Il suk degli ambulanti abusivi che unisce Brera e viale Monza

Un milanese su tre acquista merce falsa. Dal centro alla periferia, nelle fermate del metrò come nei mercati: ecco il network dei prodotti contraffatti. Confcommercio torna a denunciare il fenomeno: «Peso intollerabile, vita delle imprese a rischio»

Ci sono gli abusivi che soprattutto nelle giornate di pioggia ti aspettano all’ingresso delle fermate della metropolitana con una manciata di prodotti. Altri invece mettono in mostra tutta la loro mercanzia sui marciapiedi, su lenzuola o bancarelle più o meno stabili da far sparire alla prima avvisaglia di controlli. Ma i prodotti contraffatti si vendono anche, in alcuni casi, come documentano recenti indagini, nei negozi. Incrociare i falsi a Milano è facile. In centro e in periferia, sugli scaffali o nei mercati. Le segnalazioni di cittadini e imprenditori sono svariate: nella stazione di Cadorna come alla fermata Uruguay, nelle vie di Brera come sui marciapiedi di viale Monza, a Chinatown come nei mercati di via Kramer e di viale Papiniano. I prodotti falsificati non copiano però solo i marchi, ma imitano anche le strategie. Per il mondo del commercio la nuova strada è il web? Lo stesso vale per il mercato illegale: la contraffazione conquista spazi nel mondo virtuale.

Anche in questo campo è la legge del mercato a dominare: c’è un’offerta tanto massiccia e capillare perché esiste una domanda. E non di poco conto. Almeno se si guarda ai dati nazionali (il valore totale in Italia è stimato in 6,9 miliardi di euro all’anno e solo in Lombardia l’anno scorso sono stati sequestrati oltre 7 milioni di pezzi) e ai risultati del sondaggio «Vero o falso?», promosso da Confcommercio e presentato ieri in occasione della giornata di mobilitazione di categoria «Legalità, mi piace!». Nell’area metropolitana di Milano una persona su tre (il 37 per cento) ammette di aver acquistato almeno una volta una copia. E un milanese su quattro (il 23 per cento) confessa candidamente di averla comprata volontariamente. Le preferenze sono sempre le stesse: accessori moda, abbigliamento, libri, dvd, orologi, tecnologia, occhiali e gioielleria. I motivi? Domina, ovviamente, la convenienza, perché il fattore economico in tempi di crisi pesa, soprattutto sul portafogli. Anche i luoghi dove trovare prodotti contraffatti sono sempre quelli (dagli abusivi di strada e nei mercati alla spiaggia). La novità è rappresentata da Internet, indicato dall’11 per cento del campione formato da 710 persone tra semplici cittadini e imprenditori.

Sorprende invece che il 13 per cento degli intervistati sia disinteressato riguardo alla qualità del prodotto, a cui si aggiunge un sei per cento che pensa che tra «vero» e «falso» non ci sia poi questa gran differenza, e ancora uno 0,1 per cento che addirittura giudica migliore la copia rispetto all’originale. E se sui danni provocati dalla merce contraffatta c’è consapevolezza — le persone concordano sul fatto che alimenti la criminalità, che possa provocare danni alla salute e che di certo penalizza l’economia sana — sul fronte delle contromisure le posizioni sono meno nette. Tutti favorevoli (l’89 per cento) a perseguire i produttori e venditori. Ci si spacca a metà invece sulle responsabilità dell’acquirente, che solo una maggioranza risicata (il 57 per cento) sanzionerebbe.

«Contraffazione e abusivismo sono pesi supplementari — spiega Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio — che penalizzano la vita delle imprese. In tempi di difficoltà economiche questi pesi diventano intollerabili. Il pericolo è che queste attività illegali vengano considerate a lungo andare un mercato parallelo conveniente e accettabile. Sappiamo invece che rappresentano una minaccia per la salute dei consumatori, danneggiano l’economia sana e sono la terza fonte di finanziamento della criminalità organizzata». Commenta Gustavo Cioppa, sottosegretario di Regione Lombardia: «Alimentare i mercati irregolari è una scelta irresponsabile per i singoli e per la collettività. Sono fenomeni che devono essere combattuti con forza dalle istituzioni, dalla categoria e dagli stessi consumatori».

Pierpaolo Lio

23 novembre 2016 | 07:37

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/16_novembre_23/suk-ambulanti-abusivi-che-unisce-brera-viale-monza-contraffazione-falsi-c2f80cdc-b144-11e6-aca9-06f7502f8eb7.shtml

Elena, tornata dal coma: «Dopo dieci mesi mi riprendo la vita»

La consigliera comunale del Pd investita a Pavia il 12 novembre è tornata al lavoro. È costretta a usare il deambulatore per muoversi. «La strada è ancora lunga»

Bisogna dosare le forze. Ed è una lotta quotidiana con la testa che corre al lavoro, al ritorno alla guida della commissione Servizi sociali e la voglia di partecipare alla seduta del Consiglio comunale di giovedì prossimo. Ma le gambe sono segnate da quasi 250 giorni d’ospedale, e serve un deambulatore per sorreggere lo sforzo dei muscoli, e poi la voce è ancora incerta dopo le operazioni al viso e alla mandibola. Ma Elena è lì, con un golfino rosa e i capelli biondi soltanto un po’ più corti. Pronta a riprendersi questi dieci mesi di vita: «Voglio tornare a occuparmi della città – racconta -, ringrazio tutti della vicinanza è stato fondamentale, ma ora voglio riprendere la mia vita, anche se la strada è poco facile e lunga». È un mezzo miracolo, anche se la testa e lo spirito vorrebbero essere già a cento all’ora. Ma no Elena, bisogna dosare le forze. Lo ripetono gli amici che da quel 12 novembre di un anno fa non hanno mai smesso di starle vicino, al Niguarda di Milano, al San Matteo e al Mondino durante la riabilitazione. Sono 309 giorni dalle sette di sera di quel mercoledì quando Elena Maria Madama, 27 anni, praticante legale e consigliere comunale del Partito democratico di Pavia, viene travolta da un’auto rubata e trascinata per 700 metri sui masselli di Strada Nuova, il cardo della Ticinum romana.

Il lungo applauso

Alla guida della Opel Insigna bianca rubata nel Milanese c’è un ragazzo moldavo quasi coetaneo di Elena, Radion Suvac. È sospettato di far parte di una banda che ricetta navigatori satellitari. Viene catturato dopo sei mesi di caccia in giro per l’Europa, grazie alle indagini coordinate dal procuratore capo di Pavia, Gustavo Cioppa, e del sostituto Mario Andrigo. Manca un complice e l’inchiesta continua per mettere in fila tutti i tasselli in attesa della richiesta di rinvio a giudizio. Giovedì Elena è tornata a Palazzo Mezzabarba. Nella sala Grignani ha presieduto per la prima volta dopo l’incidente la commissione Servizi sociali. Ad accoglierla un lungo applauso, dopo un calvario durato dieci mesi. «Devo ringraziare i miei genitori, Enrico il mio fidanzato, e i miei familiari e amici che non mi hanno mai lasciato sola. E anche i colleghi consiglieri di maggioranza e minoranza che mi hanno sempre aggiornato e coinvolto».

Nella solita pasticceria

Elena Madama è stata il consigliere con il maggior numero di preferenze alle scorse comunali: 481. Sabato scorso ha incontrato l’amico e assessore alla Cultura di Pavia Giacomo Galazzo: «Vuole tornare subito in Consiglio, ma non c’è fretta, deve pensare soprattutto alla sua ripresa, noi siamo qui e l’aspetteremo come sempre». Prima dell’incidente lavorava come praticante in uno studio legale pavese, stava organizzando le nozze con il fidanzato Enrico. S’è svegliata dal coma a dicembre, ha subito diversi interventi: «Devo essere grata alle straordinarie capacità e alla passione di coloro che si sono occupati di me nelle strutture dove sono stata ricoverata». Oggi ha ripreso a frequentare la storica pasticceria Vigoni con le amiche, grazie a Facebook segue e commenta la vita politica pavese, ma anche lo straordinario avvio di campionato della sua Inter: «Ora voglio tornare a parlare del futuro della mia città e non del passato».

Cesare Giuzzi

19 settembre 2015 | 09:17

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_settembre_19/elena-tornata-coma-dopo-dieci-mesi-mi-riprendo-vita-d11494c8-5e9a-11e5-8999-34d551e70893.shtml

«Spaccate» in farmacie e negozi Presa banda di albanesi, 11 arresti

Le indagini dei carabinieri di Abbiategrasso. Quattordici i colpi finora accertati, tutti negli ultimi quaranta giorni, nelle province di Milano, Pavia, Bergamo e Brescia

Erano esperti in assalti con spaccata ai danni soprattutto di tabaccherie e farmacia. Nel corso della notte tra martedì e mercoledì, i carabinieri di Abbiategrasso hanno eseguito 11 arresti con l’ipotesi di associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione di decine di furti. A carico degli indagati, tutti albanesi, sono stati raccolti gravi indizi in merito a decine di colpi in esercizi delle province di Milano, Pavia, Bergamo e Brescia. I banditi rubavano un’auto potente, le sostituivano la targa e poi la usavano per scardinare la serranda, agganciandola alla macchina con un cavo. Quindi spaccavano la vetrina e razziavano il negozio. Con questa tecnica la banda di albanesi in un mese e mezzo secondo gli investigatori ha messo a segno 8 furti ai danni di tabaccherie, farmacie e un negozio di abbigliamento, oltre che in sei abitazioni sparse tra le province di Milano, Pavia, Bergamo e Brescia. Mercoledì otto malviventi tra i 23 e i 34 anni sono finiti in manette con un fermo firmato dal pubblico ministero di Pavia Andrea Zanoncelli e ora attendono la convalida del giudice per le indagini preliminari (motivo per cui non ne sono state diffuse le generalità).

Armi e telefoni satellitari

Altri tre erano già stati arrestati in flagranza di reato il 20 maggio a Brescia, al termine di uno scontro a fuoco con i carabinieri del nucleo radiomobile, dopo il furto in una tabaccheria commesso con la stessa tecnica. Pedinati, non avevano rispettato l’alt dei militari e avevano anche tentato di investirne uno. Mercoledì, tra Corsico, Vimodrone, Cassano d’Adda e Abbiategrasso sono stati bloccati gli altri componenti della banda, alcuni di loro con legami di parentela. Un’organizzazione criminale all’apparenza orizzontale, senza un capo particolare, ma molto ben organizzata, ha spiegato il procuratore della Repubblica Gustavo Cioppa, che poteva contare su armi e telefoni satellitari e conosceva molto bene il territorio.

Quattordici colpi

Gli 11 arrestati sono accusati di associazione per delinquere finalizzata al furto e alla ricettazione dei prodotti che rubavano, per lo più argenteria e sigarette, e sospettati di aver commesso altri colpi su cui ora i carabinieri stanno approfondendo le indagini, partite a metà aprile dal furto di un’automobile di grossa cilindrata nel centro di Abbiategrasso. Quattordici, dunque, i colpi finora accertati, eseguiti tutti negli ultimi quaranta giorni. Gli albanesi precedevano le spaccate con dei sopralluoghi e sono entrati nelle case di impiegati e imprenditori quando erano assenti. Ora si sta calcolando l’ammontare del profitto dei furti.

Redazione Milano Online

27 maggio 2015 | 13:40

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_27/spaccate-farmacie-negozi-presa-banda-albanesi-11-arresti-5ed8094c-0460-11e5-8b0b-0cc2990e0043.shtml

Investita e trascinata, i genitori: «Dopo mesi Elena riesce a parlare» Si cerca ancora un 18enne russo

In manette Radion Suvac, 27enne, si cerca il complice. La 26enne consigliera del PD travolta di proposito dai ladri in fuga, finì in coma e riportò ferite al capo e al volto

«Per sei mesi non abbiamo pensato ad altro che stare vicino a nostra figlia, farle sentire il nostro amore e scegliere di volta in volta che cosa era meglio fare per lei. Non so più quante operazioni ha fatto, so che finalmente i segnali sono incoraggianti. Il percorso sarà lungo, ma adesso Elena riesce a parlarmi e fa qualche passo». Nelle parole di Idangela Vittadini non c’è (e non c’è mai stato) spazio per odio o rancore verso chi, quella sera di pioggia del 12 novembre scorso, ridusse in fin di vita la figlia, Elena Madama, 26 anni. Neppure oggi che, con un’indagine lunga e paziente, sono stati identificati i due balordi dell’Est (uno già arrestato) che la investirono con un’auto nel centro di Pavia, trascinandola per 700 metri e abbandonando poi la macchina con il corpo maciullato della ragazza, per sparire nel nulla. Idangela e il marito Lino ieri mattina erano in Procura, accanto al capo dell’ufficio, Gustavo Cioppa, che dopo averli abbracciati ha parlato della «fine di un incubo per i genitori di Elena ma anche per Pavia, che ha vissuto lo stesso dolore». Da loro solo parole di gratitudine per tutti: «Abbiamo sempre avuto fiducia negli investigatori, questo è un momento di soddisfazione. Dobbiamo ringraziare tutta la città che ci è stata sempre vicina e non ci ha mai fatto sentire soli». Elena, intanto, continua il suo difficile percorso. Uscita dal coma, ora è in riabilitazione all’Istituto neurologico Mondino.

L’arrestato è un moldavo di 26 anni, Radoon Suvac, ammanettato dalla polizia a Piacenza. C’era lui quella notte alla guida della Opel Insigna che in Strada Nuova travolse Elena, praticante avvocato e consigliere del Pd in Comune, che era appena uscita dall’ufficio. Vicino a Suvac c’era un russo di 18 anni, che ora è ricercato. I due facevano parte di una banda internazionale specializzata nel furto di navigatori satellitari ed è probabile che quella sera Elena avesse visto qualcosa che ha spinto deliberatamente i due a investirla, prima in retromarcia e poi in avanti, trascinandola per 700 metri. In questi mesi i due si sono spostati continuamente in vari Paesi d’Europa, e non per sfuggire agli investigatori ma perché occupati a piazzare la refurtiva all’estero.

Il lavoro della polizia è stato immane: si è partiti dall’analisi di 500 mila dati di traffico telefonico che aveva agganciato la cellula della zona dell’investimento, per arrivare a un numero, quello del russo, ripreso quella sera anche dalle telecamere della stazione di Pavia. Intercettando le sue telefonate gli investigatori sono risaliti anche a Radon Suvac, di cui avevano l’identikit, e ne hanno seguito i movimenti sino a quando la sua presenza è stata segnalata a Piacenza, dove era ospite di un connazionale che faceva parte della stessa banda. Adesso anche il russo avrebbe le ore contate.

7 maggio 2015 | 08:50

Luigi Corvi (ha collaborato Enrico Venni)

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_07/elena-riesce-parlare-soddisfatti-il-pirata-cella-madama-consigliera-pd-pavia-investita-trascinata-8356cec6-f483-11e4-83c3-0865d0e5485f.shtml

Investita e trascinata con l’auto, preso il pirata che sfregiò Elena

In manette un 27enne, si cerca il complice. La 26enne consigliera del PD a Pavia, travolta di proposito dai ladri in fuga, finì in coma e riportò ferite al capo e al volto

«Per i genitori di Elena e per tutta Pavia è la fine di un incubo»: questo, nelle parole del procuratore capo Gustavo Cioppa, il significato dell’arresto di Radion Suvac, 27 anni, moldavo, bloccato martedì a Piacenza dagli agenti della squadra mobile di Pavia. Non l’ha fatta franca il ladro di professione e pirata della strada che a novembre scorso, fuggendo dopo l’ennesimo furto, travolse «deliberatamente» e trascinò con la sua auto per oltre 700 metri nel centro di Pavia la giovane consigliera comunale Elena Maria Madama. Per lui l’accusa è di tentato omicidio, rapina impropria e ricettazione. Il suo complice, un 18enne russo, identificato, è tuttora ricercato. L’arresto è stato effettuato martedì dalla squadra mobile di Pavia in collaborazione con il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, nel parco pubblico della Galleana a Piacenza.

Quella sera

Elena Maria, 26 anni, laureata in Giurisprudenza, era molto conosciuta a Pavia come consigliera comunale del Pd. Fidanzata, avrebbe dovuto sposarsi a luglio: stava facendo le prove dell’abito da sposa. La sera del 12 novembre uscì dall’ufficio dove era praticante legale e percorse a piedi alcuni metri in Strada Nuova, sino all’incrocio con Piazza Guicciardi. Qui notò una Opel Insigna bianca, risultata poi rubata nel Milanese, con due persone a bordo. Suvac era al volante dell’auto, e assieme al giovanissimo complice stava fuggendo dopo aver rubato l’ennesimo navigatore satellitare (nell’auto ce n’erano 12). I due facevano parte, secondo gli inquirenti, di una banda specializzata in questo genere di furti. Per la polizia, Suvac investì deliberatamente Elena Madama, prima in retromarcia e poi travolgendola e trascinandola per oltre 700 metri durante la fuga in Strada Nuova.

Preso in un parco pubblico

Dopo aver investito Elena Maria, arrivati quasi all’altezza del Ponte Coperto i due giovani erano scesi dall’auto ed erano fuggiti a piedi, raggiungendo la stazione ferroviaria per salire sul primo treno. Le indagini erano scattate immediatamente: molte le persone che a quell’ora, intorno alle 19, avevano assistito alla scena e avevano aiutato a tracciare un identikit dei due uomini. Fondamentale anche l’enorme lavoro svolto dalle forze dell’ordine sulle utenze telefoniche di tutti i cellulari presenti nell’area (oltre 500 mila), fino a isolarne uno collegato ai fuggitivi. In questi mesi Radion Suvac è stato in Moldavia, Russia, Francia e in altri Paesi europei: un movimento continuo non per fuggire agli inquirenti, ma sempre legato al suo coinvolgimento nel traffico internazionale di navigatori satellitari e altri accessori di auto rubati. Una volta rientrato in Italia, ha raggiunto Piacenza, dove è stato identificato e arrestato dalla polizia. Radion Suvac sarà sentito nelle prossime ore dal Gip di Piacenza per l’udienza di convalida dell’arresto.

Il lento recupero

Dopo esser stata travolta e trascinata dall’auto Elena Maria Madama finì in coma, con profonde ferite al viso e alla testa e lesioni in tutto il corpo. Dopo essere stata sottoposta a diversi interventi chirurgici, è stata trasferita dal San Matteo al Niguarda. A dicembre i genitori, Lino Madama e Idangela Vittadini, hanno raccontato di aver notato i primi segnali di risveglio: la giovane è stata staccata dalle macchine ed ha iniziato a respirare in autonomia, seppure ancora con fatica. Ha aperto gli occhi ed ha iniziato per pochi minuti a seguire i movimenti dei genitori.

I genitori

«Per noi è un momento di soddisfazione. Fin dall’inizio eravamo convinti che gli sforzi degli inquirenti avrebbero permesso di identificare chi guidava l’auto che ha travolto nostra figlia», è stato il primo commento dei genitori di Elena Maria, convocati dal procuratore capo Cioppa mercoledì mattina. Da Natale la 26enne è ricoverata all’Istituto Mondino di Pavia, dove i medici la stanno sottoponendo a un lungo e delicato percorso di riabilitazione «con segnali incoraggianti», dicono i genitori. Tutta la sua città le è idealmente vicina, ma la giovane ha ancora bisogno di assoluta tranquillità e non può ricevere visite. «Ringraziamo gli inquirenti – hanno aggiunto i genitori di Elena Madama – e tutta la città per come ci è stata vicina, non ci siamo mai sentiti soli. Alla fine hanno identificato le persone che hanno tolto un paio d’anni a nostra figlia».

Sara Regina e Enrico Venni

6 maggio 2015 | 09:46

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_06/investita-trascinata-un-auto-arrestati-ladri-elena-maria-madama-pavia-consigliera-comunale-pd-e15813c2-f3c0-11e4-8aa5-4ce77690d798.shtml

Maggiordomo estorce 100mila euro all’imprenditore per cui lavora

Il 70enne è stato scoperto e arrestato dai carabinieri all’interno cella villa, con l’accusa di estorsione aggravata. Aveva ancora i soldi sul comodino

Approfittando della grande fiducia che si era guadagnato con il proprio datore di lavoro, per cui lavorava come custode da oltre cinque anni, ha pensato di ricattarlo. Vincenzo Scarcella, 70anni originario di Palmi (Reggio Calabria) è stato, però, scoperto e arrestato dai carabinieri di Vigevano con l’accusa di estorsione aggravata nei confronti di un 80enne imprenditore vigevanese del settore delle pelli sintetiche e delle calzature. A metà marzo i primi episodi per destabilizzare la tranquillità dell’imprenditore: per iniziare un tentativo di incendio del garage della villa, poi altri due tentativi furti in cui il maggiordomo sarebbe intervenuto facendo fuggire i ladri. Ma questi ripetuti episodi avevano lasciato il segno in un uomo di una certa età come l’80enne imprenditore vigevanese che aveva deciso di cambiare aria e prendersi un breve periodo di vacanza nella casa al mare.

La richiesta

Al ritorno a Vigevano, il 21 aprile, però, la vittima dell’estorsione riceveva una busta anonima in cui veniva formula la richiesta del pagamento di 100mila euro in contanti, da consegnare entro la mezzanotte del 25 aprile, per non essere più «disturbato». A quel punto l’imprenditore ha deciso immediatamente di denunciare tutto ai carabinieri di Vigevano, che guidati dal capitano Rocco Papaleo e sotto la direzione del Procuratore della Repubblica di Pavia Gustavo Cioppa e del sostituto procuratore Roberto Valli hanno organizzata una vera e propria trappola.

La consegna

Nel luogo indicato per la consegna del denaro i carabinieri si aspettavano più persone, ma invece, anche le microtelecamere che erano state installate precedentemente, hanno immortalato solamente una persona, Vincenzo Scarcella. Il custode della villa dell’imprenditore ha ritirato la busta con i soldi suddivisi in varie mazzette ed è stato pedinato dai carabinieri fino alla sua abitazione. Qui quando è scattato il blitz per il suo arresto l’estorsore è stato sorpreso nel sonno, ma con il denaro in bella mostra appoggiato sul comodino del proprio letto.

Enrico Venni

28 aprile 2015 | 10:49

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_aprile_28/custode-70enne-estorce-100mila-euro-imprenditore-80-anni-de2c488e-ed81-11e4-91ba-05b8e1143468.shtml

Motta Visconti, tradimenti, menzogne: ecco perché li ho uccisi

La confessione choc di Carlo Lissi, il padre assassino che il 14 giugno del 2014 ha ucciso la moglie e i due figli di 20 mesi e di 5 anni

«Ho conosciuto Maria a marzo. Condivideva la mia passione per la moto, abbiamo iniziato a parlare, andavamo a pranzo insieme, la nostra intesa aumentava. Non abbiamo mai avuto rapporti sessuali, lei aveva una relazione e mi ha detto che non avrebbe mai tradito il partner. Ma io ho creduto che lei fosse il vero amore. Ho iniziato a pensare alla separazione, avevo visto che ci poteva essere il divorzio veloce, ho chiesto a due miei colleghi: uno mi aveva detto di avere dovuto affrontare qualche sacrificio economico e di avere perduto l’affetto dei figli per colpa della ex moglie».
Eccolo il tormento di Carlo Lissi, il papà di Motta Visconti che lo scorso 14 giugno ha sterminato la famiglia e poi, prima di simulare l’azione di una banda di rapinatori, è andato a vedere la partita dei Mondiali Italia-Inghilterra con gli amici.

L’udienza

Davanti al giudice del Tribunale di Pavia, Luisella Perulli, l’udienza preliminare del processo che lo vede accusato del triplice omicidio della moglie Maria Cristina Omes, della figlia Giulia di 5 anni e mezzo e del piccolo Gabriele, 20 mesi. Durante l’udienza potrebbe esserci il primo faccia a faccia con la mamma di Maria Cristina, Giuseppina Redaelli, che sarà parte civile nel processo assistita dall’avvocato Domenico Musicco: «Ci aspettiamo il massimo della pena, un delitto efferatissimo». Il legale di Lissi, l’avvocato Corrado Limentani, chiede il rito abbreviato. Una mossa per evitare l’ergastolo (previsto lo sconto di un terzo della pena). Intanto la difesa ha depositato una perizia psichiatrica, redatta dal dottor Marco Garbarini, nella quale si parla di «un vizio parziale di mente». Il papà assassinio, arrestato dai carabinieri meno di 48 ore dopo il delitto, davanti al procuratore capo di Pavia Gustavo Cioppa e al sostituto Giovanni Benelli aveva confessato di aver sterminato la famiglia perché si sentiva oppresso dal matrimonio, specie dopo aver conosciuto Maria, collega di lavoro nell’azienda informatica.

«Mi consideravo un buon papà e un pessimo marito»

Lo scorso 28 febbraio ha chiesto di essere di nuovo ascoltato dai magistrati: «Avevo tanti pensieri, ma il mio fine era lei, avrei sopportato di stare da solo per qualche tempo con la prospettiva di attenderla. Pensavo a lei ogni momento libero. Non so se voi vi siate mai innamorati alla follia? Sentivo lo stomaco in subbuglio, attendevo sempre di vederla, pensavo a lei in continuazione. Volevo la separazione ma ero bloccato, preoccupato del giudizio dei miei genitori, dei parenti di lei, angosciato dal timore di una conflittualità in cui il rapporto con i figli ne avrebbe risentito».
Lissi sostiene di non aver premeditato il delitto: «Mi consideravo un buon papà e un pessimo marito – ha messo a verbale -. Prima di conoscere Maria ho avuto altre due esperienze extraconiugali con colleghe». La sera del delitto racconta d’aver parlato con la moglie: «Le ho detto che non ero felice, che mi ero innamorato di un’altra ragazza. Lei era incredula. Poi mi ha detto che mi odiava, che stavo rovinando una buona famiglia».

La sera del 14 giugno 2014

Sono quasi le 23, per uccidere moglie e figli, il 32enne impiega non più di quindici minuti: «Eravamo nella taverna. Ha cercato di tirarmi due sberle, l’ho bloccata. Poi è scappata di sopra e l’ho inseguita con il coltello che ho preso dal ceppo in cucina. Il primo colpo l’ho indirizzato al collo mentre ero alle sue spalle. Lei piangeva disperata e gridava “no”. Poi ha tentato di scappare dalla porta d’ingresso ma l’ho riportata dentro». Il racconto dell’orrore prosegue con l’omicidio dei figli: «Cristina ha iniziato ad urlare chiedendo “perché? perché?”, ma io non riuscivo a fermarmi. Ho pensato di concludere il disastro sia con i figli che con me. Sono salito in cameretta e ho fatto quello che ho fatto. Mi pare di avere colpito prima Giulia, poi Gabri. Ho cercato di farlo su di me ma non ho avuto il coraggio».

Le «motivazioni»

Il padre assassino racconta che nella prima confessione avrebbe dato «una diversa versione dei fatti»: «Pensavo di aggravare la mia situazione e non vedere più nessuno, nemmeno i miei genitori». Ma perché ha ucciso anche i figli? «In quel momento non volevo che soffrissero senza il padre e la madre perché li amavo troppo. Però non riesco a spiegarmi neanche io…». Davanti allo psichiatra racconta del suo rapporto con Cristina: «L’ho conosciuta nel 2003, lei era in un gruppo teatrale dove avevo l’incarico di sistemare le luci. Non ho avuto difficoltà per la differenza d’età. Anzi allora ti sentivi figo con una più grande»: «In casa portava lei i pantaloni. Non mi faceva mancare niente ma da parte sua c’era poco coinvolgimento sessuale. Vedevo che tutti i miei amici uscivano e si divertivano, io invece facevo sempre meno cose. Non ero convinto di sposarmi».

Cesare Giuzzi

21 aprile 2015 | 09:19

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_aprile_21/motta-visconti-tradimenti-menzogne-ecco-perche-li-ho-uccisi-349b132c-e7f5-11e4-97a5-c3fccabca8f9.shtml?refresh_ce-cp

Rapinò una donna e ne violentò un’altra: dna e video lo smascherano

Era finito in carcere ai primi di febbraio perché accusato di essere il responsabile di una rapina. Il secondo fermo per stupro nei confronti di una ventenne

Era finito in carcere ai primi di febbraio perché accusato di essere il responsabile di una rapina messa a segno in via Langosco a Pavia ai danni di una donna di 45 anni, nella cui abitazione si era introdotto in piena notte, e di aver ferito all’addome, utilizzando un cacciavite, il vicino di casa intervenuto per difenderla. Ora Nadi Hossein Mahdi Mahmoud, 29 enne egiziano, senza fissa dimora, ma che da tempo vive a Pavia, è stato raggiunto in carcere dal provvedimento di fermo per violenza sessuale e rapina su richiesta del sostituto procuratore Ethel Ancona della procura di Pavia guidata da Gustavo Cioppa. Al termine delle indagini condotte dalla squadra mobile di Pavia è risultato essere l’autore dell’aggressione a una 20enne studentessa universitaria pugliese, avvenuta in via Cossa, in pieno centro storico cittadino, lo scorso 11 dicembre. La giovane conclusa una serata in compagnia di un’amica era stata seguita dal suo violentatore, che dopo averle rubato la borsetta, l’ha spinta all’interno dell’androne del palazzo dove vive e, dopo averle messo la sciarpa sulla faccia per non permetterle di urlare e chiedere aiuto, l’ha stuprata. La presenza del 29enne egiziano in zona era stato confermata da alcune telecamere: era lui l’uomo che in bicicletta aveva avvicinato la giovane, e un’amica, chiedendo loro aiuto per accendersi una sigaretta. Il tutto poco prima di commettere la rapina con violenza. Su di lui si erano concentrate da subito le indagini, come possibile autore dell’aggressione. I sospetti hanno trovato conferme anche attraverso il Dna dell’egiziano trovato sugli abiti della studentesse universitaria stuprata.

Enrico Venni

31 marzo 2015 | 19:40

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_31/rapino-donna-ne-violento-un-altra-dna-video-smascherano-2f6347c4-d7cb-11e4-82ff-02a5d56630ca.shtml

Minaccia false verifiche fiscali per truffare anziani: oculista in cella

Chiedeva somme non dovute per evitare supermulte dal fisco. Arrestata una 59enne. «I soldi li spendeva nel gioco»

Approfittava dell’età avanzata di alcuni suoi pazienti e con la scusa di false verifiche fiscali, ed eventuali sanzioni, della Guardia di Finanza si faceva pagare somme non dovute per le cure mediche prestate. Con l’accusa di truffa aggravata e continuata, Laura Berria, 59enne medico chirurgo-oculista di Lomello, è stata arrestata questa mattina dai carabinieri di Vigevano guidati dal capitano Rocco Papaleo. Gran parte del denaro illecitamente incassato la professionista l’avrebbe «investito» al gioco, come risulterebbe da alcune verifiche da parte dei militari dell’arma, al casinò di Saint Vincent. Con le somme sottratte alla buona fede di anziani e sfruttando anche il loro basso grado culturale, nonché la fiducia instaurata grazie al suo ruolo di medico curante con persone di fasce deboli, il medico avrebbe raggirato decine di anziani.

Sette le persone che hanno presentato denuncia e alle quali la 59enne oculista sarebbe riuscita a sottrarre più di 35mila euro, ma i carabinieri hanno identificato in totale sedici presunte vittime della truffa operata del medico lomellino, tutte con età compresa tra i 77 e gli 88 anni e alcune nel frattempo decedute. Complessivamente, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe di 150mila euro l’ammontare del raggiro messo a segno dalla professionista di Lomello. A dare il via all’attività investigativa dei carabinieri, coordinata magistrato Roberto Valli e diretta dal Procuratore Capo della Repubblica Gustavo Cioppa, la denuncia di una 72enne che ha raccontato ai carabinieri di Mortara quanto stava subendo dalla sua oculista di fiducia, dove si sottoponeva a cure per alcune patologie agli occhi. L’anziana, con grande fatica e attraverso i risparmi di una vita, aveva già versato 13mila euro al medico per sistemare fiscalmente, presunte visite specialistiche effettuate sia a lei sia a suo marito. La misura degli arresti domiciliari emessa dal gip di Pavia Carlo Pasta è stata eseguita questa mattina nei confronti di Laura Berria direttamente presso il suo studio medico di Lomello. Intanto i carabinieri proseguono negli accertamenti, dopo anche il sequestro di ulteriore documentazione, per scoprire eventuali altre vittime di questo raggiro.

Enrico Venni

23 marzo 2015 | 14:16

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_23/minaccia-false-verifiche-fiscali-truffare-anziani-oculista-cella-a5971c6a-d157-11e4-8608-3dead25e131d.shtml

Pavia, il trucco delle fatture false Appalto al ribasso al San Matteo

L’inchiesta delle Fiamme gialle è partita dalla gara per i lavori di manutenzione all’ospedale. Fermati per truffa, estorsione e turbativa d’asta padre e figlio imprenditori

Vincevano gli appalti pubblici grazie a un’offerta al maggior ribasso, poi si rivalevano sui sub-appaltatori ai quali affidavano i lavori e obbligandoli a pagare fatture false per restituire parte dei compensi ricevuti. Le indagini del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, coordinate dal comandante provinciale colonnello Cesare Maragoni, sono partite la scorsa estate da un appalto pluriennale da 2 milioni e 500 mila euro per lavori di manutenzione ordinaria che la EdilMazzei si era aggiudicata all’ospedale San Matteo.

Ospedale San Matteo

Un sistema che metteva in difficoltà elettricisti, muratori e tutte le ditte che avevano a che fare con la EdilMazzei Srl, società milanese con sede operativa a Pioltello. Per lavorare gli artigiani, incaricati di riparare le tapparelle all’interno dei reparti o della manutenzione del verde nei vialetti dell’ospedale, erano costretti ad accettare di pagare vere e proprie tangenti e di faticare per coprire i costi sostenuti. Oltre che con intercettazioni ambientali e telefoniche, le indagini si sono avvalse della collaborazione delle vittime di questo sistema. «Sia funzionari pubblici che rappresentanti delle ditte subappaltatrici hanno permesso con le loro testimonianze di trovare ulteriori conferme su questo sistema di malaffare», hanno spiegato rappresentanti della Guardia di finanza e della Procura di Pavia.

Le menti della truffa

Il rappresentante legale della ditta, Giuseppe Mazzei, 67anni, originario di Catanzaro, e il figlio Antonio, 25anni, sono stati sottoposti al fermo di polizia giudiziaria per estorsione, turbativa d’asta e frode fiscale. Nella sede della loro ditta, oltre che nella loro abitazione, sono stati sequestrati quasi 4 milioni di euro in contanti, gioielli e orologi per circa 100 mila euro. Un risultato ottenuto dagli imprenditori milanesi con una proposta al ribasso del 45% sui costi di capitolato. Proprio questo dato ha suscitato dubbi e sono partite le prime verifiche fiscali delle Fiamme gialle, a stretto contatto con la Procura di Pavia guidata da Gustavo Cioppa. Per lavorare le ditte pavesi subappaltatrici dei lavori in carico dalla EdilMazzei erano obbligate, anche dietro pesanti minacce, a restituire parte dei compensi ricevuti attraverso un falso sistema di fatturazioni. Documenti emessi dalla ditta milanese per lavori mai effettuati. Oltre che in contanti, parte dei pagamenti delle ditte subappaltatrici avveniva con bonifici all’estero su banche della Croazia. Attraverso propri corrieri i titolari dell’EdilMazzei facevano poi ritornare in Italia, in contanti e quindi in nero, il denaro incassato all’estero. Le indagini, che sono ancora allo stadio iniziale, potrebbero dare ulteriori sviluppi visto che la ditta milanese operava con appalti in Lombardia e non solo. Si sta cercando di risalire all’origine del denaro sequestrato , sicuramente frutto di altre operazioni poco chiare.

Enrico Venni

4 marzo 2015 | 12:36

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_04/pavia-appalto-ribasso-san-matteo-fermati-padre-figlio-imprenditori-6c0438f4-c25f-11e4-9c34-ed665d94116e.shtml