwoNetwork

Buongiorno, porto i saluti del Presidente Maroni e di Regione Lombardia.

Ringrazio gli organizzatori di questo importante evento e gli illustri relatori.

La tecnologia che avanza è un inno alla vita, perchè moltiplica – si vorrebbe dire all’infinito – gli strumenti di conoscenza e di progresso dei viventi: moltiplica le possibilità di comunicazione e di reciproco arricchimento culturale, cui fornisce un apporto fondamentale, il culto della memoria.

E a noi è toccata in sorte l’epoca dello sviluppo cibernetico, del digitale: una rivoluzione di tali proporzioni, da costituire, per plurimi versi, la prima pagina di una nuova storia e, al contempo, il mezzo di preservazione sicura di quella trascorsa, del tesoro della memoria.

Nel DNA del genere umano c’è del bene e questo ha permesso ai Giusti di compiere azioni coraggiose ed ancora oggi di educarci con l’esempio alla difesa del Bene.

Non bisogna solo essere onesti, ma apparire onesti (Paolo Borsellino).”

Ciascuno di noi, la Società, le Istituzioni ricordino sempre quanto dolore portano gli assolutarismi e le persecuzioni, le guerre e il desiderio di prevaricazione e la tracotanza.

Molte le sfide del nostro tempo, ma essenziale per poterle affrontare è sicuramente il rispetto reciproco, la salvaguardia dei valori e della dignità umana che valorizza l’uomo per il solo fatto di essere uomo, la voglia di pace e di riaffermare con forza il Bene comune.

Il messaggio dei Giusti deve in questo momento in cui le ingiustizie, i focolai di guerra, i danni ambientali, le crisi dei valori minacciano la Società, contrapporsi con l’esempio, in un messaggio di Pace, solidarietà e libertà.

Mi auguro che la giornata di oggi, che è un momento di forte raccoglimento, di un ricordo che si deve trasformare in stimolo per tutti noi, di impegno etico e morale, dia ancora più impulso e forza alle attività che dovranno concretizzarsi al più presto.

Ecco, allora, l’importanza di salutare con favore, fervore ed entusiasmo il lancio di un network che si propone come strumento per divulgare la voce dei Giusti nel mondo, distribuendo per ogni dove l’eco di lingue, culture, civiltà, il cui comune denominatore sia la giustizia.

“Qui prego col dolore nel cuore, perché mai più vi siano tragedie come questa, perché l’umanità non dimentichi e sappia vincere con il bene il male. La memoria non va annacquata né dimenticata; la memoria è fonte di pace e di futuro.” Papa Francesco, Giardino dei Giusti in Armenia

Gustavo Adolfo Cioppa, Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

Fonte: https://it.gariwo.net/educazione/memoria/il-messaggio-del-sottosegretario-gustavo-adolfo-cioppa-17652.html