Trova moglie e figlioletti sgozzati «Ero da amici a vedere l’Italia»

Orrore nel Milanese. I vicini: «Un urlo di donna prima della partita»

MOTTA VISCONTI (Milano)
L’ORRORE. Un colpevole che potrebbe esserci a breve. Per ora è solo tanto orrore. Il corpo di Maria Cristina Omes, 38 anni, è supino sul pavimento del soggiorno della villetta a Motta Visconti, poco più di 6mila abitanti, a una trentina di chilometri da Milano e a cavallo con la provincia di Pavia. Giulia, la sua bambina di quattro anni e mezzo, è stata deposta («trasportata», diceva un inquirente) sul letto matrimoniale. Gabriele, 20 mesi, è nel lettino della sua stanzetta. Tutti e tre sono stati sgozzati. Chi li ha massacrati ha anche infierito crudelmente. Su Maria Cristina i segni di un’aggressione, come se la donna avesse lottato con il suo assassino.

ANCORA in nottata Carlo Lissi, 31 anni, marito e padre delle tre vittime, era ascoltato da ore al comando della compagnia carabinieri di Abbiategrasso. L’uomo si era messo «volontariamente» a disposizione degli inquirenti che, mentre raccoglievano le testimonianze, lo avevano più volte richiamato in caserma. Era stato Lissi a lanciare l’allarme alle 2.10 facendo accorrere la Croce bianca di Binasco e i carabinieri di Motta, Abbiategrasso, Milano. Da Pavia il procuratore Gustavo Cioppa e il pm Giovanni Benelli.
Lissi era uscito alle 23.30 per trascorrere la serata con una decina di amici e assistere alla partita fra Italia e Inghilterra. «È sempre stato con noi — dice uno di loro —. Era tranquillissimo, ha esultato ai gol dell’Italia, non si è mai allontanato».
Per l’intera giornata sono stati ascoltati parenti (fra cui la madre di Maria Cristina Omes e quella del marito), amici, vicini. Due sopralluoghi nella casa del massacro, alle 12.30 e attorno alle 17. Indagini che «procedono a ritmo serrato», assicura il procuratore Cioppa lasciando intendere che ci sarebbe una pista concreta e anche la possiblità di un fermo. Troppi i misteri e gli interrogativi in questo giallo sanguinoso. L’arma del triplice omicidio (quasi certamente un coltello) non è venuta a galla.

NELL’ABITAZIONE, una villetta monofamiliare color salmone al numero 20 di via Ungaretti, grande giardino, zona residenziale, non sono apparsi segni evidenti di effrazione. La cassaforte era aperta e mancava il poco denaro che vi era riposto. Un particolare che appare più un tentativo di depistaggio che l’indizio di una rapina.
Le urla sentite da alcuni vicini. Un primo grido è raccolto verso le 23. Un secondo viene sentito alle 23 da due vicini, un uomo e una donna. «Ero in giardino — racconta il primo —, a duecento metri dalla casa, quando ho sentito gridare. Era una voce femminile. Conoscevo Cristina dalla nascita, abitavo nel cortile dei suoi genitori». Ancora un urlo attorno alle 0.35-0.40, ma a provocarlo potrebbe essere stata l’esultanza per la rete segnata da Marchisio.
Cristina Omes e Carlo Lissi erano sposati da sei anni. Si erano trasferiti in via Ungaretti quando era mancato il padre di lei, Decio, titolare di un negozio di frutta in via Borgomaneri. Era stata la madre di Cristina, Giuseppina Redaelli, a cedere la villetta e a trasferirsi nell’appartamento occupato fino a quel momento dalla figlia e dal genero, in via Matteotti 35.

MARIA Cristina era impiegata alle assicurazioni Sai in paese. Impegnata nella parrocchia, aveva cantato nel coro della chiesa e recitato nella compagnia teatrale dell’oratorio. Nel 2004 si era candidata al Comune in una lista civica di centrodestra. Fino alla nascita del secondo bambino era stata volontaria della Croce rossa. Il marito, laureato in Economia e commercio, è programmatore di software. Una coppia che viveva con discrezione. Rumors di paese sussurravano ieri di dissidi insorti negli ultimi mesi. Voci. Il 5 giugno Maria Cristina Omes aveva postato l’ultimo messaggio sulla sua pagina Facebook: «Anche se nella vita tu ci sei per tutti, non è detto che tutti siamo per te». Parole strane, indecifrabili. E anche un po’ tristi.

Gabriele Moroni

Fonte: https://www.quotidiano.net/primo_piano/2014/06/16/1079425-trova_moglie_figlioletti_sgozzati.shtml

Lo Stato che funziona

L’ITALIA che funziona ha la faccia stanca e tesa del procuratore di Pavia, Gustavo Cioppa, che in poche ore e senza mai abbandonare neppure per un minuto il campo, ha imboccato con i carabinieri la pista giusta per risolvere l’angosciosa strage di Motta Visconti; l’Italia che funziona ha la voce incrinata dalla commozione del pm Letizia Ruggeri, che ieri dopo 3 anni e mezzo di indagini e migliaia di dna esaminati, in un’inchiesta piena di sbagli (come l’arresto del nordafricano Fikri), di trappole e di rivalità, accompagnata poi (bisogna dirlo, purtroppo) da un’omertà ambientale degna di altri luoghi, ha potuto annunciare ai genitori di Yara Gambirasio che finalmente Ignoto 1, probabile assassino della loro figlia, ha un volto e un nome. Lo avevamo scritto mesi fa su questo giornale che la donna era determinata e ce l’avrebbe fatta, prima o poi, a portare allo scoperto l’uomo che ha lasciato morire in un campo, al freddo, una bambina di 13 anni, segno che alla fine l’impegno paga e nella vita ti premia anche quando pensi che tutte le strade ti portino solo in un vicolo cieco e che non ci sia più niente da percorrere.

ANCHE SE è brutto che questa evidenza ce la dia una provetta e non il rimorso che induce a confessare senza far passare anni, la pista era quella giusta e se le tessere del puzzle andranno tutte a posto, si renderà giustizia alla piccola innocente Yara e alla sua famiglia. E questo solo è importante, dopotutto.
Ma poi, diciamolo, visto che questa è una giornata speciale per le persone perbene e che probabilmente difficilmente ce ne capiterà ancora una simile, è da sottolineare il ritrovarsi per un giorno tutti uniti, le istituzioni con la gente, nell’esprimere soddisfazione per una macchina dello Stato che ogni tanto ci dimostra di saper funzionare a dovere. Forse di questo abbiamo bisogno, di un po’ di giustizia (in ritardo o meno non importa) che ci scrolli di dosso il falso senso di impunità e la perdita collettiva di coscienza e di senso della realtà che è stata la cifra di questi ultimi anni e che ha contribuito non poco ai disastri odierni, anche, purtroppo, alla tragedia di Motta Visconti, anche alla morte di Yara.

barbara.consarino@ilgiorno.net

Fonte: https://www.quotidiano.net/cronaca/2014/06/17/1079979-stato_funziona.shtml

L’amore sul divano, poi la strage E il grido di Cristina: «Perché?»

Giallo nel Milanese, l’uomo confessa: ha ucciso la moglie e i due figli

MOTTA VISCONTI (Milano)
«VOGLIO il massimo della pena». Carlo Lissi china il capo e la sua, più che una confessione, è un fiume in piena, inarrestabile. Un fiume gonfio di orrore. L’informatico di Motta Visconti ha sterminato la sua famiglia, la moglie Maria Cristina Omes, i loro bambini, Giulia che in agosto avrebbe compiuto cinque anni, e Gabriele di 20 mesi. Li considerava un ostacolo fra sé e il suo essersi invaghito, di una collega della società di software di Assago dove lavorava: non corrisposto, dissuaso, respinto, non demordeva. Un movente assurdo, incredibile. Gli investigatori sono risaliti alla giovane donna dalla pagina Facebook dell’assassino. Davanti alla contestazione precisa di quell’innamoramento, l’assassino ha capitolato.

DOPO avere massacrato la moglie, incurante delle sue invocazioni, l’ha lasciata morire per dissanguamento. Per i due bambini, un solo colpo di coltello alla gola. Ha simulato una rapina lasciando la cassaforte aperta e asportando il poco denaro e i gioielli che vi erano riposti. Dopo essersi lavato e rivestito, è uscito in auto per raggiungere la casa dell’amico C.C., dove un gruppo di una quindicina di persone si era dato appuntamento per la partita Italia-Inghilterra. Prima però si è fermato in via Mazzini e ha gettato in un tombino il coltello usato per massacrare la sua famiglia. Quando è rentrato ha chiesto aiuto ai vicini affacciandosi alla porta, ha telefonato al 113. Gridava «Sono venuti a rubare», si abbandonava a scene di disperazione. I soccorritori erano costretti a trattenerlo. Ultimo atto della sua fredda, incredibile messinscena.
LA SERATA di sabato scorre tranquilla nel villino monofamiliare al numero 20 di via Ungaretti. Sul divano del salotto, i coniugi si abbandonano a quello che sarà il loro ultimo atto d’amore. Carlo Lissi esce e raggiunge la cucina in slip. Il marito rientra, è alle sua spalle. Un colpo alla giugulare della donna. Poi dietro il collo e ancora all’addome. «No, perché?», grida Cristina, incredula, atterrita. Il suo «aiuto» viene raccolto dalla vicina Anna Buratti, nella cucina di casa. Sono le 22.50. Cristina tenta una reazione di difesa, di fuga. Il marito le sferra un pugno. La donna finisce a terra nell’androne dell’ingresso. Maria Cristina Omes muore dissanguata. Carlo Lissi sale dai suoi figli. Nella sua cameretta, Giulia è la prima a passare dal sonno alla morte. Gabriele viene ucciso mentre dorme nel letto matrimoniale. Carlo Lissi scende in cantina. Una doccia lo ripulisce del sangue.
Lissi racconta ai carabinieri di essere rincasato dopo la partita e di essersi spogliato nel garage per non disturbare i bambini. È salito in casa. Ha trovato il corpo martoriato della moglie, riversa in un lago di sangue. Ha aperto la porta invocando aiuto. Preso da un sospetto angoscioso, ha salito le scale, acceso le luci, apero porte. Si è accorto che anche i bambini erano stati uccisi. Si è rivestito e ha chiamato il 112.
Un racconto con troppe incogruenze. Lissi dice di essersi avvicinato alla moglie, immersa nel suo sangue, di averla toccata. Ma i suoi vestiti e la pantofole erano immacolati. Sul dietro degli slip, l’unico indumento che portava quando ha accoltellato la moglie, è invece rimasta una macchia di sangue di cui Lissi non si era accorto. Dopo avere scoperto che la sua famiglia era stata sterminata, Lissi ha avuto la forza e la freddezza per rivestirsi. Non c’è sangue sulle maniglie delle porte, sugli interruttori, sulla cassaforte.

NON CI SONO effrazioni sulla porta d’ingresso e sulla casssaforte di cui solo marito e moglie conoscevano la combinazione. I portagioie sono stati aperti ordinatamente e il loro contenuto asportato. Gli armadi nella camerette dei bambini sono stati squadernati, mentre sono stati risparmiati locali dove si sarebbe potuto trovare qualche bottino. Un portafoglio non stato toccato. Davanti ai carabinieri, al procuratore Gustavo Cioppa e al pm Giovanni Benelli, Carlo Lissi si arrocca nella sua difesa. Ma quando gli mettono di fronte le prove di quell’amore non ricambiato, cede di schianto, confessa, fa ritrovare il coltello. Tranquillo, lineare. Come se la strage della sua famiglia riguardasse un altro.

Fonte: https://www.quotidiano.net/primo_piano/2014/06/17/1079839-amore_divano_strage.shtml

Inchiesta per corruzione e concussione, perquisizioni all’Università di Pavia: indagato un dirigente

Gli investigatori hanno prelevato contratti legati a lavori, servizi e forniture. Il rettore: “Siamo parte lesa”

Pavia, 4 luglio 2014 – La polizia giudiziaria della Procura di Pavia ha effettuato questa mattina perquisizioni in alcuni uffici dell’Università di Pavia. I controlli hanno riguardato in particolare l’ufficio tecnico dell’Ateneo, in via Mentana. Gli investigatori hanno prelevato contratti legati a lavori, servizi e forniture. Un dirigente dell’Università sarebbe indagato. Nell’indagine del procuratore Gustavo Cioppa e del pm Mario Venditti, si ipotizzano i reati di concussione e corruzione. Nel mirino della Procura ci sarebbero anche alcune ditte che erano in rapporto con l’Ateneo.

Fabio Rugge, rettore dell’ateneo, ha definito l’università “parte lesa” dell’inchiesta. “Collaboriamo nel modo più pieno al lavoro della magistratura e non abbiamo al momento ulteriori elementi”.

Fonte: https://www.ilgiorno.it/pavia/cronaca/perquisizione-universita-1.15983

Neonato in coma per choc da scuotimento: il piccolo era nato prematuro

È il quarto figlio, di una pur giovane coppia, che non avrebbe mai avuto problemi con la giustizia. È di Vigevano la famiglia coinvolta nel tragico ricovero del piccolo, di soli 3 mesi, nella terapia intensiva della Patologia neonatale del Policlinico San Matteo di Pavia

Vigevano (Pavia), 13 settembre 2014 –  È il quarto figlio, di una pur giovane coppia, che non avrebbe mai avuto problemi con la giustizia. È di Vigevano la famiglia coinvolta nel tragico ricovero del piccolo, di soli 3 mesi, nella terapia intensiva della Patologia neonatale del Policlinico San Matteo di Pavia. In uno stato di coma vegetativo dal quale è quasi impossibile che possa riprendersi. Era già in stato d’incoscienza quando gli stessi genitori lo hanno portato, poco dopo Ferragosto, al Pronto soccorso dell’ospedale di Vigevano. Da lì il trasporto nella struttura specialistica del Policlinico pavese, dove peraltro lo stesso bambino era già stato ricoverato appena dopo la nascita, ma solo perché nato, anche se di poco, prematuro.

Una circostanza che ha portato però i neonatologi ad avere a disposizione gli esami clinici precedenti, che avrebbero scartato altre cause, naturali, per i danni cerebrali riscontrati. Arrivando così all’ipotesi del cosiddetto “shock da scuotimento”. Una diagnosi che di per sé non comporta però la certezza di un avvenuto maltrattamento. Ma che ha comunque portato la Procura di Pavia ad aprire un fascicolo d’inchiesta, con le due ipotesi di reato di lesioni e di abbandono di minore. «L’abbandono di minore — spiega il procuratore capo di Pavia, Gustavo Cioppa — è relativo alla sorveglianza del bambino nel momento in cui potrebbero essersi verificati i fatti». Fatti che però devono essere ancora accertati, come le ipotesi di lesioni. «Stiamo procedendo a carico di ignoti», precisa sempre il procuratore Cioppa, sottolineando così che, al momento, non ci sono indagati. Nessuna ipotesi, dunque, per ora a carico dei genitori.

Una famiglia già numerosa, dove peraltro non ci sarebbero mai stati precedenti per maltrattamenti di nessun tipo. Con tutte le tutele per la riservatezza delle persone coinvolte, si tratterebbe di una famiglia con qualche disagio, in una situazione però non di difficoltà tale da essere già oggetto di attenzioni da parte dei Servizi sociali. Un quadro famigliare, insomma, che non farebbe pensare a lesioni volontarie. Peraltro il piccolo, quando è arrivato in ospedale, non aveva né ferite né segni, in nessuna parte del corpo, che potessero far ipotizzare subito alla conseguenza di un maltrattamento. E infatti sono passate alcune settimane prima che dall’ospedale partisse la segnalazione alla Procura che ha portato, solo nei giorni scorsi, all’apertura del fascicolo d’inchiesta.

Fonte: https://www.ilgiorno.it/pavia/cronaca/neonato-coma-1.203995

Pavia, blocco dei vaccini: due morti sospette in Oltrepò

Disposta l’autopsia sui corpi di due pensionate, una 85enne e una 93enne, decedute dopo essere state vaccinate

Pavia, 3 dicembre 2014 – Blocco dei vaccini, due morti sospette nel Pavese. La Procura della Repubblica di Pavia avrebbe infatti disposto l’autopsia su due donne morte nello scorso fine settimane in Oltrepò dopo essere state vaccinate contro l’influenza. I due casi riguarderebbero una pensionata di 85 anni di Montù Beccaria, morta all’ospedale di Voghera (Pavia), e una 93enne di Cecima (Pavia), deceduta all’ospedale di Varzi (Pavia), alla cui famiglia è stato anche imposto di rinviare il funerale, che si sarebbe dovuto tenere ieri mattina. Secondo il Procuratore, Gustavo Cioppa, si tratterebbe di «verifiche doverose» dopo gli allarmi seguiti alle morti sospette di 12 persone sottoposte al vaccino contro l’influenza.

Fonte: https://www.quotidiano.net/cronaca/pavia-vaccini-morti-1.457883

Aborti clandestini per truffare le assicurazioni e incassare i soldi: dieci indagati

Simulavano falsi incidenti per frodare le assicurazioni e incassare i soldi delle polizze. Due donne si sarebbero addirittura procurate clandestinamente un aborto volontario per aumentare l’indennizzo

Pavia, 27 gennaio 2015 – Simulavano falsi incidenti per frodare le assicurazioni e incassare i soldi delle polizze. Con questa accusa 10 persone, la maggior parte di nazionalità romena, sono indagate dalla Procura di Pavia. Secondo quanto emerso dalle indagini, due donne si sarebbero anche procurate un aborto in maniera volontaria e clandestinamente, con lo scopo dichiarato di aumentare l’indennizzo. 

Le vicende finite al centro dell’attenzione degli inquirenti si sarebbero verificate nel Pavese – in particolare a Pavia, Chignolo Po e Miradolo Terme – ma anche a Binasco e a Codogno. Ad avviare i primi accertamenti, nel 2012, è stata la Polizia stradale di Stradella. L’indagine coordinata dal procuratore Gustavo Cioppa, partita inizialmente da un caso isolato, si è poi allargata coinvolgendo anche altri incidenti sospetti. Le persone indagate risiedono nelle province di Pavia e Lodi.

Fonte: https://www.quotidiano.net/cronaca/aborti-clandestini-truffa-1.613053

Vigevano, estorsione da 100mila euro a imprenditore: arrestato il custode della sua villa

Il fermo dell’ uomo è avvenuto dopo una indagine avviata in seguito a una misteriosa intrusione notturna, con un tentativo di incendio del garage dell’abitazione. Episodio cui erano seguite quotidianamente chiamate minatorie o chiamate mute, tanto da ingenerare nella vittima, ormai ottantenne, un grave stato di turbamento e di agitazione

Pavia, 28 aprile 2015 – Come nei migliori gialli, alla fine il colpevole è il maggiordomo, ma per scoprirlo i  Carabinieri della Compagnia di Vigevano, sotto la direzione del Procuratore della Repubblica di Pavia  Gustavo Cioppa e del Sostituto Procuratore Roberto Valli, che ha coordinato in prima persona le indagini, hanno dovuto ricorrere alle più avanzate tecniche investigative che normalmente si adottano per contrastare la  criminalità organizzata.  

La vicenda, infatti, che presentava tutti i caratteri tipici delle estorsioni attuate dalle più efferate organizzazione criminali, era cominciata già dalla metà del mese di marzo, quando nella villa di un noto imprenditore vigevanese nel settore delle pelli sintetiche e della calzatura c’era stata una misteriosa intrusione notturna, con  un tentativo di incendio del garage. Nei giorni a seguire sono stati registrati altri due tentativi di accesso alla proprietà dell’uomo, che non sono andati a buon fine grazie alla pronta reazione del custode, che ha affermato di essere riuscito a mettere in fuga i malviventi. Tuttavia, da allora, si sono susseguite  quotidianamente chiamate minatorie o chiamate mute, tanto da creare nella vittima, ormai ottantenne, un  grave stato di turbamento e di agitazione che l’ha spinto a lasciare l’abitazione per oltre venti giorni, ritirandosi  nella casa al mare. Rientrato il 21 aprile, all’uomo è stata subito recapitata una busta  anonima con la quale veniva richiesto il versamento della somma di centomila euro, pena ulteriori ritorsioni,  entro la mezzanotte del 25 aprile. A questo punto, la vittima si è rivolta ai Carabinieri della Compagnia di  Vigevano che hanno informato la Procura della Repubblica di Pavia e sotto la direzione di questa hanno attivato a  tempo di record l’attività investigativa per identificare gli autori del reato.

In particolare, il luogo indicato per la  consegna del denaro è stato riempito di microtelecamere in modo da riprendere chi avrebbe  recuperato il denaro provento dell’estorsione. La sera del 25 aprile, dunque, i militari del Nucleo Operativo, nel  dubbio di potersi trovare davanti ad esponenti di una pericolosa organizzazione criminale, hanno preso parte in tanti  circondando silenziosamente il luogo indicato per il ritiro delle banconote. Al ritiro del sacchetto con i soldi, però, si è presentato un uomo da solo. I Carabinieri lo hanno subito riconosciuto: era il custode stesso della villa dell’imprenditore minacciato. Per verificare l’esistenza di altri  complici, l’uomo è stato pedinato fino alla sua abitazione dove, poco dopo, è scattata l’irruzione. S.V., settantenne  di Palmi (RC), è stato sorpreso già addormentato, non prima però di aver contato  le banconote frutto dell’estorsione, rimosse dalle mazzette in cui erano state confezionate, che facevano bella  mostra di loro sul comodino del custode.

L’uomo è stato arrestato per estorsione aggravata, anche in considerazione della età della vittima, e  trasferito presso il carcere di Pavia in attesa del giudizio di convalida. Le indagini proseguono per verificare se effettivamente l’uomo abbia architettato tutto da solo o se abbia dei  complici e soprattutto per accertare per quale motivo abbia tradito la fiducia del suo datore di lavoro con cui  stava ormai da oltre 5 anni.

Fonte: https://www.ilgiorno.it/pavia/cronaca/estorsione-imprenditore-custode-villa-1.897430

I genitori di Elena Madama: “Le hanno rovinato la vita, siamo contenti dell’arresto”

Pavia, determinanti sono state le analisi dei tabulati telefonici

Pavia, 7 maggio 2015 – “Grazie a tutti, davvero». I genitori di Elena Madama, la madre Idangela Vittadini e il padre Lino Madama, sono arrivati ieri mattina a Palazzo di giustizia per dei ringraziamenti sinceri e commossi, tra ben poco formali abbracci. Lei sta lentamente migliorando, anche se la riabilitazione sarà ancora lunga. “Le hanno rovinato almeno due anni di vita” dice il padre, soddisfatto per la cattura di uno dei due presunti responsabili. Non però con sentimenti di vendetta, ma solo di giustizia. Una soddisfazione quasi più per l’intensità del lavoro svolto per individuare i responsabili. “Ci sono davvero stati tutti molto vicini”, dice la madre. “Eravamo certi che li avrebbero presi”, aggiunge il padre.

L’operazione che ha portato alla cattura di Radion Suvac, 27enne moldavo, è stata illustrata ieri mattina in Procura dal procuratore capo Gustavo Cioppa, dal procuratore aggiunto Mario Venditti, dal sostituto procuratore Mario Andrigo, dal capo della squadra Mobile, Francesco Garcea, e dal funzionario Sco (Servizio centrale operativo del Dipartimento di pubblica sicurezza) di Roma, Eugenio Masino. I fatti della sera del 12 novembre sono ancora molto freschi nel ricordo dei pavesi. La 26enne consigliere comunale era stata investita e poi trascinata per quasi tutta la lunghezza di corso Strada Nuova. Le indagini erano partite dall’auto abbandonata sul posto, una Opel Insigna bianca, rubata. E dalle immagini delle telecamere di sicurezza che riprendevano i due in fuga, immortalati l’ultima volta a Pavia vicino alla Stazione, dove sono saliti su un treno.

Era stato ricostruito e diramato anche un identikit proprio dell’uomo al volante, che in effetti sembrerebbe corrispondere al volto del fermato. Il complice era stato identificato anche prima, sarebbe un 18enne russo, ma è ancora irreperibile. Sarebbero due professionisti dei furti di navigatori satellitari, rubati in Italia e smerciati all’estero. Sull’auto però non sarebbero state trovate tracce o impronte dei responsabili. Come sono stati identificati? “Partendo dall’analisi – spiega Cioppa – dei 500mila dati di traffico telefonico che transitavano dalle celle del centro storico quella sera. Un lavoro svolto dai professionisti dello Sco, che si sono uniti a noi in una sinergia che ha dato i suoi risultati”. Ovviamente i criminali cambiano spesso telefoni cellulari, ma individuando i nomi sospetti di probabili prestanome intestatari, gli investigatori sono risaliti al gruppo criminale del quale farebbero parte i due presunti responsabili del drammatico investimento volontario.

La procura ha disposto anche una perizia tecnica per la ricostruzione tridimensionale di quanto avvenuto. Elena Madama stava uscendo dal suo ufficio, dove era praticante legale. Forse ha visto la Opel Insigna che uscendo da piazza Guicciardi aveva urtato un’auto parcheggiata. I ladri invece hanno pensato che la ragazza li avesse visti rubare e li volesse fermare. Per questo l’avrebbero investita, in retromarcia, e poi nuovamente travolta, trascinandola per oltre 500 metri e poi, forse quando si sono accorti che era rimasta ancora agganciata sotto l’auto, sono scesi e si sono dileguati a piedi. “Ringrazio anch’io le forze dell’ordine e la magistratura – dice il sindaco di Pavia, Massimo Depaoli – per il risultato delle indagini. Auspico che venga catturato presto anche il complice. E che poi entrambi vengano condannati per la cosa atroce che hanno fatto, che scontino la pena, intera e senza sconti. Siamo sempre tutti molti vicini a Elena e alla sua famiglia”.

di Stefano Zanette

Fonte: https://www.ilgiorno.it/pavia/cronaca/genitori-elena-madama-1.927251

Doppia sparatoria nel Pavese, arrestati i presunti assassini: sono due 22enni

Il doppio agguato si è verificato il 4 maggio nelle campagne di Zibido al Lambro. Tra gli arrestati anche un giovane di San Colombano al Lambro

Pavia, 13 maggio 2015 – Due giovani di 22 anni, italiani, sono stati arrestati perché ritenuti i presunti killer che lunedì 4 maggio, tra Zibido al Lambro, frazione di Torrevecchia Pia, e Landriano, avrebbero sparato a due spacciatori marocchini, uccidendone uno e ferendo l’altro in modo molto grave. Gli inquirenti contestano a Christian Dalcerri, 22 anni di San Colombano al Lambro, e a Simone Ganna, 22 anni, di Chignolo Po, la doppia accusa di omicidio volontario e di tentato omicidio.

Il doppio agguato si è verificato nel pomeriggio di lunedì 4 maggio. Secondo la ricostruzione dei fatti, verso le 17, i due italiani, giunti nelle campagne di  Zibido al Lambro, avrebbero affrontato le vittime e, dopo un’accesa discussione, mentre queste cercavano la fuga, Dalcerri avrebbe esploso due colpi di fucile a pallini che sono andati a colpire entrambe, provocando entro poche ore il decesso di una di loro, mentre l’altra è riuscita  ad allontanarsi raggiungendo la rotonda di Landriano dove si è accasciata per le ferite riportate, giudicate guaribili in quindici giorni. Due sono le ipotesi investigative attualmente in corso di verifica: una rapina in danno degli spacciatori  marocchini o la necessità di eliminare concorrenti nell’attività di spaccio da quel territorio che forniva  ingenti guadagni.  

Le immediate indagini sviluppate dai Carabinieri del Comando Provinciale di Pavia, svolte attraverso l’identificazione, le parole di persone informate sui fatti, perquisizioni ed analisi dei sistemi pubblici e  privati di videosorveglianza, hanno permesso una prima ricostruzione dei fatti che, unita ad un minuzioso  lavoro del Nucleo Investigativo Carabinieri, basato sull’analisi di tutte le frequentazioni degli ultimi mesi di  quelle zone di spaccio, ha portato ad identificare con certezza la vettura usata dagli assassini, una Hyundai  Athos rossa, in uso a Ganna e di proprietà di un suo parente. Grazie alla proficua e serrata  attività investigativa, diretta dal Sostituto Procuratore Paolo Mazza della Procura di Pavia e coordinata dal Procuratore Gustavo Cioppa, sono stati recuperati elementi probatori inconfutabili a carico dei due arrestati, consentendo  l’emissione delle ordinanze di custodia in carcere ed il rinvenimento dell’arma del delitto. Sono infatti state sequestrate sei armi lunghe da caccia, tra cui quella ritenuta usata per l’omicidio, armi che verranno tutte  poi inviate al R.I.S. di Parma per determinarne la compatibilità con quella che ha effettivamente sparato e  ucciso il 4 maggio. I due arrestati sono stati, nella stessa serata di ieri, portati presso la casa di reclusione di Lodi e Pavia.

Fonte: https://www.ilgiorno.it/cronaca/pavia-doppia-sparatoria-arresti-1.949692