Cene e night con le carte aziendali Arrestato l’ex presidente di Asm

Luca Maria Filippi Filippi accusato di corruzione e peculato. Avrebbe anche chiesto tangenti a imprenditori per assegnare lavori direttamente senza appalti

Ha approfittato del suo ruolo di allora presidente di Asm Lavori e di consigliere di Asm Spa per soggiornare alberghi e frequentare ristoranti, ma anche night, pagandoli con carte di credito aziendali per somme superiori a 50mila euro. Avrebbe anche chiesto tangenti a imprenditori per l’assegnazioni di lavori che avvenivano direttamente senza appalti. Per questo motivo i carabinieri del Nucleo Investigativo di Pavia, hanno arrestato questa mattina Luca Maria Filippi Filippi (il cognome è doppio), 44 anni, con l’accusa di peculato, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e induzione indebita a dare o promettere utilità.

Il padre Ettore Filippi Filippi, già vicesindaco di Pavia in passato e famoso nella sua attività di poliziotto per la cattura dell’ex Br Mario Moretti, lo scorso anno era finito ai domiciliari per aver favorito, ricevendo tangenti in cambio, alcune lottizzazioni abusive nell’ambito dell’inchiesta che aveva portato al sequestro dell’area Punta Est. Dall’attività condotta dal sostituto procuratore Paolo Mazza è emerso che Luca Maria Filippi Filippi era solito utilizzare, non solo per spese personali, ma anche per quelle di amici e famigliari che lo accompagnavano, soldi che aveva a disposizione nel suo ruolo di dirigente di un’azienda a partecipazione comunale come l’Asm. Avrebbe, inoltre, preteso da alcuni imprenditori una percentuale del 10% sulle opere che poi venivano affidate attraverso incarichi assegnati direttamente alle ditte senza appalti. Tra questi casi ci sarebbe anche quello del progetto artistico d’illuminazione del Ponte della Libertà sul Ticino, inaugurato lo scorso settembre.

Le indagini, che hanno preso il via nel luglio 2014, hanno anche portato alla luce come diversi collaboratori, assunti in Asm da Filippi Filippi con contratto di consulenza, siano stati costretti a corrispondergli parte della loro retribuzioni, che per questo motivo erano state anche gonfiate. Nell’ambito di quest’attività illecita il personale all’interno del’Asm era aumentato del 300% tanto da creare un disavanzo di bilancio per l’azienda di circa mezzo milione di euro. L’attività, coordinata dal procuratore della Repubblica di Pavia Gustavo Cioppa in stretta collaborazione con i Carabinieri, ha portato a diverse perquisizioni presso le abitazioni di politici ed imprenditori locali, nonché ovviamente presso le sedi di ASM spa e ASM lavori. Sequestrato anche diverso materiale cartaceo ed informatico. Ulteriori sviluppi delle indagini potrebbero, quindi, far emergere il coinvolgimento di altre persone in questo sistema che ha danneggiato pesantemente l’amministrazione pubblica cittadina.

Enrico Venni

16 febbraio 2015 | 10:59

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_febbraio_16/cene-night-le-carte-aziendali-arrestato-l-ex-presidente-asm-53af98da-b5c0-11e4-bb5e-b90de9daadbe.shtml

Il pensionato trovato morto in casa «È stato ucciso da un conoscente»

Il corpo senza vita del 65enne è stato scoperto da un amico che ha dato l’allarme

Marco Ceriani, il pensionato di 65 anni trovato morto nel suo appartamento, è stato ucciso con un solo colpo alla nuca, sferrato con un corpo contundente non ancora identificato. L’autopsia, che doveva svolgersi giovedì, non è stata eseguita ed è stata rimandata a data da definirsi. La Procura sta ora indagando per omicidio: gli investigatori hanno così escluso sia la morte naturale sia quella accidentale. Dai primi accertamenti è emerso che la vittima conosceva il suo assassino. L’omicida ha colpito il pensionato una sola volta con un oggetto che con ogni probabilità ha rimediato forse in casa della vittima. L’intenzione forse non era quella di uccidere, ma solo di stordire il 65enne, anche se non è escluso che l’omicida abbia agito in un impeto di rabbia. La morte del pensionato, che si faceva chiamare “Rosa”, è stata scoperta alle 21.30 di lunedì da un amico che era andato a trovarlo. Questa notte i carabinieri e il pm hanno ascoltato alcuni testimoni.

Marco Ceriani era conosciuto in città. Amava vestirsi e pettinarsi in modo eccentrico e a volte indossava travestimenti femminili con cui si ritraeva sui social network. Conduceva una vita tranquilla e riservata. «Si può escludere con certezza che l’omicidio sia maturato nell’ambito della malavita organizzata», spiegano dalla Procura. Chi l’ha ucciso farebbe quindi parte della cerchia delle sue conoscenze. L’appartamento nel quale Ceriani viveva, un monolocale al pian terreno, non era a soqquadro e sulla porta d’ingresso, trovata chiusa dall’interno, non c’erano segni di effrazione. L’ipotesi è quindi che il pensionato abbia aperto al suo assassino. Oppure, chi lo ha aggredito potrebbe essere entrato scavalcando la recinzione del giardino: un muro di cemento che dà su piazza Mainardi. I vicini di casa, sentiti dai carabinieri, hanno spiegato di non aver sentito rumori sospetti. Marco Ceriani, affetto da disabilità, riceveva ogni giorno il pasto dal Comune di Abbiategrasso. Lunedì, però, il sacchetto del pasto è stato ritrovato dagli operatori ancora appeso alla cancellata dopo diverse ore, e ciò ha fatto scattare l’allarme e l’intervento dei carabinieri. La Procura di Pavia, guidata da Gustavo Cioppa, sta ora cercando di ricostruire le ultime ore di vita dell’uomo.

Giovanna Maria Fagnani

12 febbraio 2015 | 18:50

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_febbraio_12/pensionato-trovato-morto-casa-stato-ucciso-un-conoscente-11a48ad0-b2dd-11e4-9344-3454b8ac44ea.shtml

Pensionato trovato morto in casa «Forse ha aperto al suo assassino»

Il corpo senza vita nell’appartamento in via Cesare Battisti, dove l’uomo viveva da solo, con il suo gatto

Un pensionato di 65 anni, Marco Ceriani, è stato trovato morto nel suo monolocale con giardino in via Cesare Battisti, a Abbiategrasso, dove l’uomo viveva da circa un anno, solo con il suo gatto. La scoperta è avvenuta attorno alle 21.30 di lunedì e le indagini dei carabinieri di Abbiategrasso e della scientifica, coordinate dal pm di Pavia Andrea Zanoncelli, sono proseguite fino a tarda notte. Il medico legale, intervenuto sul posto, non ha escluso alcuna ipotesi, riservandosi di dare una risposta solo dopo il risultato dell’autopsia, che sarà eseguita mercoledì. La Procura, però, indaga per omicidio. Secondo i primi accertamenti, infatti, il corpo, che giaceva sul letto, presenterebbe lesioni alla testa: bisognerà capire se sono colpi inferti da un aggressore o se per caso Ceriani sia caduto.

Chi era

Marco Ceriani era conosciuto in città. Amava vestirsi e pettinarsi in modo eccentrico e a volte indossava travestimenti femminili con cui si ritraeva sui social network. Conduceva una vita tranquilla e riservata. «Si può escludere con certezza che l’omicidio sia maturato nell’ambito della malavita organizzata», spiegano dalla Procura. Chi l’ha ucciso farebbe quindi parte della cerchia delle sue conoscenze. L’appartamento nel quale Ceriani viveva, un monolocale al pian terreno, non era a soqquadro e sulla porta d’ingresso, trovata chiusa dall’interno, non c’erano segni di effrazione. L’ipotesi è quindi che il pensionato, se è stato ucciso, abbia aperto al suo assassino. Oppure, chi lo ha aggredito potrebbe essere entrato scavalcando la recinzione del giardino: un muro di cemento che dà su piazza Mainardi. I vicini di casa, sentiti dai carabinieri, hanno spiegato di non aver sentito rumori sospetti. Marco Ceriani, affetto da disabilità, riceveva ogni giorno il pasto dal Comune di Abbiategrasso. Lunedì, però, il sacchetto del pasto è stato ritrovato dagli operatori ancora appeso alla cancellata dopo diverse ore, e ciò ha fatto scattare l’allarme e l’intervento dei carabinieri. La Procura di Pavia, guidata da Gustavo Cioppa, sta ora cercando di ricostruire le ultime ore di vita dell’uomo.

I vicini di casa ricordano Marco Ceriani come un uomo gentile e educato, molto sensibile. «Sull’uscio del suo appartamento amava appendere degli aforismi e io mi fermavo sempre a leggerli», racconta una vicina, che lavora nello studio di architettura che si trova proprio sopra al monolocale. L’ultimo cartello, appeso sulla porta, insieme a una stellina gialla di peluche, a leggerlo ora spezza il cuore: «Se la gente ricordasse più spesso che, su questa terra, siamo solo di passaggio e che questa vita non è eterna, forse riuscirebbe ad essere più umile e meno cattiva…». Anche in portineria lo vedevano passare raramente. «Era un uomo garbato e molto preciso, passava a prendere la posta e si informava se le bollette erano in ritardo», raccontano i responsabili. Con Marco viveva il suo gatto bianco e nero, che martedì osservava impaurito il viavai di persone davanti al giardino: un fazzoletto di terra dove il pensionato aveva sistemato un ombrellone e altri oggetti, fra cui una grande Befana di cartapesta. «Era un uomo così buono, cosa gli hanno fatto?», commenta la badante di una vicina. Poi sentendo la parola omicidio, la donna si fa il segno della croce, dice una preghiera e si allontana.

Giovanna Maria Fagnani

10 febbraio 2015 | 10:05

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_febbraio_10/trovato-senza-vita-casa-giallo-morte-un-pensionato-7324a56a-b102-11e4-9c01-b887ba5f55e9.shtml

La donna che pesava 15 chili e nessuno vedeva da anni

È morta poco dopo il ricovero, arrestato il marito. Lui, portiere di notte, la teneva chiusa in casa da anni: «Non voleva mangiare, provavo a darle del brodo»

Vent’anni chiusa in casa, gli ultimi tre stesa sul letto. Immobile, denutrita, scarnificata, con il corpo pieno di piaghe, Laura Carla Lodola aveva 55 anni e pesava ormai 15 chili. All’alba di lunedì il suo compagno, Antonio Calandrini, 60 anni, ha chiamato il 118 per chiedere aiuto: la donna aveva ormai perso conoscenza. È stata quella telefonata ad aprire uno squarcio in un silenzio lunghissimo, quello di due vite annegate nel nulla, autoescluse dalla società, barricate tra le mura di un appartamento dignitoso alla periferia di Pavia. Un dramma in cui, per una volta, la miseria non c’entra e le spiegazioni – dicono gli investigatori – sono da cercare nei meandri di due menti smarrite. Laura è morta in ospedale all’alba di ieri. I medici, di fronte a quel corpo miracolosamente ancora in vita, erano disarmati: sotto la soglia dei 25 chili le funzioni vitali dovevano già essere cessate. Non potevano spostarla, tanta era la fragilità delle ossa, non era possibile neppure farle un’iniezione. Gli infermieri hanno cerato di alimentarla, le hanno tagliato i capelli che arrivavo ai piedi e le unghie, più lunghe della dita. Hanno cercato di curare le piaghe, ormai infette, di afferrare quel briciolo di vita che ancora resisteva. Ma, alla fine, Laura si è spenta.

Alla polizia è bastato poco per fermare Antonio Calandrini e il procuratore capo Gustavo Cioppa ieri, insieme alla pm Ethel Ancona, ha chiesto al gip la convalida del fermo formalizzando così le accuse: sequestro di persona, abbandono di incapace, lesioni gravissime, maltrattamenti da cui è derivata la morte. «Lei non ha mai voluto farsi curare – ha raccontato l’uomo ai magistrati – ma io le sono stato sempre accanto, cercavo di farla mangiare. Per accudirla ho anche preso un’aspettativa». Distante dalla realtà dei fatti, prigioniero di un rapporto morboso con la compagna, Calandrini aveva costruito in vent’anni un tran tran allucinante. Nessuna amicizia, nessuna frequentazione, rapporti con i parenti interrotti da tempo. Lui, portiere notturno del Collegio Nuovo (dove tutti lo ricordano come una persona gentile, educata, «con un problema in famiglia»), finito il turno si chiudeva in casa con lei. Tapparelle abbassate, niente tv, niente cellulare. Cercava – dice – di farle bere un cucchiaio di minestra, un sorso di the, poi si stendeva su quel letto sudicio e maleodorante in cui l’esile corpo di lei giaceva in posizione fetale e dormiva. I vicini non li vedevano mai, non si erano mai accorti di nulla.

Della vita di Laura non c’è traccia. A 22 anni comincia a frequentare Antonio, nove anni dopo iniziano a convivere in quella casa che diventerà la sua prigione. Aveva una sorella, con cui i rapporti erano interrotti da 15 anni, mentre il fratello è stato l’ultimo a vederla, tre anni fa: lei stava già male, faticava a reggersi in piedi, una sindrome depressiva degenerata, sembra. Il fratello aveva pensato di rivolgersi ai servizi sociali per farli aiutare ma l’uomo si era opposto sostenendo che era in grado di farcela da solo. E così le due vite sono state definitivamente inghiottite nel nulla. 

Luigi Corvi (ha collaborato Enrico Venni)

29 gennaio 2015 | 10:31

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_gennaio_29/donna-che-pesava-15-chili-nessuno-vedeva-f700b910-a797-11e4-b182-cec9e96dbdaf.shtml

«Paga o rivelo che sei omosessuale» Donna arrestata per estorsione

La 36enne e il figlio minorenne minacciavano e ricattavano da tempo un 50enne: in cambio del silenzio, gli avevano già sottratto 7 mila euro

Da un anno era vittima di ricatti, minacce da parte di una donna e del figlio minorenne che, per non rendere pubblica la sua omosessualità, lo costringevano a pagare somme di denaro. Sotto minacce continue, anche di morte, aveva già versato 7 mila euro, ma a fronte di una nuova richiesta un 50enne di Valle Lomellina, che vive con la madre disabile, ha deciso di rompere il silenzio e rivolgersi al commissariato di Vigevano. La segnalazione alla Procura di Pavia, guidata da Gustavo Cioppa, ha dato il via alle indagini coordinate dal magistrato Ilaria Perinu. Al termine dell’attività investigativa è scattata la trappola, che ha portato all’arresto nelle scorse ore di Lucrezia Renati, 36anni, residente a Casarile (Milano).

La donna si era presentata all’appuntamento con la sua vittima per ricevere 2 mila euro in contanti, ma sul posto c’erano anche gli agenti di polizia che, concluso lo scambio, sono intervenuti e l’hanno fermata. Oltre alla ricattatrice all’incontro era presente anche il suo compagno 37enne, D. V., che l’aveva accompagnata in auto ed è stato denunciato sempre per il reato di estorsione. Nella vicenda è risultato coinvolto anche il figlio 17enne di Lucrezia Renati che è stato segnalato al tribunale dei minori di Milano. Sarebbe stato, infatti, il giovane a telefonare diverse volte minacciando di morte, o di punizioni fisiche, il 50enne lomellino se non avesse provveduto a pagare per il loro silenzio.

Enrico Venni

22 gennaio 2015 | 20:16

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_gennaio_22/vigevano-ricatta-omosessuale-arrestata-donna-ee52c692-a269-11e4-8580-33f724099eb6.shtml

Voghera, resti umani trovati sulla sponda di un torrente

Si ipotizza che il decesso risalga a circa un mese fa. L’arduo compito di scoprire l’identità della vittima resta appeso al filo dell’esame del Dna

Occorrerà attendere i risultati dell’autopsia per sapere a chi appartenessero quei pochi resti umani ritrovati sulle sponde del torrente. A fare la macabra scoperta di due gambe e una parte di bacino nei pressi dello Staffora, attorno alle 15.30 di martedì, è stato un anziano fungaiolo che stava setacciando le campagne tra Voghera e Cervesina in cerca di «chiodini». L’uomo, ex collaboratore dell’agenzia di pompe funebri del paese, ha immediatamente dato l’allarme e sul posto sono arrivati carabinieri, polizia, vigili del fuoco e infine gli esperti dell’istituto di medicina legale di Pavia, dove i poveri resti sono stati trasportati in attesa delle analisi.

Il sostituto procuratore Ethel Ancona ha aperto un fascicolo per omicidio colposo a carico di ignoti, «un atto dovuto – ha precisato il procuratore capo Gustavo Cioppa – per poter procedere con le indagini». L’esame autoptico in programma per il pomeriggio di mercoledì dovrà rivelare innanzitutto il sesso della vittima (attraverso l’esame del femore), ma anche l’eventuale presenza di impronte o altre tracce. L’avanzato stato di decomposizione dei resti, però, non lascia molto spazio alla speranza. Quello che si ipotizza al momento è che il decesso risalga a circa un mese fa. L’arduo compito di scoprire l’identità della vittima resta appeso al filo dell’esame del Dna – sempre ammesso che si trattasse di una persona schedata – e alle ricerche a tappeto svolte dagli inquirenti nelle banche dati di persone scomparse negli ultimi mesi.

Si cerca in provincia di Pavia, ma anche in quelle limitrofe di Milano, Alessandria, Piacenza. Intanto, tra fango e nebbia, i carabinieri continuano a battere la zona del ritrovamento alla ricerca di altre parti del corpo trasportate a valle dalla piena di metà novembre. Con le alluvioni del mese scorso, infatti, il corpo potrebbe arrivare praticamente da ovunque, dagli affluenti dello Staffora o da un punto qualsiasi delle campagne inondate.

Ermanno Bidone

17 dicembre 2014 | 17:42

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_dicembre_17/voghera-resti-umani-trovati-sponda-un-torrente-807b990e-8609-11e4-a2bf-0fba46a30b83.shtml

Suicida dopo anni di abusi Lo zio rinviato a giudizio

Vigevano, la ragazza si gettò sotto il treno dopo averlo denunciato

Qualcuno quella sera l’aveva vista, a poca distanza dalla stazione di Vigevano, infilarsi le cuffie dello stereo e sdraiarsi sui binari. La musica a palla nelle orecchie, poi un ombra che arriva all’improvviso. Dicono che abbia alzato la testa proprio mentre il locomotore del regionale per Milano le passava sopra. Era il 13 maggio 2013 e Anna, 17 anni e una vita difficile, se ne andava così. Alle cinque aveva visto per l’ultima volta la madre. Un incontro nella comunità protetta in cui, per decisione dei giudici, la ragazza viveva da alcuni mesi. Da quando, facendosi forza, si era presentata alla polizia e aveva denunciato quello che era costretta a subire tra le mura di casa, una storia di abusi che andava avanti da sette anni. Gli agenti avevano messo tutto a verbale, poi Anna era stata sentita altre due volte, confermando e precisando il suo racconto. Così era partita una segnalazione al tribunale dei minorenni (che aveva affidato la ragazza a una comunità) e la Procura aveva invece fissato la data dell’incidente probatorio: avrebbe dovuto ripetere davanti al giudice le accuse contro il suo aguzzino, lo zio.

Anna, una ragazza sveglia, intelligente e molto sensibile, viveva con la madre e un fratello più piccolo. Il padre era morto di leucemia quando lei era piccola e il posto in casa era stato preso dal fratello gemello di lui, che aveva allacciato una relazione con la madre. Avrebbe dovuto prendersi cura dei bambini, invece aveva cominciato a molestare Anna quando di anni ne aveva solo dieci. Pretendeva rapporti orali e poi, con le minacce, la obbligava a non dire nulla alla madre.

Con il tempo quella situazione, in una famiglia in cui oltretutto la madre era «poco accudente», aveva finito per creare problemi psicologici alla ragazza, che non aveva più retto ed era andata alla polizia. Era l’inizio del 2013. Poco dopo, sia lei che il fratello erano stati tolti alla madre e affidati alla comunità, forse anche perché la donna avrebbe preferito che la cosa fosse messa a tacere. Infine, a maggio, pochi giorni prima dell’incidente probatorio, Anna si era uccisa. Un gesto inaspettato che aveva sorpreso sia la psicologa che la seguiva, sia gli operatori della comunità: da quando aveva fatto la denuncia pareva più serena. Al fratello aveva lasciato una lettera, piena di affetto, chiedendogli scusa: «Mi spiace che per colpa mia anche tu sei finito in comunità. Io non ce la faccio più, tu cerca di andare avanti. Ti voglio bene».

Il pm Ethel Ancona aveva avviato l’indagine contro lo zio, che anche la morte della ragazza non ha fermato. Poi, con l’accorpamento dei tribunali, il fascicolo è finito a Pavia dove il procuratore capo Gustavo Cioppa ha chiesto al pm Ancona di continuare a occuparsi del caso. Sarà lei a rappresentare l’accusa nei confronti dello zio di Anna, rinviato a giudizio per abusi sessuali continuati. L’udienza, con il rito abbreviato, è fissata per il 17 febbraio. Ma forse la sentenza arriverà tardi: l’uomo, gravemente malato, sarebbe in fin di vita.

Luigi Corvi

10 dicembre 2014 | 12:00

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_dicembre_10/suicida-anni-abusi-zio-rinviato-giudizio-2d02f870-805b-11e4-bf7c-95a1b87351f5.shtml?refresh_ce-cp

Vaccino antinfluenzale, autopsia su due anziane nel Pavese

Le donne avevano 85 e 93 anni. La Procura: «Evitare allarmismi»

C’è allarme nel Pavese per il decesso di due donne dopo la somministrazione del vaccino antinfluenzale. Sul corpo delle pensionate, Giulia Giannattasio di 85 anni e Lina Tarditi di 93, residenti in Oltrepò, la Procura di Pavia ha disposto l’autopsia. Per questo la famiglia della più anziana è stata costretta a rinviare il funerale che avrebbe dovuto tenersi martedì in mattinata. Una circostanza che ha suscitato preoccupazione nella piccola comunità di Cecima, dove la donna era residente.

Entrambe sono decedute in ospedale. L’85enne, residente a Montù Beccaria, è mancata sabato scorso in quello di Voghera. Quando le è stato somministrato il vaccino, circa cinque giorni prima, sembra che non avesse particolari problemi di salute. La 93enne Lina Tarditi è invece mancata domenica sera in ospedale a Varzi, a tre giorni di distanza dalla somministrazione, ma da quanto emerso sembra che il suo quadro clinico fosse decisamente più complicato. I medici che avevano in cura le donne hanno subito precisato di non aver utilizzato il vaccino Fluad di Novartis, di cui sono stati bloccati alcuni lotti dall’Agenzia Italiana del Farmaco dopo i casi di morti sospette delle scorse settimane. Il procuratore capo Gustavo Cioppa ha parlato della necessità di «evitare allarmismi» ma anche di «verifiche doverose» al termine delle quali la magistratura potrebbe decidere di aprire un fascicolo per omicidio colposo. Sembra comunque che la decisione di eseguire l’autopsia sui corpi delle donne sia stata presa dalla Procura più che altro per motivi precauzionali, vista la grande eco mediatica sui casi di morti sospette che, ha concluso Cioppa, richiedono una «maggiore attenzione sulla questione».

Ermanno Bidone

3 dicembre 2014 | 13:10

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_dicembre_03/vaccino-antinfluenzale-due-anziane-morte-la-somministrazione-3fd5b996-7ae4-11e4-825c-8af4d2bb568e.shtml

Furti di rame, smantellata banda a Pavia: dieci arresti

Usato come piazza di raccolta dell’«oro rosso» un ex deposito per la rottamazione delle auto, confiscato ma ancora operativo

Un’organizzazione dedita al riciclaggio del rame è stata smantellata in una complessa operazione condotta dal Comando provinciale della Forestale di Pavia, coordinato nelle indagini dal sostituto procuratore Paolo Mazza. Dieci gli ordini di custodia cautelare emessi, molti dei quali nei confronti di alcuni rom. Le accuse vanno dalla ricettazione al riciclaggio fino alla gestione illecita di rifiuti speciali e pericolosi. «“L’oro rosso” è sempre più facile preda di bande organizzate, spesso composte da stranieri – ha spiegato il procuratore di Pavia, Gustavo Adolfo Cioppa — I furti stanno creando sempre più disagi e danni economici alla comunità: con linee ferroviarie o elettriche interrotte creano ripercussioni economiche per migliaia di euro». Nell’operazione denominata «Waste Red and Gold» sono stati sequestrati anche quattro siti che servivano a ripulire la refurtiva e a reinserirla nel mercato della produzione di materiali con rame. La base operativa a Monticelli Pavese (Pavia), in un deposito di proprietà di Fabio Luca Loda, 47anni, la mente dell’organizzazione, secondo quanto appurato dagli investigatori attraverso intercettazioni, pedinamenti e filmati.

Le bande di rom operanti sul territorio facevano riferimento a loro responsabili che portavano il rame rubato al deposito della Loda Srl. Qui veniva trattato fisicamente e poi, attraverso due società di Pieve Emanuele, nell’hinterland milanese, la Somea e la Cosmital, pulito fiscalmente con un sistema di auto-fatturazioni e venduto ad aziende che lo utilizzavano per realizzare prodotti finali. Se ai rom inizialmente veniva pagato 1-2 euro al chilo, la vendita agli utilizzatori finali era a cifre superiori almeno cinque volte. Un business che aveva la sua base operativa in quello che a Monticelli Pavese era un sito di demolizione auto illegale, prima sequestrato e poi confiscato nel 2005, ma ancora operativo. Per questo, il sindaco del paese della Bassa Pavese, Enrico Berneri, e il comandante della polizia locale sono stati raggiunti da un avviso di garanzia per le presunte responsabilità legate proprio al mancato controllo dei beni confiscati.

Enrico Venni

21 ottobre 2014 | 13:24

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_ottobre_21/furti-rame-smantellata-banda-pavia-dieci-arresti-4872b95c-5913-11e4-aac9-759f094570d5.shtml

Resta in carcere il padre omicida «Lissi ha agito contro natura»

Il gip: «Voleva liberarsi dei legami familiari, è senza emozioni». L’ordinanza ripercorre le fasi dell’uccisione di moglie e figli

Il papà assassino di Motta Visconti ha agito «con piena lucidità e convinzione», s’è mostrato «privo di sentimenti e incapace di mostrare emozioni» e anche durante l’interrogatorio di garanzia «è apparso totalmente indifferente all’accaduto». Le parole del gip di Pavia, Anna Maria Oddone, sono la conclusione di sei pagine di indizi e accuse che motivano l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Carlo Lissi, il 31enne che sabato sera ha ucciso a coltellate la moglie Maria Cristina Omes e i figli Giulia, di quasi cinque anni, e Gabriele, di soli venti mesi.
Secondo il giudice, Lissi «ha agito contro natura per liberarsi dai vincoli familiari» preferendo «uccidere la moglie piuttosto che affrontare il pur difficile percorso della separazione». Per il magistrato del Tribunale di Pavia – competente per la zona di Motta Visconti – «ciò che è ancora peggio, è il fatto che abbia voluto uccidere i figli dai quali non si sarebbe “liberato” neppure se avesse abbandonato la moglie».

La «doppia versione»

L’informatico, assistito dall’avvocato milanese Corrado Limentani, durante l’interrogatorio di garanzia di mercoledì s’è avvalso della facoltà di non rispondere. Ha preferito non ripetere la doppia confessione di domenica sera. Prima quella durante le spontanee dichiarazioni davanti ai carabinieri del Nucleo investigativo, poi quella davanti al sostituto di Pavia, Giovanni Benelli, e al procuratore capo, Gustavo Cioppa. Parole riportate nell’ordinanza di custodia cautelare e che descrivono le due facce di Lissi. Quella del marito affranto che «regge la parte» davanti ai carabinieri che lo interrogano subito dopo aver trovato i corpi in casa, di ritorno dalla partita della Nazionale. Una testimonianza piena di lacune e punti di «incongruenza» talmente grandi da far da subito escludere agli inquirenti che il triplice omicidio possa essere maturato al di fuori dell’ambito familiare. Poi, quando i carabinieri gli fanno il nome della collega di lavoro della quale s’era invaghito, Lissi confessa: «Dopo che io e mia moglie abbiamo fatto l’amore sul divano sono andato in cucina, ero in mutande. Ho preso da un cassetto un coltello da cucina a lama liscia con manico marrone. Parlo di un coltello grande, non di quelli che si usano per il pasto». Dopo aver colpito la moglie, infierisce sui figli. «Subito ho iniziato a mettere in disordine la casa per simulare una rapina, forse avevo già iniziato a farlo dopo aver ucciso mia moglie».

«Anomalo concetto di libertà»

Nel racconto dell’orrore, il padre assassino si sofferma su alcuni dettagli: «Preciso che per tenere in mano il coltello avevo usato due stracci da cucina. Ho fatto cadere il coltello in un tombino, credo di aver sentito il rumore dell’acqua quando è caduto. Ho proseguito lungo la strada e all’altezza di un ponte ho abbassato il finestrino destro e ho lanciato i due stracci in direzione del fiume che scorre sotto a un ponte». Il legale nei prossimi giorni chiederà una consulenza psichiatrica per chiarire le condizioni di salute del 31enne. Sabato mattina a Motta Visconti ci saranno i funerali delle tre vittime. Scrive il gip Oddone: «Nel vivere quotidiano ogni persona è sottoposta a vincoli e obblighi, siano imposti dall’esterno o auto assunti, come quelli derivanti dal matrimonio o dalla procreazione. Lissi ha maturato un concetto di libertà che non prevede il rispetto dei limiti: siano essi derivanti dalla libertà altrui o dalla sopravvivenza di coloro che lo circondano. Anche una situazione di totale normalità potrebbe indurre l’indagato a eliminare coloro che a suo parere ostacolano il raggiungimento dei suoi fini».

Cesare Giuzzi

20 giugno 2014 | 09:17

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_giugno_20/resta-carcere-padre-omicida-lissi-ha-agito-contro-natura-bab03588-f849-11e3-8b47-5fd177f63c37.shtml