Il padre che ha ucciso moglie e figli: «Ci pensavo già da una settimana»

I pm contestano la premeditazione

«Ci pensavo da una settimana. Ormai non avevo scelta». Carlo Lissi, il padre omicida di Motta Visconti, ha passato sette giorni pianificando la strage della villetta di via Ungaretti. Ore trascorse a pensare a quel delitto, all’idea di uccidere la moglie Maria Cristina Omes, 38 anni, sette più di lui, e i figli Giulia di quasi cinque anni e il piccolo Gabriele di soli venti mesi. Lo ha detto lo stesso Lissi davanti al pm pavese Giovanni Benelli e al procuratore capo Gustavo Cioppa. I magistrati hanno chiesto al gip la convalida del fermo emesso domenica notte per triplice omicidio aggravato. Nella richiesta di emissione di una misura cautelare nei suoi confronti gli inquirenti hanno contestato anche l’aggravante della premeditazione. Un elemento «importante» per la ricostruzione del triplice delitto, avvenuto nella tarda serata di sabato scorso, poco prima della partita tra la Nazionale e l’Inghilterra.

La costruzione dell’alibi

Oltre alle parole dello stesso Lissi – che mercoledì mattina è stato interrogato dal gip pavese Annamaria Oddone per la convalida del fermo, avvalendosi della facoltà di non rispondere – i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano hanno raccolto altri elementi che confermano, appunto, la premeditazione. Anzitutto il fatto che Lissi abbia insistito con un amico per vedere la partita dell’Italia in un bar del paese. Una circostanza anomala secondo lo stesso amico, visto che il 31enne impiegato informatico non lo aveva mai fatto prima. Quando l’amico è costretto a disdire l’appuntamento perché si sente poco bene, Lissi contatta Carlo Caserio, che vive poco lontano, e si «auto invita» via sms a casa sua dove vedrà effettivamente l’esordio della Nazionale ai Mondiali brasiliani insieme a una quindicina di persone. Per gli investigatori, Lissi non aveva altra possibilità di uscire di casa a quell’ora tarda – il match si è giocato a mezzanotte – e di approfittare della partita per costruirsi un alibi da un lato e inscenare la storia della finta rapina dall’altro.

Le autopsie per capire se aveva sedato i figli

Sempre mercoledì all’Istituto di medicina legale di Pavia le autopsie sui corpi delle tre vittime. Oltre al medico legale Marco Ballardini, presenti anche un genetista e un tossicologo e consulenti nominati dal legale di Lissi, Corrado Limentani. Gli inquirenti vogliono scoprire se Lissi abbia sedato i figli prima di metterli a dormire. Nelle sue confessioni il papà di Giulia e Gabriele ha detto che dopo aver affondato la lama alla gola dei figli loro non hanno avuto alcuna reazione. Nella richiesta di convalida del fermo i magistrati non hanno però inserito riferimenti al movente passionale. A quella collega di lavoro di cui Lissi s’era invaghito. La donna è stata risentita dagli inquirenti, ma non sarebbe emerso nient’altro. Lissi è in isolamento nel carcere di Torre del Gallo a Pavia. È sorvegliato a vista, dal giorno dell’omicidio non ha versato una lacrima.

Cesare Giuzzi

18 giugno 2014 | 08:06

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/14_giugno_18/padre-che-ha-ucciso-moglie-figli-ci-pensavo-gia-una-settimana-7a961b4a-f6ad-11e3-a606-b69b7fae23a1.shtml

Ha ucciso moglie e figli Lissi non risponde davanti al gip

Davanti al giudice Annamaria Oddone Lissi si è avvalso della facoltà di non rispondere. Per il padre omicida chiesta l’aggravante della premeditazione

Si è avvalso della facoltà di non rispondere, Carlo Lissi, l’uomo accusato di avere ucciso la moglie e i due figli nella villa di famiglia a Motta Visconti, nel Milanese. Il 31enne, mercoledì mattina , non ha risposto alle domande del gip Annamaria Oddone, durante l’interrogatorio di garanzia. Davanti al pm pavese Giovanni Benelli e al procuratore capo Gustavo Cioppa, Lissi aveva ammesso: «Ci pensavo da una settimana. Ormai non avevo scelta».Il padre omicida di Motta Visconti, dunque, avrebbe passato sette giorni pianificando la strage della villetta di via Ungaretti. Ore trascorse a pensare a quel delitto, all’idea di uccidere la moglie Maria Cristina Omes, 38 anni, sette più di lui, e i figli Giulia di quasi cinque anni e il piccolo Gabriele di soli venti mesi. Per questo i magistrati, oltre alla richiesta di convalida del fermo, hanno contestato anche l’aggravante della premeditazione. Un elemento «importante» per la ricostruzione del triplice delitto, avvenuto nella tarda serata di sabato scorso, poco prima della partita tra la Nazionale e l’Inghilterra.

La costruzione dell’alibi

I carabinieri del Nucleo investigativo di Milano hanno raccolto anche altri elementi che confermano, appunto, la premeditazione. Anzitutto il fatto che Lissi abbia insistito con un amico per vedere la partita dell’Italia in un bar del paese. Una circostanza anomala secondo lo stesso amico, visto che il 31enne impiegato informatico non lo aveva mai fatto prima. Quando l’amico è costretto a disdire l’appuntamento perché si sente poco bene, Lissi contatta Carlo Caserio, che vive poco lontano, e si «auto invita» via sms a casa sua dove vedrà effettivamente l’esordio della Nazionale ai Mondiali brasiliani insieme a una quindicina di persone. Per gli investigatori, Lissi non aveva altra possibilità di uscire di casa a quell’ora tarda – il match si è giocato a mezzanotte – e di approfittare della partita per costruirsi un alibi da un lato e inscenare la storia della finta rapina dall’altro.shadow carousel

Le autopsie per capire se aveva sedato i figli

Oggi all’Istituto di medicina legale di Pavia saranno eseguite le autopsie sui corpi delle tre vittime. Oltre al medico legale Marco Ballardini, ci saranno anche un genetista e un tossicologo e consulenti nominati dal legale di Lissi, Corrado Limentani. Gli inquirenti vogliono scoprire se Lissi abbia sedato i figli prima di metterli a dormire. Nelle sue confessioni il papà di Giulia e Gabriele ha detto che dopo aver affondato la lama alla gola dei figli loro non hanno avuto alcuna reazione.
Nella richiesta di convalida del fermo i magistrati non hanno però inserito riferimenti al movente passionale. A quella collega di lavoro di cui Lissi s’era invaghito. La donna è stata risentita dagli inquirenti, ma non sarebbe emerso nient’altro. Lissi è in isolamento nel carcere di Torre del Gallo a Pavia. È sorvegliato a vista, dal giorno dell’omicidio non ha versato una lacrima.

Cesare Giuzzi e Redazione Milano Online

18 giugno 2014 | 13:10

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_giugno_18/ha-ucciso-moglie-figli-lissi-non-risponde-al-gip-c5573b18-f6d6-11e3-a606-b69b7fae23a1.shtml

Lissi invaghito della collega Lei: «L’ho sempre respinto»

L’uomo che ha ucciso moglie e figli: «Mi ero innamorato di un’altra». La 24enne: «Non gli ho mai dato un filo di speranza»

Una corte insistita, fastidiosa. «Ma lo giuro, non è mai accaduto nulla, non gli ho mai dato un filo di speranza». La ragazza del mistero lo ripete più volte agli inquirenti e questi ultimi a loro volta lo scandiscono perché non vi sia margine di dubbio: «Tra Lissi e la sua collega non c’è mai stata alcuna relazione sentimentale». Eppure tocca anche a questa ventiquattrenne la trafila delle domande di carabinieri e magistrati per arrivare a una conclusione: il piano omicida è nato e maturato solo ed esclusivamente nella mente di quel dipendente per tutti irreprensibile.

Barbara, è il nome di fantasia della giovane, da due anni circa lavora alla Wolters Kluwer, l’azienda informatica di Assago (Milano) di cui era dipendente anche Carlo Lissi. La notizia della strage nella villetta di Motta Visconti si diffonde mentre Barbara sta trascorrendo un fine di settimana in montagna con il fidanzato con cui da poco è andata a convivere. La giovane è in Svizzera ma alle 11 di sera di domenica varca il cancello della caserma dei carabinieri di Pavia dove ci sono anche i pm Gustavo Cioppa e Giovanni Benelli. E lì racconta il tormento di cui era vittima da parte di Lissi, la cui autodifesa comincia a cedere. «Tutto è iniziato con qualche complimento quando ci si incrociava in corridoio o in qualche momento di pausa» è il senso di quanto detto senza tentennamenti dalla ragazza. Una testimonianza che combacia con quanto nel frattempo già emerso nei confronti di Carlo, che in molti descrivono come un «piacione», uno abituato a far galanterie.

«Ma negli ultimi due mesi – prosegue il racconto di Barbara – il suo atteggiamento si era fatto più insistente, più esplicito: si è passati agli inviti a cena, alle dichiarazioni d’amore, ai paroloni: diceva di essere pazzo di me, io rispondevo che non ci pensavo nemmeno a iniziare una storia. Ma lui non si dava pace».
Nonostante tutto Barbara ha sempre interpretato le avances del collega come un semplice «incapricciamento», qualcosa che non sarebbe mai andato oltre i confini del lecito. E a questo proposito vengono sottolineati due dettagli importanti. Nella sua testimonianza la donna riferisce di non aver mai subito molestie di tipo fisico. E che inoltre non aveva mai ritenuto indispensabile parlare con qualcuno di quel collega divenuto improvvisamente così fastidioso, né agli amici né ai superiori in azienda. «Non c’è mai stato nulla che potesse configurare un’ipotesi di stalking» confermano dalla procura di Pavia.

Chi in compenso non faceva mistero di quella passione divenuta irrefrenabile era Carlo Lissi: in ufficio ai colleghi ne avrebbe parlato e nelle stanze della Wolters Kluwer in parecchi si erano resi conto che dove c’era Barbara un attimo dopo compariva Carlo, che lui la attendeva appena possibile e le «stava addosso». Forse gli echi di quella passione erano giunti anche a Cristina Omes, la moglie di Lissi. Un mese fa sulla sua pagina facebook scriveva: «Non trattare mai male una donna, non ferirla. Una donna, quando è ferita, cambia».

Claudio Del Frate e Giovanna Maria Fagnani

17 giugno 2014 | 08:30

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/14_giugno_17/lissi-invaghito-collega-lei-l-ho-sempre-respinto-0ac49712-f5e8-11e3-9bf3-84ef22f2d84d.shtml

«L’uccidevo, lei chiedeva: perché? Il divorzio? Restavano i figli»

Carlo Lissi ha ucciso la moglie e i due figli: «Mi ero innamorato di un’altra. La famiglia per me era diventata una gabbia»

«Mentre la colpivo alle gola Maria Cristina ha continuato a gridarmi “perché… perché?”». Carlo Lissi crolla alle due di notte. Un carabiniere lo guarda negli occhi, pronuncia il nome di una collega di lavoro. Il «segreto» dell’irreprensibile padre di famiglia si sgretola dopo una trentina di interrogatori. Sono stati ascoltati i parenti, gli amici, i colleghi di lavoro. In cerca di una sfumatura, un indizio da trasformare in movente, una macchia in un’esistenza immacolata. L’ultimo tassello è appunto il racconto di quella donna: «Aveva tentato degli approcci, sempre respinti. Non c’è mai stato niente».

Il racconto dell’omicidio

Il lato oscuro del bravo ragazzo di Motta Visconti è un pettegolezzo conosciuto a pochi. S’era invaghito di quella collega fino a trasformarla in un’ossessione. Lo dice ai carabinieri appena sente quel nome. Tiene la testa tra le mani e inizia a parlare: «Voglio che mi sia dato il massimo della pena. Sono stato io a uccidere mia moglie e i miei due figli». Lo conferma mezz’ora dopo davanti al magistrato. Il padre di famiglia è un padre assassino. È lui che sabato sera ha ucciso la moglie Maria Cristina Omes, 38 anni, e i piccoli Giulia di quasi cinque anni e Gabriele di venti mesi appena, nella villetta di via Ungaretti. Li ha sgozzati con un coltello da cucina, poi è andato con gli amici a vedere la partita dell’Italia. Carlo Lissi è stato per un giorno intero nella caserma dei carabinieri. Fin lì, l’irreprensibile impiegato della Wolters Kluver di Assago, non ha battuto ciglio. Non ha chiesto di tornare a casa, non s’è lamentato mentre gli investigatori gli sequestravano i vestiti e fotografavano piccole ferite sulle dita della mano destra lasciate dalla lama del coltello mentre lottava con la moglie. Non ha versato lacrime neppure dopo, al termine di quei venti minuti di confessione. Non per Maria Cristina e neppure per Giulia e Gabriele. «La famiglia era una gabbia. Non sopportavo più questa vita». S’era sposato sei anni fa con Maria Cristina di sette anni più grande. «Si volevano bene, andavano d’accordo. Non ho mai assistito a litigi particolari», racconta la madre. Prima di sterminare la famiglia Carlo Lissi ha fatto l’amore con la moglie. Hanno messo a letto i figli: Giulia nella sua cameretta, il piccolo Gabriele sul lettone matrimoniale. Poi sono scesi in soggiorno, sul divano di tessuto bianco accanto a un pianoforte verticale e alle foto dei bambini. Sono quasi le undici di sera. Lissi si alza, adosso ha solo gli slip grigi. Lascia che la moglie si rivesta, lui va in bagno, poi in cucina dove prende un coltello con una lama da 30 centimetri (trovato ieri in un tombino di via Mazzini). «Sono tornato in salotto e mia moglie era seduta sul divano che guardava la televisione. Da dietro l’ho colpita, credo alla gola – dice al pm di Pavia, Giovanni Benelli -. Lei si è subito alzata e ha cercato di scappare. L’ho raggiunta e l’ho colpita nuovamente all’altezza del collo. Lei a quel punto a cercato di prendermi il coltello afferrandomi la mano destra». La donna trova la forza di parlare, di chiedere i motivi di tanta, improvvisa, furia: «Inizialmente ha detto “no” e poi ha solo continuato a gridarmi “perché… perché?”. Dopo che si è accasciata a terra sono salito al piano superiore, sono andato nella camera di Giulia, la porta era aperta ma lei dormiva non aveva sentito nulla». La piccola viene colpita alla gola: «Non ha detto nulla. Poi sono entrato in camera da letto dove c’era mio figlio Gabriele. Anche lui dormiva. Era a pancia in su e anche a lui ho dato un’unica coltellata alla gola: l’ho fatto poiché non avevo il coraggio di chiedere a mia moglie di separarci, cosa che io invece volevo fare». «Ma non le bastava il divorzio?», chiede il magistrato. «No. Con il divorzio i figli restano».

La finta rapina e la partita

Dopo la mattanza, Lissi scende nella taverna, si fa una doccia e lava via le macchie di sangue dal corpo. Solo due piccole tracce restano sugli slip, ma non se ne accorge. Poi infila un paio di jeans e una t-shirt blu, rovescia alcuni cassetti, apre la cassaforte per simulare una rapina ed esce di casa per andare a vedere la Nazionale. Quando rientra, alle 2.10, dice di essersi spogliato nella taverna per non svegliare nessuno, di essere salito al buio, di aver trovato i corpi, di aver tentato di soccorrerli senza tuttavia macchiarsi neppure la suola delle scarpe. Il racconto non regge. «Era fondamentale risolvere il caso nel minor tempo possibile per non dare vantaggi all’assassino, per non compromettere prove importanti – dice il procuratore di Pavia, Gustavo Cioppa -. Il lavoro dei carabinieri è stato straordinario». Alle 22 i vertici del comando provinciale di Milano – il generale Maurizio Stefanizzi, i tenenti colonnelli Biagio Storniolo e Alessio Carparelli – decidono di fermare il padre assassino. Gli mettono in mano ventisei pagine piene di accuse. Quattro ore dopo inizia la confessione.

Cesare Giuzzi

17 giugno 2014 | 08:20

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/14_giugno_17/uccidevo-lei-chiedeva-perche-divorzio-restavano-figli-eb2e2338-f5e6-11e3-9bf3-84ef22f2d84d.shtml

«Aiuti gli altri, poi ti lasciano sola» Lo sfogo in rete di Maria Cristina

Gli amici: una coppia affiatata, si conoscevano da sempre. Mai un litigio in pubblico Sono cresciuti nello stesso paese e nessuno ricorda di aver mai assistito a uno screzio

«Anche se nella vita tu ci sei per tutti non è detto che tutti ci siamo per te». Eccola Maria Cristina Omes, la mamma della piccola Giulia e di Gabriele, due anni ancora da compiere. La sua bacheca Facebook riporta la data di giovedì 5 giugno. Parole scritte di getto, dieci giorni prima che un assassino si porti via lei e tutto quello che in questi 38 anni aveva costruito. Una famiglia, due figli, la felicità ritrovata dopo la morte del papà, la voglia di una vacanza, l’influenza e la febbre fuori stagione che proprio non vuole scendere. Sono parole semplici, come quello sfogo che forse è solo il frutto di una giornata difficile al lavoro. Forse solo l’ansia di una mamma innamorata di quei bambini «dono del Signore», per lei così legata alla parrocchia in cui era molto attiva e sempre disponibile a organizzare le gite. Giulia, 5 anni e mezzo, la scuola materna, i primi amici. Poi Gabriele, arrivato venti mesi fa, i giochi in cortile, la casa di plastica accanto al gazebo con i tavolini e le sedie per cenare fuori, tutti insieme.

E poi papà Carlo, il suo lavoro tra computer e finanza, quella differenza di sette anni di età che mai, dal giorno del matrimonio, e ancora prima durante la convivenza nella vecchia casa di famiglia di via Matteotti, era sembrata un ostacolo. Ora Carlo Lissi è sotto interrogatorio, perché è lui che ha trovato i corpi senza vita di Maria Cristina e dei suoi bambini. Quando il generale Maurizio Stefanizzi e i magistrati pavesi Gustavo Cioppa e Giovanni Benelli escono dalla caserma di Motta Visconti per andare a interrogarlo al comando di Abbiategrasso sono le sette di domenica sera. Ci sono punti da rivedere, l’inchiesta per ora non ha visto nessun indagato. Ma è quasi naturale che tutto parta da qui. Che il primo contesto ad essere scandagliato sia quello di questa famiglia felice.

Lissi sabato sera era arrivato a casa degli amici per vedere la partita della Nazionale intorno alle 23.15. «Era tranquillo, sembrava felice. Ha fatto il tifo, dopo l’incontro è tornato a casa da solo», ricorda Marco, 34 anni, proprietario del bar dove si ritrovava la compagnia di amici. «Cristina era solare, allegra e legatissima ai bambini». Carlo e Maria Cristina sono nati e cresciuti a Motta Visconti. Nessuno ricorda di averli visti litigare in pubblico. «Erano qui in strada, saranno state un paio di settimane fa – ricorda una vicina -. Carlo e Maria Cristina stavano insegnando a Giulia a pattinare. Erano l’immagine delle felicità». Il coadiutore della parrocchia di San Giovanni Battista, don Alessandro Suma, parla di mamma Cristina come di «una persona speciale». Alle 19,30 dalla caserma esce anche Giovanna Redaelli, la madre di Maria Cristina. I carabinieri la accompagnano verso la casa di via Matteotti. Un tempo Maria Cristina e Carlo vivevano qui. Poi dopo il matrimonio e la morte del padre di lei si sono trasferiti nella villa acquistata dai genitori con i risparmi di una vita. «Non c’erano problemi economici», dicono gli amici. Gelosia? «No, erano una coppia unita».

Sulla bacheca virtuale di mamma Maria Cristina ci sono le foto dei dolci preparati per il compleanno della piccola Giulia. C’è la gioia per l’arrivo di Gabriele, per «i primo otto mesi». E ci sono le foto del matrimonio con Carlo. Era il 20 ottobre 2008. Meno di un anno dopo nascerà Giulia: «Tanti auguri alla mia piccola stellina che oggi compie 4 anni», scrive il padre sul suo profilo. Il parroco don Gianni Nava ha ricordato Maria Cristina e i piccoli Giulia e Gabriele alla messa del mattino. «Erano tutti affranti e ho chiesto loro di osservare per la mamma e i piccoli, un momento sincero di silenzio e preghiere. Siamo tutti sconvolti».

Il dolore del paese si trasforma in un ordinato e composto via vai davanti alla villa di via Ungaretti. La strada è praticamente a fondo chiuso, qualcuno ricorda di furti avvenuti nelle ultime settimane. «Quindici giorni fa hanno tentato di entrare nella casa della dirimpettaia dei Lissi. Non c’è un sistema di videosorveglianza nel paese, questa sarà la nostra priorità. Così come vogliamo aumentare l’organico dei carabinieri della stazione di Motta, sono solo in sei», ripete il sindaco De Giuli. La campagna elettorale è ancora fresca. Ma quella che a uccidere madre e figli sia stata una banda di rapinatori man mano che il tempo passa somiglia, se possibile, quasi a una speranza: «Non è mai successo niente del genere. Questa è una famiglia felice, il mostro non può vivere qui».

Cesare Giuzzi e Francesco Sanfilippo

16 giugno 2014 | 08:04

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/14_giugno_16/aiuti-altri-poi-ti-lasciano-sola-sfogo-rete-maria-cristina-4589b940-f51b-11e3-ac9a-521682d84f63.shtml

Madre e due bambini uccisi in casa. Fermato il marito per omicidio

Le vittime sono una donna di 38 anni e i suoi piccoli, di 5 anni e mezzo e di 20 mesi. A fare la tragica scoperta, il padre rientrato dopo aver visto la partita dell’Italia da amici

Una donna di 38 anni, Maria Cristina Omes, e i suoi due figli, una bambina di 5 anni e mezzo, Giulia, e un maschietto di 20 mesi, Gabriele, sono stati trovati morti la notte tra sabato e domenica in una abitazione a Motta Visconti (Milano), in via Ungaretti 20. Il corpo della madre è stato trovato in soggiorno, quello della figlia nella sua stanzetta mentre quello del fratellino di 20 mesi sarebbe stato spostato sul lettone. A dare l’allarme, il padre, Carlo Lissi (31 anni), rientrato a casa alle 2 di notte, dopo aver visto la partita dell’Italia da un amico. L’uomo è stato sentito a lungo nella notte tra sabato e domenica dai carabinieri di Abbiategrasso prima di lasciare la caserma.shadow carousel

Le ferite

I corpi presentano ferite d’arma bianca al collo (probabilmente si tratta di un coltello) e compatibili con uno sgozzamento. Terminati i rilievi, non è stata trovata l’arma del delitto e sul corpo della donna sono presenti diversi segni di aggressione: il procuratore capo di Pavia, Gustavo Cioppa, e il pm, Giovanni Benelli, hanno escluso definitivamente l’ipotesi del doppio omicidio con suicidio. I carabinieri di Abbiategrasso e quelli di Milano con il reparto investigazioni scientifiche indagano sull’omicidio. Il Procuratore capo di Pavia, Gustavo Cioppa, pur premettendo che «nessuna pista al momento è esclusa e che non ci sono indagati» ha però aggiunto che «gli accertamenti procedono a ritmi serrati» facendo intendere che nelle prossime ore potrebbero emergere piste precise se non dei fermi.

La cassaforte aperta, probabile depistaggio

Nel pomeriggio di domenica sono continuati i sopralluoghi nella villetta: da ulteriori ricerche si è appreso che dalla cassaforte, trovata aperta, mancavano somme non particolarmente ingenti di denaro. Sulla porta d’ingresso tuttavia, come era già emerso dai primi rilievi, non risultano segni di effrazione. È probabile che la cassaforte aperta nasconda un tentativo di depistaggio: accantonata quasi subito l’ipotesi della rapina, si rafforza dunque la pista del triplice omicidio. Intorno alle 18.15 il procuratore capo di Pavia Cioppa e il comandate provinciale dei carabinieri di Milano, Maurizio Stefanizzi, sono usciti dalla caserma di Motta Visconti, diretti ad Abbiategrasso. Ai cronisti hanno ribadito che non ci sono indagati e che proseguono gli interrogatori. Nel frattempo, è arrivata anche la madre di Maria Cristina Omes.

Le testimonianze

La donna era impiegata in un’assicurazione di Motta Visconti, impegnata in attività di volontariato e frequentava assiduamente l’oratorio della chiesa. Il marito è commercialista a Milano. I due erano sposati da sei anni. I vicini li raccontano come una famiglia tranquilla. Il sindaco, Primo De Giuli, in carica da quindici giorni, descrive la donna come “solare” , la conosceva perché portava i bambini nello stesso asilo di sua nipote e afferma di temere che si sia trattato di una rapina terminata nel sangue: «È da tempo che assistiamo a una escalation di reati a Motta Visconti, soprattutto furti in abitazioni. Specialmente nelle villette. La gente non ne può più e pur avendo una stazione dei carabinieri ci sono solo sei militari che devono controllare quattro paesi e quindi si trovano in evidente sotto organico». «Pensi che solo due mesi fa c’era stato un furto proprio nella villa della vicina – racconta una donna che risiede in via Ungaretti -. So che la padrona di casa rientrando si era trovata i ladri in casa che per fortuna però erano scappati senza aggredirla. Avevano perfino divelto le inferriate alle finestre». Ma sulla porta d’ingresso della casa della famiglia Lissi non sono presenti segni di effrazione.

Cesare Giuzzi

15 giugno 2014 | 10:32

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_giugno_15/madre-due-bambini-trovati-uccisi-0d714e48-f466-11e3-8a74-87b3e3738f4b.shtml?refresh_ce-cp

Lite per un piatto rotto a tavola, figlio uccide il padre a coltellate

Il 42enne era tornato a casa ubriaco e il genitore lo ha assalito trafiggendolo all’addome. Lui ha contrattaccato dopo avergli strappato l’arma

È ricoverato in prognosi riservata all’ospedale di Voghera Mauro Mangiarotti, 42 anni, l’uomo che martedì sera, durante una lite a cena, ha accoltellato a morte il padre Alessandro, 72anni. Secondo quanto emerso dai primi rilievi del medico legale, intervenuto nell’abitazione di via Umberto I a Silvano Pietra (Pavia), il figlio gli avrebbe inferto due colpi fatali al cuore. La discussione, nata all’ora di cena, è stata scatenata dalla rottura di un piatto da parte del 42enne, tornato a casa un po’ alticcio. Tra padre e figlio, a quanto pare, i rapporti erano stati anche in passato abbastanza tesi, qualche discussione tra loro c’era stata anche per motivi economici, ma mai erano pervenute segnalazioni alle forze dell’ordine. Discussioni risolte, sempre, tra le mura domestiche. Martedì sera, però, dalle parole si è passati ai fatti.

Il pensionato 72enne avrebbe impugnato un coltello da cucina, con una lama da 15-20 centimetri, e colpito il figlio all’addome. Mauro d’istinto sarebbe riuscito a disarmarlo e a reagire con due colpi ravvicinati che hanno raggiunto al cuore il padre. Inutile il tentativo della madre Annarita, che ha provato a dividerli ma è stata scaraventata a terra. Dopo aver ucciso il padre, Mauro Mangiarotti è uscito di casa e, malgrado la grave ferita all’addome e perdendo sangue, ha percorso pochi metri che separano l’abitazione dalla fermata dei pullman e si è seduto su una panchina sotto la pensilina. Da qui – secondo quanto ricostruito dai carabinieri di Voghera guidati dal capitano Francesco Zio – avrebbe chiamato il suo datore di lavoro. «Domani non posso venire… mi hanno accoltellato», sarebbero state le poche parole pronunciate dal 42enne.

Pochi minuti dopo sul posto sono arrivati immediatamente i carabinieri, in zona per i consueti controlli preventivi anticrimine. Al primo piano dell’abitazione di via Umberto è stato trovato senza vita di Alessandro Mangiarotti, mentre il figlio è stato immediatamente soccorso dai medici del 118 e trasportato d’urgenza all’ospedale di Voghera, dove è stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico. L’arma del delitto è stata sequestrata dai carabinieri. In un primo momento si era pensato all’utilizzo di due coltelli, uno da parte del padre e l’altro dal figlio, ma poi la ricostruzione dei fatti ha chiarito la dinamica della lite. Sul posto, oltre ai carabinieri di Voghera, anche il magistrato Mario Andrigo della Procura di Pavia, coordinata da Gustavo Cioppa, che ha disposto per le prossime ore l’autopsia sul corpo della vittima.

Enrico Venni

11 giugno 2014 | 14:17

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_giugno_11/lite-un-piatto-rotto-tavola-figlio-uccide-padre-coltellate-7b344c0e-f160-11e3-affc-25db802dc057.shtml

Accoltella il padre a tavola davanti alla madre, si costituisce 42 enne

Il figlio è ricoverato in gravissime condizioni all’ospedale di Voghera

SILVANO PIETRA (Pavia). Una discussione dai toni accesi, avvenuta a tavola durante la cena nella loro abitazione, è degenerata in una lite in cui padre e figlio si sono accoltellati reciprocamente. E’ accaduto poco prima delle 21 di martedì sera a Silvano Pietra, comune a pochi chilometri da Voghera in Oltrepo Pavese. Alessandro Mangiarotti, 72 anni, pensionato, è morto e il figlio Mauro, 42anni, è stato trasportato in gravi condizioni all’ospedale di Voghera per essere sottoposto a un delicatissimo intervento chirurgico. Un litigio avvenuto sotto gli occhi della moglie della vittima, unica testimone dell’accaduto.

La telefonata prima di accasciarsi

Prima di trascinarsi fuori casa e sedersi sulla panchina della fermata del pullman, l’omicida ha chiamato il figlio del suo datore di lavoro, raccontando il litigio con il padre. Poche parole che sono servite a dare l’allarme al 112. I carabinieri di Voghera, che erano in zona per servizio, hanno raggiunto l’abitazione in cui si è consumato il delitto e hanno constatato il decesso del 67enne. I medici del 118 poi hanno soccorso il 42enne omicida, colpito da un profondo fendente che gli ha provocato una ferita di 10-15 centimetri alla pancia e provocato danni ad alcuni organi. Le sue condizioni sono molto gravi: i medici dell’ospedale di Voghera lo hanno sottoposto ad un’operazione nel tentativo di salvargli la vita. Sul posto il magistrato Mario Andrigo, della procura di Pavia, coordinata da Gustavo Cioppa.

Enrico Venni

10 giugno 2014 | 23:59

Fonte: http://www.corriere.it/cronache/14_giugno_10/accoltella-padre-tavola-alla-madre-si-costituisce-32-enne-2d2ff526-f0e8-11e3-b5f1-b439b2d37585.shtml

Falsi turisti, ladri di professione: in un mese 119 furti in abitazioni

Nel bottino 142 orologi, collezioni numismatiche, televisori, telefoni cellulari, occhiali da sole e computer

Erano arrivati in Italia come turisti, ma il loro obiettivo era ben diverso. Sei ladri seriali di appartamenti, tutti cileni e di età compresa tra 19 e 24 anni, sono stati arrestati dai carabinieri della compagnia di Pavia in quanto responsabili di 119 furti messi a segno in un mese, in tutta la Lombardia, con una media di quattro al giorno. Le indagini hanno preso il via lo scorso 14 dicembre dopo un arresto per furto di due cittadini cileni a Vidigulfo, che con un visto turistico erano arrivati in Italia solamente cinque giorni prima. Da qui si è risaliti ad altri connazionali che avevano un punto di appoggio in un appartamento di Cinisello Balsamo. Le indagini coordinate dalla Procura di Pavia guidata da Gustavo Cioppa hanno portato ad individuare una gang di cileni, composta da sei persone, che era arrivata un mese fa in Italia e che si era data molto da fare.

IL BOTTINO – Complessivamente i ladri seriali avevano colpito in 35 appartamenti della provincia di Pavia, ma anche in quelle di Varese, Bergamo, Brescia, Lodi e Milano. Seguendo i sospettati i carabinieri di Pavia hanno arrestato ieri tre di loro mentre stavano compiendo un furto a Capriolo, in provincia di Brescia. Mentre il resto dei ladri seriali cileni sono stati sorpresi nel loro appartamento di Cinisello Balsamo. Qui è stata sequestrata gran parte della refurtiva dei loro colpi: i carabinieri di Pavia hanno recuperato 5 kg d’oro, 4 kg d’argento, 142 orologi tra cui 6 Rolex, collezioni numismatiche, televisori, telefoni cellulari, occhiali da sole e computer per un valore di 300 mila euro. Oggetto che spesso avevano anche valore affettivo per i legittimi proprietari, come anelli di fidanzamento conservate da pensioni anziane. Sono anche state rinvenute ricevute di denaro spedito in Cile per un totale di 30mila euro, provento già della merce venduta a qualche ricettatore locale. Gli investigatori ipotizzano che complessivamente l’ammontare dei colpi possa essere superiore a 600mila euro di refurtiva, il doppio di quella recuperata.

Enrico Venni

22 gennaio 2014

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_gennaio_22/falsi-turisti-ladri-professione-un-mese-119-furti-abitazioni-4fe99858-833b-11e3-9ab1-851e2181383b.shtml

Pavia, l’estorsione svela un giro di tangenti Indagato anche un consulente di Expo 2015

I soldi al centro della contesa potrebbero essere una mazzetta per favori non andati in porto.

PAVIA – Un prestito la cui restituzione viene reclamata a suon di minacce crude; un alto funzionario statale che viene coinvolto nella trattativa. Ma soprattutto il sospetto che quei soldi facessero parte di una tangente versata in cambio di appalti pubblici in realtà poi sfumati. Due persone sono state arrestate ieri mattina a Pavia con l’accusa di estorsione: tra luglio e agosto avevano tartassato un ispettore del ministero dell’ambiente dal quale pretendevano 150 mila euro; una terza persona è indagata a piede libero per il medesimo reato e si tratta dell’ex provveditore per le opere pubbliche della Lombardia e la Liguria Franco Errichiello, attualmente consulente del ministero delle infrastrutture per l’Expo 2015 di Milano.

GLI ARRESTI – La Guardia di Finanza ha portato in carcere Elio Ferrari, 67 anni progettista di Casteggio assillato da problemi economici e Romano Benvenuti, classe ‘34, cugino e collaboratore di Ferrari. Vittima delle minacce è invece Mauro Luciani, ispettore del ministero dell’ambiente che si era occupato tra l’altro tra il 2009 e il 2011 delle opere contro il dissesto idrogeologico nell’Oltrepò Pavese.
La trama è stata ricostruita dal pm Roberto Valli e dal procuratore capo Gustavo Cioppa. Snodo della storia è una denuncia presentata da Luciani in cui il funzionario pubblico dichiara di essere stato avvicinato da più persone che per conto di Ferrari gli avrebbero chiesto la restituzione in tempi stretti di 150 mila euro. Chi lo contatta a volte è Benvenuti, altre volte Errichiello, altre volte gli avvertimenti sono trasversali. In una di queste circostanze Ferrari manda a dire che è pronto a inviargli a Ischia, dove si trova in vacanza «otto persone dal Nord o dalla Calabria a spezzargli le gambe».

LE MAZZETTE – Luciani giura di non aver mai ricevuto i 150 mila euro ma le intercettazioni telefoniche e le testimonianze raccolte dalla Guardia di Finanza lasciano intuire un diverso scenario. Ferrari in particolare fa riferimento a soldi depositati su un conto in Svizzera, a una consegna a Luciani di 50 mila euro in contanti avvenuta in via della Scrofa a Roma e a un’altra dazione avvenuta a Ostia (dove Luciani abita) a bordo di una 500 e filmata proprio dalla Finanza. In un’altra intercettazione Ferrari parla di «900 mila euro che sono girati a Pavia» per favorire l’assegnazione di lavori pubblici. Tanto basta perché i pm Cioppa e Valli chiedano e ottengano l’arresto di Ferrari e Benvenuti; il provvedimento si spinge oltre, cita un’altra inchiesta pavese su cui pende una richiesta di archiviazione ma che alla luce dei nuovi fatti potrebbe avere esito ben diverso. Questa precedente vicenda ipotizzava un giro di mazzette pagate nell’Oltrepò proprio per i lavori contro il dissesto idrogeologico e dunque – sostengono sempre gli inquirenti – i 150 mila euro al centro della disputa potrebbero essere una tangente inizialmente versata per favori che non si sono concretizzati e di cui viene reclamata la restituzione.

IL CONSULENTE EXPO – Va detto che la procura aveva chiesto l’arresto anche per Errichiello, l’attuale consulente di Expo; la misura non è stata concessa perché il dirigente, nelle conversazioni intercettate, non ha mai un atteggiamento minaccioso ma al contrario esprime solidarietà e vicinanza alla vittima del reato. L’inchiesta dunque è destinata ad allargarsi riportando a galla un giro di tangenti che pareva privo di fondamento? Ipotesi plausibile se gli arrestati decideranno di raccontare cose che fino a oggi avevano taciuto. Soddisfazione per il passo avanti nelle indagini è stata espressa dal procuratore capo Gustavo Cioppa: «Il recente accorpamento tra le procure di Pavia e Voghera ha permesso di utilizzare meglio le risorse e di concentrarci sulla lotta ai reati che destano maggiore allarme sociale tra cui anche quelli contro la pubblica amministrazione».

Claudio Del Frate

19 ottobre 2013

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/13_ottobre_19/pavia-l-estorsione-svela-giro-tangenti-indagato-anche-consulente-expo-2015-38148374-38ad-11e3-a22e-23aa40bc2aa7.shtml