Il positivo nel negativo

La riflessione di Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

“L’unica cosa che ci appartiene

è il tempo.”

Seneca

Ma cosa è il negativo di cui parliamo ora? Questa chiusura forzata?  Spesso, come per lo ying e lo yang, dentro un positivo vi è un negativo e viceversa. E’ reale che questo cambiamento, soprattutto nei rapporti con il prossimo, nella socializzazione, non solo come svago, ma anche lavorativamente o famigliarmente, ci ha donato uno scossone, riportandoci ad una dimensione sconosciuta ad oggi; ma quale grande opportunità per scrutare.L’attuale situazione ci offre su un piatto d’argento il bene  più prezioso: “il tempo”, il tempo per pensare, a noi, a chi siamo, a chi vorremmo essere realmente, al di là degli stereotipi e dei condizionamenti della fretta. Svegliarsi la mattina, avere il tempo di guardare dalla finestra osservando dettagli con la nostra tazza di caffè prima di cominciare il nostro smart working, il vivere la propria famiglia in maniera completamente diversa, guardare i propri figli, notare novità all’interno delle nostre mura che non sono nuove, ma che non abbiamo mai avuto tempo di osservare. Questo periodo è un dono, temporaneo, che va vissuto con la massima consapevolezza, racchiude in sé momenti, se sapremo guardarci nell’intimo, che probabilmente rimpiangeremo quando ritorneremo a correre “senza tempo”.
Pensare a sé, alle nostre vere aspirazioni che magari si riveleranno non quelle materiali, ma di poter godere dei piaceri semplici, di sguardi e parole in famiglia, di natura, di silenzi ed armonia. Questo è il vantaggio del presente, quello che ci mostra un bicchiere non mezzo vuoto, ma al contrario mezzo pieno.
Spersi, nell’affannoso tentativo di difenderci da questo maledetto imprevisto; agitati, annaspando per trovare il minor male e ridurre il disastro che ormai è palese anche a chi nega; spiazzati dalla tristezza che il cambiamento impone alla vita di tutti; arrabbiati, impotenti, depressi, immobili, inquieti…
Tante e diverse le emozioni che ci possiedono…
Forse solo pochi, coraggiosi, umili, ma liberi pensatori, sapranno scegliere di fermarsi e soffermarsi ora, cogliendo una delle poche e rare occasioni che la vita ci ha dato.
Solo pochi coraggiosi, insomma, sapranno cogliere questa irripetibile opportunità e rendersi conto che, per la prima volta nella vita, si trovano ad essere non più schiavi, ma padroni del tempo: una inversione dei rapporti di forza, che ridefinisce posizioni mai mutate e restituisce valore anche alle piccole cose, troppo spesso trascurate. Solo pochi vorranno dare un valore a questa sfida e farne tesoro, per crescere.
Fermiamoci a riflettere. Guardiamo con occhi nuovi, allora forse non vedremo il deserto che sono diventate le città del Bel Paese. Quegli spazi vuoti sono abitati dall’aria, che forse adesso è più pulita, dalla natura che persiste ostinata, nonostante il virus, dai monumenti artistici che testimoniano l’avvicendarsi delle epoche. Colui che ha il privilegio di abitarle non se ne dimentichi, anche se, adesso, gli pare che non vi sia più differenza tra città e campagna. Le belle piazze d’Italia sono ancora più belle, senza la frenesia delle folle che le percorrevano in tutte le angolazioni come in un game movie; sagome affaccendate, volti talvolta truci, sempre distratti. Le belle piazze italiane ed europee appaiono forse, grazie al virus, come le avevano concepite gli antichi artefici, che inseguivano la Bellezza per farne dono all’umanità.
C’è più tempo? Desidero pensare così, che vi sia più tempo, anche se molti obietteranno. Mi piace immaginare che possa esserci più tempo per tutti. Che ci si dimentichi una buona volta della frenesia, la malattia dei paesi occidentali, succubi delle logiche spietate del capitalismo avanzato, i più colpiti ora dalla calamità del Covid. Proviamo a immaginare, come fa Eduardo Galeano,  un mondo in cui si lavori per vivere e non si viva per lavorare (Eduardo Galeano, Diritto al delirio). Fermiamoci ad assaporare l’istante, senza sciuparlo pensando a quello successivo. Ogni attimo è irripetibile. Osserviamo, ascoltiamo, viviamo, amiamo ogni attimo. Ascoltiamo il battito del nostro cuore. Siamo ancora vivi. Cerchiamo di accorgercene. Ma un conto è essere vivi, un altro è sentirsi vivi. Non si tratta solamente di esistere. E se il tempo per permettersi il lusso di pensare è ancora poco, non lasciamo che ce lo sottraggano certe mode, stereotipi, abiti mentali. Può esistere una pianta, giammai un essere umano. Gli esseri umani hanno il diritto di vivere. Ogni persona non dovrebbe solo esistere, sarebbe un’esistenza insipida; ogni persona dovrebbe vivere e sentirsi vivere. E il quid che fa la differenza tra esistenza e Vita ha a che fare col Tempo. Spendiamolo bene il nostro tempo, potremmo rimpiangerlo. E se un giorno troveremo il tempo (o il coraggio) di voltarci a guardare il passato, speriamo di non diventare una statua di sale, come accadde alla moglie di Lot nel racconto biblico. Noi che abbiamo polverizzato le aspirazioni, i sogni, schiavi di qualcosa – forse della frenesia – potremmo stringere fra le mani un pugno di polvere, noi stessi un monumento di povere, così statici, vuoti, morti.
Abitanti dell’opulento (una volta) Occidente abbiamo finalizzato le nostre esistenze al lavoro, credendo di dare alla brama una sfumatura morale, ma la brama rimane quel che è: un vizio (capitale). Guardiamo invece da un’altra prospettiva. Affidiamoci alle parole di Melville e facciamole nostre: “Parlano della dignità del lavoro. Sciocchezze. La verità è che il lavoro è la necessità della condizione terrena di questa povera umanità. La dignità è nel tempo libero.” (Herman Milville)

Dott. Gustavo Cioppa

(Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)

Fonte: http://www.ilticino.it/2021/02/07/il-positivo-nel-negativo/

Siate custodi della Memoria perenne

La riflessione sulla “Giornata della Memoria” del Dott. Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

“Non possiamo capirlo; ma possiamo e dobbiamo capire

di dove nasce e stare in guardia. Se comprendere è

impossibile, conoscere è necessario, perché ciò

che è accaduto può ritornare, le coscienze possono

nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le   nostre”.

Primo Levi “Se questo è un uomo”

Come costruire una nuova forza interiore dopo essere stati all’inferno? Come ritrovare la consapevolezza di andare avanti e provare ancora gioia, dopo lo sterminio della propria famiglia, l’abbruttimento, la perdita dei valori? La fiamma usciva dai camini dei crematori, i convogli arrivavano ogni momento, il fumo nero copriva la volta celeste. Il Male era dentro Auschwitz e fuori, oltre il filo spinato, si estendeva fino all’orizzonte, e nemmeno sarebbe bastato alzare gli occhi al cielo per trovare un rifugio parziale. Tutto era oscurato, le coscienze, ogni cosa.


Ricordo le parole di Goti Bauer, sopravvissuta ai campi di sterminio, che durante un’intervista disse di non aver provato odio verso i propri aguzzini ma disprezzo. Per Goti nell’animo dei sopravvissuti si agitavano mille sentimenti, innanzitutto il dispiacere di non aver saputo soccorrere chi aveva bisogno. E Liliana Segre nel momento cruciale, la resa dei conti, all’indomani di quella marcia estenuante per la vita, iniziata al momento della Liberazione di Auschwitz e narrata magistralmente da Primo Levi ne “La Tregua”, quando Liliana si trovò davanti al nazista che gettò la pistola a terra. Avrebbe potuto raccoglierla e sparargli, ma non lo fece. No, lei non avrebbe potuto mai essere come loro, non scelse l’odio, ma la pace. L’odio avvelena la vita, non fa andare avanti di un passo, e si doveva invece marciare su e giù per mezza Europa, stremati dal freddo, dalla fatica, dalla fame, come il giorno prima quando si era ancora nell’inferno del Lager. L’odio avvelena la vita, sempre. Se perdonare è impossibile, disprezzare è lecito. Fanno male e bruciano quelle ferite. Non passano. Continuano a bruciare. Il dovere morale di ogni persona di buona volontà sta nel non dimenticare il mare di dolore dell’universo concentrazionario.


I soldati dell’Armata Rossa quel lontano 27 gennaio nei Lager di Auschwitz avevano impresso nei volti e negli sguardi un senso di pietà misto a vergogna. “La vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista” scrive Primo Levi in quello che è uno dei più importanti libri di tutta la letteratura del Novecento, “I sommersi e i salvati”. Ne “L’évasion”, testo fondamentale di Emmanuel Lévinas, il filosofo francese scrive: “ciò che la vergogna scopre è l’essere che si scopre”. Ma la vergogna, o senso di colpa, da dove viene? Dall’essere stato testimone a un oltraggio o dall’averlo subito. Alla riacquistata libertà dal Lager coincide il senso di colpa o vergogna. Quelle ferite – aver assistito a un oltraggio o averlo subito – non passano. Se la Liberazione di Auschwitz significò una seconda Nascita per i “salvati” “questa Nascita fu / una dura e amara agonia per noi, come / la morte, la nostra morte”. Questi versi di T. S. Eliot, da “Journej of the Magi”, una poesia del 1927, paiono profetizzare ciò che sentirono all’unisono i prigionieri dei Lager al momento in cui l’inferno era finito. Ma alcuni, molti, non ressero e si suicidarono al momento del ritorno alla ‘vita di prima’. “Ma non più a nostro agio qui, coi vecchi / ordinamenti, / tra un popolo straniero aggrappato ai / propri dèi. / Sarei lieto di un’altra morte”. Così si conclude la poesia di T. S. Eliot. Lo sguardo dei poeti è profetico. Di quel “riparo parziale” – il “partial shelter” di Eliot  – non godettero i “salvati”. Essi videro tutto il male di cui è capace l’uomo nella realtà, quel male totale il cui riparo parziale è concesso solo nell’utopia. I “sommersi” ne morirono e non poterono testimoniarlo, i “salvati” ebbero la ‘grazia’ della vita al fine di testimoniarlo. Per coloro che videro tutto quel male – e “il genere umano / non può sopportare troppa realtà.” (T. S. Eliot, Burnt Norton, Quattro quartetti, 1943) – per coloro cui toccò in sorte di sopportare subire patire la troppa realtà di Auschwitz, per i sommersi e i salvati di ogni Lager pesa quella che Primo Levi chiama “la vergogna del mondo”. Per evitarla occorre ricordare e testimoniare perpetuamente. Se non si desse agio alla memoria perenne di accadere, a salvaguardia di Libertà Uguaglianza e Fratellanza, si darebbe spago ai negatori della verità, i negazionisti di ieri e di oggi.

Dott. Gustavo Cioppa

(Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)

Fonte: http://www.ilticino.it/2021/01/25/siate-custodi-della-memoria-perenne/

Una strada di solidarietà assoluta per uscire dall’isolamento della pandemia

La riflessione del Dott. Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

L’isolamento cui ci costringe il contagio universale è un quid d’inedito, di straniante, di sconcertante.
L’impatto sulla nostra vita è già evidente.
Un esempio può essere dato dal 60% di divorzi in più rispetto al periodo di riferimento: una enormità! Le famiglie, rinchiuse fra quattro mura, si sgretolano. Il dialogo fra congiunti, fra estranei, fra membri del corpo sociale si affievolisce, si fa incomprensibile, si spegne alfine.
I guasti sociali  sono devastanti. Eppure, poco o punto si riflette in proposito. E sì che dobbiamo e, ancor più, dovremo misurarci con codesto enorme problema.
Un giorno, purtroppo non vicino, il contagio finirà e ci toccherà fare i conti con le devastazioni che avremo di fronte: e non a parole, il cui tempo sarà ampiamente terminato, ma con i fatti: “hic Rodhus, hic salta!”
Lo stesso sistema ospedaliero resterà assai impegnato, questa volta dalla morbilità psichiatrica che avrà colpito molti guariti dal Covid.
È tempo, allora, di riflettere e ciascuno deve farlo in colloqui con se stesso.
Non è vero che l’individualismo   sia morto e che la storia l’abbia ucciso. Ciascuno deve distillare dal proprio intelletto fiducia, forza, “suitas” nel senso di amor proprio ed orgoglio. La sintonia nell’individuo e nella società, “intus et in cute”, è la strada per recuperare i valori primigeni e l’atmosfera pre-Covid. Non facciamoci illusioni: la strada è questa, una strada di solidarietà assoluta, che  ponga al bando gli egoismi e gli  interessi di parte.
Dobbiamo già pensarlo e cominciare ad attuarlo. La strada, giova ripeterlo, è lunga ed occorre seguire la direzione giusta, pur se appaia in salita.
Il senso di marcia opposto  può apparire meno faticoso, ma è quello che, pernicioso ed esiziale, porta alle illusioni perdute.

Dott. Gustavo Cioppa

(Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)

Fonte: http://www.ilticino.it/2021/01/17/una-strada-di-solidarieta-assoluta-per-uscire-dallisolamento-della-pandemia/

Impariamo a riconoscere il Dio vivente che abita ciascuno di noi

La riflessione del Dott. Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

“Manca sempre qualcosa, c’è un vuoto

in ogni mio intuire. Ed è volgare,

questo non essere completo, è volgare,

mai fu così volgare come in quest’ansia,

questo “non avere Cristo” (…)”

Pier Paolo Pasolini (“Poesia in forma di rosa”)

Non sono un virologo, ma penso che, su questioni elementari, anche un profano possa dire la sua.
La pandemia, paradossalmente, è il trionfo della vita. Intendo, della vita in sé, non della nostra vita o di quella di qualche altra cosa. Guardiamo il virus non con gli occhi del medico,… diretto a salvare le vite umane, non con lo sguardo del virologo… che è alla ricerca di strumenti per combatterlo, non assaliti dalla paura che crea ansia e offusca la ragione, non disconoscendone la potenzialità lesiva. Guardiamolo con gli occhi di un bambino, con la curiosità di un bambino che di fronte a ciò che non conosce cerca innanzitutto il volto, lo sguardo, la parola dell’adulto per capire ciò che ha di fronte. Una farfalla, una formica, una lucertola, un fiore, l’acqua che scorre, il sole…

È la vita.

Lasciamo ad ognuno il suo compito ed ascoltiamo attraverso le parole dell’uomo il virus che è anch’esso vita. Prendete il virus: è vivo e muta; si evolve; si attrezza probabilmente per resistere ai suoi nemici. Si difende. La vita è una cosa meravigliosa. Quale che sia la sua forma – anche quella, a noi, più invisa; quella che cancelleremmo subito – la vita è energia e non vuole scomparire. Il virus è un nemico mortale, da sconfiggere con ogni mezzo. Ma porta dentro il codice della vita. L’unico che non siamo in grado di capire e di creare. Il problema però non è la vita, ma ciò che la sostanzia: la sua essenza. E se l’energia vitale che pervade un organismo è distruttiva, malevola e si nutre di ciò che indebolisce allora va combattuta con qualsiasi mezzo. Molti potranno pensare che sia la stessa storia del mondo che si perpetua anche in questa ineffabile lotta per la sopravvivenza: il virus contro l’uomo. Ma credo sia più di questo. Credo che siamo di fronte alla guerra del male contro il bene, al conflitto tra un potere perverso ed una umanità fragile ma resiliente. E dopo tutti questi mesi, di molli tentativi caduti nel nulla nella speranza di limitare l’effetto del cambiamento che questo nuovo virus ci ha portato senza avvertirci, senza permesso, senza pietà… è giunto il momento – l’ultimo a mio avviso – di compiere atti forti e drammaticamente impopolari, proprio per salvare coloro che fingono di ignorare o sottovalutano questo demone invisibile.

Ora… non tra un mese. Adesso…

Adesso basta!

Ma ecco, il virus è soprattutto un corpo estraneo. E come tale da estirpare, al più presto. Ma esso ci offre anche una grande opportunità. Quale? Metterci in gioco per continuare a vivere sereni, nella tanto auspicata “Normalità”. Ma cos’era “normale”, prima? Prima dell’era del Coronavirus? Era “normale”, forse, che si corresse alla conquista planetaria da parte di quei poteri che ora, grazie al virus, hanno creato un nuovo ordine mondiale ‘pandemico’? Il virus è riuscito ad arrestare la globalizzazione, a indebolire l’Occidente, che versava in una crisi valoriale, spirituale, culturale dall’inizio del secolo scorso. Non lo era – in crisi – per ciò che concerne l’economia; invece, adesso, anche l’economia, con le sue dinamiche capitalistiche, di mercato, ne è intaccata. Lo scenario inquietante che s’intravede è il rafforzamento di un capitalismo feroce, mai estinto, che di nuovo ha solo l’aggettivo: ‘pandemico’. La sfida delle democrazie, adesso, è innanzitutto quella di distruggere questo corpo estraneo, coronato e letale, e garantire quei diritti imprescindibili su cui si fonda la dignità della persona. Spetta ad ogni cittadino guardarsi dentro, dove non c’è affatto il vuoto.
Ed ora, all’inizio dell’anno nuovo, si vorrebbe lasciare alle spalle quello appena trascorso, tormentato per tutti, per alcuni tragico. Si vorrebbe la tanto agognata quiete interiore, ma ancora grava sul cuore e disturba, come un basso continuo oltraggioso, il domani, un senso di vuoto e d’assurdo: la presenza del virus che ha modificato la vita di tutti. Sulla pagina bianca di un quaderno nuovo si vorrebbe scrivere una storia diversa, che non conosca angoscia, ansia, inquietudine. Dopotutto, dovrà pure finire la notte, facendo largo al giorno nascente? Ma è ancora notte quando ritorna l’usignolo, per scomparire alle prime luci dell’alba. Affiniamo l’udito per udirne il pianto. Guardiamoci dentro: Dio non è morto; la tanto agognata quiete interiore ci sarà, a patto di saper riconoscere il Dio vivente che abita ciascuno, credente e non credente, ateo, ed ogni creatura, sì, anche gli animali, poiché come scrive Massimo Cacciari: “Lo Jesus patibilis segna il volto di ogni creatura”.

Dott. Gustavo Cioppa

(Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)

Fonte: http://www.ilticino.it/2021/01/06/impariamo-a-riconoscere-il-dio-vivente-che-abita-ciascuno-di-noi/

La paura e l’usignolo

 L’intelligenza è inversamente

proporzionale a tutto ciò che è

mondano e mediatico, i quali

abbondano, per contro, in stupidità,

se non in banalità e volgarità, oltre che

in spudoratezza.

Umberto Eco

Quel processo di accumulazione del sapere che

chiamiamo cultura ci difende parzialmente dalla

nostra insicurezza e vorrebbe mettere a tacere la

nostra paura. Ma comprendere significa liberarsi

dalla paura. C’è intelligenza solo se non c’è paura

e non c’è paura solo se c’è amore.

Giuseppe Pontiggia (La ricerca della felicità)

C’è una sottile e nascosta, ma tangibile, alleanza tra dittature e tecnologia. Senza la tecnologia nelle comunicazioni e nei trasporti non sarebbero stati possibili il nazismo e lo stalinismo nel secolo scorso. Ed ora mi chiedo, non senza un certo sgomento, quale dittatura, di fatto palese negli effetti – limitazione o sospensione della libertà, aumento del fenomeno della delazione – sia in atto. E i cittadini se ne accorgono? O dietro al massiccio bombardamento mediatico prevale un subdolo messaggio subliminale spacciato per speranza a buon mercato? E, soprattutto, che fine ha fatto il senso critico, fiore all’occhiello di ogni intelletto sano? Anche i cittadini vissuti nell’era dei fascismi, che soffocarono l’Europa dagli anni Venti del XX secolo fino alla fine della seconda guerra mondiale, a lungo furono ignari, alcuni negarono, anche se coinvolti direttamente, negarono cioè l’evidenza o, forse, soffrirono d’amnesia, indotta dai soliti poteri più o meno occulti. Ma per una questione di adattamento alla ferocia della vita non si deve dopotutto rimuovere? Talvolta per sopravvivere è necessario dimenticare. In situazioni estreme, se si vive un trauma, forse, non si può fare altro. Non puoi fare altro che sperare nel soccorso dell’oblio, sempre così consolante, una specie di balsamo, tutt’altro che nocivo. Vivere nella paura, oggi come ieri.

L’ondata di violenza

In questa nuova fase di semi lockdown ciò che salta all’occhio è l’ondata di violenza. La violenza e la paura hanno una stessa matrice: la perdita del lume della ragione. “L’importanza del lascito dell’Illuminismo…” dice una voce solitaria. Pochi, in verità, l’ascoltano. Il lascito degli illuministi, già, e gli ideali, che sostanziano quella forza primigenia da cui sgorgano emozioni, sentimenti, amori, sogni; forza primigenia che vive in ogni mito. Come ha delineato con limpidità stellare Paul Valéry in quella Piccola lettera sui miti, “Mito è il nome di tutto quel che esiste e sussiste avendo solo la parola per causa.” E sempre Valéry ci mette in guardia dicendo che “quel che muore per eccesso di precisione è un mito”. Ora si assiste alla degradazione del mito, il quale può vivere ancora, certo, ma in forme degradate, appunto. Una leggenda muore quando vengono meno gli ideali che l’avevano generata. Nel mondo attuale, essendo estinti gli ideali, di che leggende è lecito ancora parlare? Quelle pop, le cosiddette leggende metropolitane. Ma se il soffio d’eternità, che ammanta ogni leggenda sostanziandola, è fugace, si deduce che la loro vita è breve come quella di un effimero, soggetta ai diktat della Moda, ancella del Mercato.

L’ideologia del consumismo

Da uno scenario sinistro in cui si levano bagliori d’oscurità, minacciosi e apocalittici, appare sempre più evidente ciò che quel genio di Flaubert, spesso semplicisticamente tacciato con l’epiteto d’idiota, aveva mostrato non solo ai posteri, bensì ai contemporanei: l’unica epopea dei tempi moderni è quella dell’idiozia, incarnata da due strampalati eroi: Bouvard et Pécuchet. Ma, ahimè, come ben ha messo in luce Giuseppe Pontiggia in quel libro che è molto più che una semplice raccolta di saggi, L’isola volante, Bouvard et Pècuchet non è altro che “una satira grandiosa dei tempi moderni. Così se Flaubert poteva dire di Madame Bovary che c’est moi, noi possiamo dire di Bouvard e Pécuchet c’est nous.”  Come riesumare valori e ideali oggi? Se un senso di nobiltà è insito in ciò che comunemente s’intende per valore e ideale, lo stesso non può dirsi per ciò che s’intende per ideologia. Si è parlato della morte dell’ideologia, ma a torto. L’ideologia non è affatto tramontata, essa è oggi, in Occidente, il consumismo che ha portato al mito dell’informatizzazione capillare, invasiva, dittatoriale. Ogni lembo del pianeta ne è permeato, adesso, esattamente come del virus coronato, e di paura. “Il mito muore per eccesso di precisione”, ma ci sarà pure un varco nella rete da cui sgattaiolare? Una via di fuga dalla tirannia che ci vorrebbe tutti omologati, fosse pure dalla paura, non empatici, non sentimentali, altrimenti si rischierebbe di essere scambiati per cinici. Degli uomini con un computer al posto della testa, due cellulari al posto delle mani e il logo al posto del cuore. Degli uomini con una cavità rettangolare o quadrata, somigliante a un computer, al posto della testa.

Il mito resisterà

Questa figura surreale ho visto una sera in una galleria d’arte della mia città. Ecco la personificazione di Homo videns!… ho pensato: uno strano essere, purtroppo a noi così affine, e già da un po’. Solo che, prima, nell’era ante covid, delle sacche di dissidenza resistevano. Adesso, invece, in questa situazione eccezionale, causa di forza maggiore o pandemia, il videoterminale sei costretto a usarlo, fa parte di te, come il guscio la lumaca. E ci lavori, ti svaghi, ti connetti al mondo intero. Ma “il mito muore per eccesso di precisione”. Se muore, ne nasce un altro, dirà qualcuno. Invece no, sentenzia perentoria una voce, se muore non è un mito. Un falso mito, ecco cos’è. Solo all’eccesso di precisione è consentito il potere micidiale di uccidere il mito. Ma se si spaccia per mito ciò che non lo è significa che è in atto, ormai da molto tempo, una mistificazione planetaria. Certi miti, però, non muoiono mai, prendiamo i miti greci. Finché ci sarà un uomo sulla faccia della Terra il mito resisterà. Il mito è coriaceo, come la  corazza dell’aragosta. Anche se talvolta, pure questo crostaceo necessita di rifarsela, la corazza. Il mito resiste, certo, ad esserne degradata è la forma. Nell’attuale società sarà un mito pop. E se tanti miti si sono estinti, beh, semplice, vuol dire che non lo erano. La paura pietrifica e paralizza, togliendo linfa vitale, morale, condizione essenziale di ogni uomo per Sartre. La paura paralizza la scelta, sia essa del bene o del male, essendo gli uomini “esistenze condannate alla libertà.” La paura istupidisce. Nell’antica Grecia gli ignavi o accidiosi, ossia coloro che si disinteressavano al bene comune, erano considerati alla stregua degli idioti, incapaci appunto d’intendere e di volere. Ed ora, nell’era del coronavirus, la paura che ci tiene in pugno accelera la caduta dell’uomo in quella malattia morale, e mortale: l’accidia o ignavia. Nella società di massa, questo male è ancora più pericoloso, poiché porta a comportamenti amorali e dunque ad adeguarsi acriticamente a situazioni di fatto insostenibili per chi abbia come meta il bene comune e la sua salvaguardia, ossia la democrazia e i diritti di una società civile. Cosa hanno fatto i demagoghi di ogni epoca se non cercare il consenso di una massa indifferente, sorda alla voce della coscienza – se non priva di coscienza – dunque amorale, interessata solo alla tutela del proprio ‘orticello’, dei propri personali interessi, tanto gretti quanto alieni dal bene comune? Poteri di privilegio – e sempre il privilegio occulta il diritto – ossia ‘grandi poteri’ che non si fanno assolutamente scrupolo di usare la violenza, la sopraffazione, la guerra. Quante possibilità di riscatto, invece, se si oserà sognare. Il bambino, l’innamorato, il poeta sognano. Se tutti provassero a sognare si attiverebbe quel potere illimitato, che sfida la legge di necessità e dona un fuoco vivo anche nei deserti artici: l’immaginazione. Provate, proviamo a pensare accanto ai diritti dei Paesi democratici, come ci esorta a fare quel grande scrittore dell’America latina, Eduardo Galeano, il Diritto al delirio. “Che direste se cominciassimo a praticare il mai proclamato diritto di sognare? (…) Il mondo non sarà più in guerra contro i poveri, ma contro la povertà.” La paura genera sfiducia, demoralizza, paralizza la forza vitale da cui si originano sentimenti e sogni, e ci si sente intrappolati come mosche sulla carta moschicida. La paura non ti fa uscire, ti chiude nel tuo guscio dove vegeti come sotto una campana di vetro. La paura paralizza la volontà e istupidisce, e non si è più capaci d’intendere, di volere e di volare. La paura uccide l’empatia, la condivisione dei sentimenti, chiude all’ascolto, per cui la comunicazione – primo elementare diritto e bisogno umano – risulta interrotta, mancata, sbagliata, condizionata. Beato chi ha orecchi per discernere il canto dell’usignolo coperto dal ronzare adirato delle auto o dal grido dell’antifurto. Forse non è  tutto perduto. Forse non… Forse un bambino ha udito quel suono, presagio di Bene.

Dott. Gustavo Cioppa

(già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)

Pavia, preso il pirata che investì consigliera comunale: “Travolta perché lo vide rubare”

Secondo la polizia, Elena Madama aveva visto il moldavo 27enne prendere un satellitare da una macchina. E’ caccia al complice. La ragazza trascinata sull’asfalto con l’auto per 500 metri, a distanza di sei mesi è ancora ricoverata

L’avranno detto senz’altro anche ad Elena, andandola a trovare come ogni giorno all’Istituto Mondino dove è ricoverata da Natale per il lungo e delicato percorso di riabilitazione. Lino Madama e Idangela Vittadini, i suoi genitori, le avranno spiegato che la polizia, dopo sei mesi di indagini, ha arrestato l’uomo che il 12 novembre scorso era alla guida della Opel Insignia bianca che la travolse in Strada Nuova, nel centro storico di Pavia, trascinando il suo corpo per oltre 500 metri.

Da quel giorno Elena Madama, 26 anni, consigliera comunale e aspirante avvocato, vive in un letto di ospedale nella speranza di poter tornare a un’esistenza il più possibile normale. Ma ora avrà una ragione in più per farcela, con il conforto di una giustizia che finalmente si è compiuta. Il sorriso dei suoi due genitori è stato il commento più significativo alla notizia del fermo di Radion Suvac, 27enne moldavo, bloccato in un parco di Piacenza.

Pavia, investì consigliera comunale: la fuga in auto del pirata della strada

Condividi  “Abbiamo sempre avuto grande fiducia nel lavoro degli inquirenti”, ha sottolineato papà Lino. “Sin dall’inizio ci hanno detto che ci voleva tempo, ma ce l’avrebbero fatta. Così è stato”. E mamma Idangela ha aggiunto: “Vogliamo dire grazie a tutta Pavia. Chi sostiene che i pavesi sono persone fredde, evidentemente non li conosce. Abbiamo ricevuto tantissimi attestati di solidarietà anche dal resto d’Italia. Ringraziamo di cuore anche i medici del Mondino e quelli dell’ospedale Niguarda di Milano, dove Elena è stata ricoverata nelle prime settimane dopo l’investimento. Il suo recupero è lento, ma costante: l’importante è che le sue funzioni neurologiche siano rimaste intatte”.

Per il procuratore Gustavo Cioppa, che ha coordinato le indagini condotte dalla squadra mobile di Pavia in stretta collaborazione con lo Sco (Servizio centrale operativo) della polizia di Stato, “è la fine di un incubo, per la famiglia di Elena e per tutta la città. Elena ormai è una ragazza che fa parte della vita di ognuno di noi”.

Suvac, il 27enne moldavo fermato a Piacenza, è indagato per tentato omicidio, rapina impropria e ricettazione. Insieme a lui, sull’auto che ha investito Elena c’era un ragazzo russo di 18 anni, che è stato identificato ed è ricercato. Secondo la ricostruzione effettuata dagli inquirenti (che hanno analizzato più di 500mila dati di traffico telefonico e numerose immagini delle telecamere posizionate in città), la sera del 12 novembre Elena uscì dall’ufficio dove era praticante legale e percorse a piedi alcuni metri in Strada Nuova sino all’incrocio con Piazza Guicciardi. Qui la giovane consigliera comunale notò la Opel Insignia bianca (rubata nel milanese) con due persone a bordo che avevano appena sottratto un navigatore satellitare da un’altra vettura.

Gli accertamenti condotti dagli investigatori hanno permesso di stabilire che alla guida della Opel Insigna c’era  Suvac e accanto a lui il ragazzo russo di 18 anni. Per la polizia, Suvac investì deliberatamente Elena Madama, prima in retromarcia e poi travolgendola e trascinando il suo corpo per oltre 500 metri durante la fuga. Arrivati quasi all’altezza del Ponte Coperto, i due scesero dall’auto (dalla quale si era sganciato il corpo di Elena) e fuggirono a piedi, raggiungendo la stazione ferroviaria per salire sul primo treno.

In questi mesi Suvac è stato in Moldavia, Russia, Francia e in altri Paesi europei: un movimento continuo non per fuggire agli inquirenti, ma legato al suo coinvolgimento nel traffico internazionale di navigatori satellitari e altri accessori di auto rubati (sull’auto che ha investito Elena Madama ne sono stati trovati una dozzina). Una volta rientrato in Italia, ha raggiunto Piacenza dove è stato identificato e arrestato dalla polizia.

06 maggio 2015

Fonte: https://milano.repubblica.it/cronaca/2015/05/06/news/pavia_arrestati_i_pirati_che_investirono_una_26enne_e_trascinarono_sull_asfalto_per_500_metri-113651600/?ref=search

Madre e due bimbi sgozzati in casa. Marito confessa: invaghito di un’altra

Carlo Lissi, impiegato di trentuno anni, è crollato dopo un lungo interrogatorio. Le ultime parole della moglie, cercando di difendersi: «Perché mi fai questo?»

Ha sterminato la sua famiglia perché si era invaghito di un’altra donna. Ha confessato nella notte tra domenica e lunedì, Carlo Lissi, 31 anni, marito di Cristina Omes, 38, la donna trovata morta con i due figli (una bambina di 5 anni e mezzo e un maschio di 20 mesi) nella villa di famiglia a Motta Visconti (Milano). L’uomo si trova adesso in stato di fermo con l’accusa di triplice omicidio. «Voglio il massimo della pena» ha detto lo stesso Lissi, scoppiando in lacrime subito dopo aver confessato.

La confessione

A disporre il fermo sono stati i magistrati di Pavia, Gustavo Cioppa e Giovanni Benelli, dopo un lungo interrogatorio. Inizialmente Lissi aveva raccontato di avere trovato i cadaveri della moglie e dei figli rientrando in casa dopo la partita.

La moglie colpita alle spalle

Prima di uccidere la moglie, Lissi ha avuto con lei «un momento d’intimità sul divano», nel salotto adiacente all’ingresso, dove la coppia stava guardando insieme la televisione. Nel frattempo i figli dormivano, Giulia nella cameretta e Gabriele nel lettone matrimoniale. Una serata in apparenza normale, fino a quando il marito si è alzato in mutande, è andato in cucina e ha preso un coltello. Poi ha raggiunto la moglie, rivolta verso la tv, colpendola di spalle.
«Carlo Carlo perché mi fai questo?» sono state le ultime parole della donna, rivolte al marito-assassino, ha raccontato lo stesso Lissi. Cristina Omes ha anche cercato di reagire. E ha gridato «aiuto», ha testimoniato una vicina. Quindi Lissi l’ha colpita con un pugno, facendola finire a terra nell’androne dell’ingresso, e l’ha finita tagliandole la gola. Il corpo è rimasto lì per quattro ore, dissanguandosi.
Dopo aver accoltellato la moglie, Lissi è salito al piano di sopra, nella stanza della figlia Giulia: le ha stretto il collo con fermezza e l’ha colpita di netto alla gola, mentre la piccola dormiva. L’ultimo a morire è stato Gabriele, ucciso anche lui nel sonno. Intorno alle 11 di sabato sera, il triplice omicidio si era consumato. Lissi si è lavato, cambiato ed è andato a vedere la partita dell’Italia ai Mondiali al pub Zymè di Motta Visconti.

Le indagini

I carabinieri hanno cominciato a propendere per la pista familiare già nelle prime fasi dell’indagine. Il fatto stesso che nella strage non fosse stato risparmiato nemmeno il più piccolo dei due bambini, di appena 20 mesi, rendeva meno credibile la pista esterna, di una sanguinosa rapina, e il mancato ritrovamento dell’arma del delitto nelle immediate vicinanze dei cadaveri rendeva difficile lo scenario di un omicidio-suicidio.

Impiegato

Lissi è impiegato alla multinazionale Wolters Kluwer. «Abbiamo ricevuto tassative disposizioni di non dire nulla» ha detto l’impiegata al banco informazioni della società. «È ovvio che siamo rimasti tutti senza parole e sbalorditi» ha aggiunto un collega. La sede italiana della multinazionale olandese si trova nella periferia di Assago, in viale Milanofiori, tra centri direzionali, hotel e centri commerciali.

Redazione Milano Online

16 giugno 2014 | 07:13

Fonte: https://milano.corriere.it/14_giugno_16/madre-figli-uccisi-fermato-marito-accusato-triplice-omicidio-adbeb06e-f512-11e3-ac9a-521682d84f63.shtml

Corruzione, arrestato l’ex vicesindaco di Pavia Filippi

È stato il poliziotto che arrestò il numero uno delle Br, Mario Moretti. Avrebbe incassato circa 200 mila euro. Ai domiciliari anche l’imprenditore Ciro Manna

L’ex vicesindaco di Pavia Ettore Filippi, 71 anni, e l’imprenditore edile Ciro Manna, 38 anni, sono stati sottoposti agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione. Le ordinanze, emesse dal Gip di Pavia, sono state eseguite da personale dei Comandi Provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Gli arresti sono il risultato della prosecuzione dell’indagine «Punta est», che già ha portato nel 2012 al sequestro di un cantiere di 9 mila metri quadrati del valore di circa 3 milioni di euro. I due sono accusati di corruzione. Ciro Manna anche di minacce aggravate e altri reati. Gli investigatori avrebbero raccolto gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Manna e dell’imprenditore Dario Maestri per atti intimidatori nei confronti dell’avvocato Francesco Maurici, che insieme ad altri personaggi pavese aveva denunciato pubblicamente le irregolarità di concessioni per casi come Punta Est. Per questo sulla portone dello studio del legale furono disegnate croci con vernice nera.

130 mila euro

Anche per l’imprenditore Dario Maestri, già arrestato nella prima fase dell’indagine, il magistrato Paolo Mazza della procura di Pavia guidata da Gustavo Cioppa aveva chiesto l’arresto , ma per l’età e le precarie condizioni di salute il gip non ha emesso provvedimenti a suo carico. Filippi avrebbe incassato oltre 130mila euro dal 2007 al 2013, di cui 60 mila quando faceva parte della giunta Capitelli (2007-2009)grazie alla sua influenza politica. La Finanza ha trovato false fatture per prestazioni pubblicitarie relative a società che facevano capo a Filippi.

Punta est

La lottizzazione di Punta est, un’operazione immobiliare da circa 3 milioni di euro, aveva portato all’arresto il 7 febbraio 2013 di Angelo Bugatti, ai tempi direttore del dipartimento di Ingegneria edile e del territorio dell’Università di Pavia e dell’imprenditore Dario Maestri (che aveva ottenuto da subito i domiciliari). Una trasformazione di un’area destinata a servizi universitari poi diventata, grazie ad una falsa convenzione con l’ateneo pavese firmata da Bugatti, disponibile alla vendita al libero mercato.

Ex poliziotto

Ettore Filippi, 71 anni, nativo di Lecce, è figura molto nota e influente nella politica pavese. Capo della squadra mobile di Pavia e poi della squadra volante di Milano, raggiunse la sua notorietà proprio nella sua esperienza nel capoluogo lombardo, dove grazie a un pentito, insieme agli uomini dell’antiterrorismo catturò il 4 aprile 1981 l’ex «primula rossa» delle Br, Mario Moretti che insieme a Enrico Fenzi si stava recando ad un appuntamento con un tossicodipendente informatore della polizia. Un episodio che gli fece far carriera: andò a Palermo con l’allora prefetto Dalla Chiesa. Fu poi accusato di favori al clan Epaminonda. Per questo finì in carcere a Peschiera del Garda nel 1983. Dalla vicenda uscì assolto definitivamente dopo una lunga battaglia nelle aule dei tribunali.

Dal centrosinistra al centrodestra

Dalla polizia alla politica è la storia dei suoi ultimi anni di carriera. Iniziò nell’allora Psi e diventò assessore della giunta di centrosinistra guidata dal sindaco Albergati prima e poi successivamente anche vicesindaco e assessore al bilancio con primo cittadino Piera Capitelli (Pd). Nel 2009 le sue dimissioni, e quelle di un gruppo di consiglieri del Pd a lui fedeli, fecero cadere la giunta Capitelli. Ettore Filippi passò al centrodestra, avvicinandosi prima a Forza Italia, e poi con una lista civica «Rinnovare Pavia» sostenne l’elezione di Alessandro Cattaneo, attuale primo cittadino di Pavia e candidato alla rielezione alle prossime amministrative di maggio da parte dell’area di centro destra.

Enrico Venni

13 marzo 2014 | 06:58

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_marzo_13/corruzione-arrestato-l-ex-vicesindaco-pavia-filippi-5dc0e986-aa73-11e3-a415-5dc0e986-aa73-11e3-a415-108350ae7b5e.shtml?refresh_ce-cp

Violenze al parco su bimba di 9 anni, arrestato il fratellastro 32enne

Un agente della squadra mobile fuori servizio ha notato la scena mentre faceva jogging ed è intervenuto

E’ stato sorpreso nel parco della Vernavola a Pavia mentre stava costringendo la sorellina di 9 anni a un rapporto di sesso orale, ed è finito in manette con l’accusa di violenza sessuale aggravata su minore e atti osceni in luogo pubblico. G.E. 32anni italiano, è stato notato da un agente fuori servizio della squadra mobile di Pavia che stava facendo jogging nell’area verde alla periferia Nord della città.

LA SCOPERTA – In una zona piuttosto appartata del Parco l’adulto si trovava, a torso nudo e pantaloni calati, di fronte alla piccola, anche lei denudata, e stava cercando di costringerla all’atto sessuale. Vistosi scoperto il 32enne si è rivestito velocemente e con la piccola ha tentato di nascondersi all’interno a una boscaglia. Il poliziotto fuori servizio, però, li ha inseguiti e bloccati poco dopo. «Non sono uno di quelli!» (s’intende, «pedofili»), sono state le prime parole del 32enne, a ulteriore conferma di quanto era già ben chiaro. Nel frattempo sul posto sono arrivati i colleghi dell’agente.

FRATELLASTRO – Portato in Questura l’uomo è stato identificato, ed è stato allora che si è scoperto che era il fratellastro della sua vittima. I due, figli della stessa donna, vivevano nello stesso appartamento, con la madre e il nuovo compagno di lei. Proseguono gli accertamenti coordinati dal magistrato Ersilio Capone, e coordinate dal procuratore della Repubblica di Pavia Gustavo Cioppa, per capire se l’uomo possa aver compiuto altre violenze sessuali nei confronti della sorellastra. Alla bambina, visibilmente scossa dall’accaduto, è stato subito assicurato supporto psicologico. Intanto il 32enne è stato rinchiuso nel carcere pavese di Torre del Gallo.

Enrico Venni

19 luglio 2013 | 16:12

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/13_luglio_19/bambina-violentata-parco-pavia-2222241590542.shtml

Diciottenne ucciso nel Pavese, confessa il fidanzato della cugina

Il fermato è un 25enne con precedenti. La sua versione: «Mi hanno aggredito in tre, mi sono difeso»

MILANO – Ha confessato Angelo Siciliano, 25 anni, fermato con l’accusa di aver accoltellato a morte Gianluca Serpa, 18 anni, domenica sera a Chignolo Po (Pavia). Il giovane, che è fidanzato della cugina della vittima e ha precedenti penali, avrebbe raccontato di essersi difeso da un’aggressione. I magistrati di Pavia, Paolo Mazza e Gustavo Cioppa, avevano già disposto per Siciliano il fermo con l’accusa di omicidio. Secondo gli inquirenti il 25enne, operaio originario di Vaprio d’Adda, avrebbe accoltellato il 18enne al termine di una lite per questioni economiche.

FAMIGLIE IN GUERRA – Angelo Siciliano, davanti al pm Paolo Mazza, ha raccontato di essere stato aggredito da Gianluca, da suo padre e da suo fratello a Chignolo Po (Pavia), domenica sera. Da qualche tempo, ha riferito, c’era una rivalità tra la famiglia della vittima e quella dello zio, che avevano due ditte concorrenti di lavori edili, nate dallo scioglimento di una precedente società che avevano in comune. Siciliano, fidanzato con la figlia dello zio del ragazzo ucciso, era suo malgrado diventato oggetto di discussione tra i due nuclei familiari. Domenica sera ha ricevuto una telefonata da parte della fidanzata che gli diceva di andare a casa sua «perché c’era casino». Prevedendo discussioni animate, era uscito di casa con il coltello. Davanti a casa della ragazza aveva trovato Angelo, suo padre e il fratello. Poi la lite e le due coltellate a Gianluca, che è morto in ospedale.

In casa del giovane fermato è stato trovato il fodero del coltello, l’arma del delitto. Il grosso coltello, ricurvo e parzialmente seghettato, con una lama lunga circa 20 centimetri, è stato trovato lunedì ancora sporco di sangue tra la spazzatura, poco distante dal luogo dove è stata soccorsa la vittima. Padre e fratello del ragazzo ucciso inizialmente avevano riferito solo di aver trovato il figlio agonizzante e di averlo soccorso. I carabinieri, coordinati dal pm Mazza e dal procuratore Gustavo Cioppa, stanno cercando di chiarire alcuni aspetti del loro racconto.

Redazione Milano online

27 novembre 2012 | 23:13

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/12_novembre_27/omiocidio-pavia-fermato-coltello-2112902171420.shtml