Como: Maroni, tema paratie va risolto, non deve rimanere opera incompiuta

Milano, 13 gen. (AdnKronos) – “Ho dato incarico all’assessore Beccalossi e al sottosegretario Cioppa di fare tutte le verifiche per capire come procedere. Non voglio che i lavori si blocchino e che i cittadini di Como rimangano con un’opera incompiuta”. Così il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, a proposito delle paratie di Como, è intervenuto durante la conferenza stampa dopo la riunione della Giunta regionale.PUBBLICITÀ

Maroni ha riferito che “anche in Regione Lombardia è venuta la Guardia di Finanza per acquisire documenti. Voglio ribadire che noi non c’entriamo nulla in questa vicenda perché la stazione appaltante è il Comune di Como”. In ogni caso, “la questione paratie deve essere risolta, soprattutto perché Regione Lombardia ha messo 12,5 milioni di euro”, ha aggiunto.

“Se il Comune non é in grado di fare, io devo decidere questi 12,5 milioni che fine fanno; io voglio utilizzarli per completare l’opera magari anche prendendola in carico noi direttamente come Regione”. Una eventuale decisione di questo genere sarà presa però “alla fine della valutazione che faremo, sentendo in particolare Anac e il Ministero delle Infrastrutture”, ha concluso.

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Maroni mette all’angolo Forza Italia

Come da promessa presidenziale ieri è stato varato il Maroni Ter. L’ultima versione della giunta regionale ha regalato fino all’ultimo secondo sorprese e colpi di scena. Una vera e propria battaglia psicologica che ad un certo punto ha rischiato di far saltare il rimpasto. Poi, come già accaduto in passato, è stato il presidente e decidere sulle ultime questioni e a chiudere la partita. Un «prendere o lasciare» che, al di là delle dichiarazioni di facciata, sembra relegare Forza Italia (in difficoltà dopo l’arresto di Mario Mantovani e le polemiche che ne sono conseguite) ad un ruolo, per ora, più defilato. Anche se è lo stesso Maroni, dopo aver ammesso alcune difficoltà («Non è stato facile, ci sono state molte fibrillazioni») a smentire questa visione: «Nessuno esce ridimensionato. Un partito non valuta il proprio ruolo politico sulla base della quantità delle cose che ha, ma sulla qualità. Comunque questo assetto di giunta arriverà a fine mandato».
E allora vediamolo questo assetto. Fabrizio Sala è il nuovo vicepresidente e mantiene le deleghe che aveva tranne quella all’Expo che si esaurisce tra una settimana esatta. In giunta, come da anticipazioni, entra anche Giulio Gallera che però non avrà le deleghe all’housing sociale, ma quella tutta nuova dedicata al Reddito di Autonomia e Inclusione Sociale («è una cosa straordinariamente importante – ha spiegato Maroni -. Non credo che ci sia una delega più importante di questa per uno che si vuole occupare di sociale, degli altri e del proprio territorio»). Le vere sorprese, però, sono la nomina della consigliera leghista Francesca Brianza (avvocato e varesina doc) all’assessorato dedicato al post Expo («Con l’ingresso del governo nella governance di Arexpo volevo una persona che si occupasse solo di questo») e del magistrato della Cassazione e Procuratore a Pavia Gustavo Cioppa col ruolo di sottosegretario alla presidenza. Cioppa aiuterà Maroni soprattutto in tema di attuazione della riforma sanitaria e di trasparenza. Quest’ultima nomina è stata al centro di un duro braccio di ferro. Forza Italia, infatti, avrebbe preferito assegnare quel posto a Fabio Altitonate, ma il veto presidenziale ha fatto saltare l’operazione. Il giovane azzurro, così, dovrà consolarsi con la nomina a coordinatore cittadino del partito. Confermato, invece, il rimpasto di deleghe tra i due assessori del Nuovo Centrodestra, con Melazzini che lascia le Attività produttive (ma guadagna più poteri in tema di ricerca e Università) a Mauro Parolini che diventa «assessore allo Sviluppo economico». Infine, come era stabilito da tempo, Maroni terrà le deleghe a Sanità e Welfare. Resta da capire per quanto, nel senso che per Forza Italia, almeno ufficialmente, «l’interim dovrà essere il più breve possibile» (qualcuno parla indicativamente di gennaio). Una versione però che non collima troppo con i desiderata di Maroni che spiega: «terrò l’interim fino a quando servirà. Magari anche fino al 2018…».
Chiusa la partita della giunta è partita la girandola di dichiarazioni. «Siamo soddisfatti per la rapidità con cui si è arrivati a definire la compagine di governo della Lombardia – ha scritto in una nota la coordinatrice regionale di Fi Mariastella Gelmini -. Esprimiamo soddisfazione per la nostra rappresentanza in Giunta e prendiamo atto delle scelte del Governatore Maroni per quanto riguarda la gestione politica e amministrativa di un settore complesso come la Sanità». Soddisfatti anche il neo vicepresidente Fabrizio Sala («ringrazio Maroni e Berlusconi per la fiducia e rinnovo l’impegno per il lavoro in una giunta che ancora una volta ha dimostrato di saper guardare al futuro») e il neo assessore Giulio Gallera («sono deleghe davvero molto importanti perché possono incidere profondamente nella qualità della vita dei lombardi, soprattutto di quelli che si trovano in difficoltà»).
Meno accondiscendenti le opposizioni (che pure con l’improvvida mozione di sfiducia hanno contribuito a ricompattare la maggioranza proprio alla vigilia della discussione sul rimpasto). Per segretario regionale del Pd Alessandro Alfieri: «Maroni si è occupato della fuffa scegliendo di non assegnare le vere deleghe pesanti». Il neo portavoce dei 5 Stelle al Pirellone, Stefano Buffagni, invece, paragona la giunta «alla Salerno-Reggio Calabria che non è mai completa, è sempre bloccata ed è costantemente oggetto delle attenzioni della Magistratura».
Chiusa la partita della giunta si aprirà a giorni quella della revisione delle presidenze delle commissioni. Già si parla dell’ex assessore Alberto Cavalli (Ncd) prendere il posto del dimissionario Stefano Carugo (le sue dimissioni verranno votate martedì in consiglio) alla presidenza della Commissione Affari Istituzionali, mentre Malvezzi dovrebbe sostituire all’ottava (Agricoltura e Territorio) proprio Cavalli.

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Milano: furti in farmacie e bar, fermati 11 albanesi

Milano, 27 mag. – (AdnKronos) – Nel corso della notte i carabinieri della compagnia di Abbiategrasso, comune alle porte di Milano, hanno eseguito 11 fermi di indiziato di delitto emessi nei confronti di un gruppo di albanesi che, secondo gli inquirenti, fanno parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione di delitti contro il patrimonio.

A carico degli indagati sono stati raccolti gravi indizi di colpevolezza in relazione a decine di furti in tabaccherie e farmacie delle province di Milano, Pavia, Bergamo e Brescia che sono state razziate con la tecnica della ‘spaccata’.

Maggiori particolari saranno resi noti nel corso della conferenza stampa, alla quale presenzierà il Procuratore Capo di Pavia, Gustavo Cioppa, che avrà luogo alle 11 presso il comando provinciale carabinieri di Milano.

Fonte: https://www.liberoquotidiano.it/news/cronaca/11793991/milano-furti-in-farmacie-e-bar-fermati-11-albanesi.html

Chiesa: Cioppa, Tettamanzi ‘pater pauperum’ del nostro territorio (2)

(AdnKronos) – Nell’esprimere il cordoglio di Regione Lombardia, Cioppa ha ricordato “lo spirito paterno del Pastore milanese dedito alla cura di tutta la sua Chiesa e particolarmente attento al bene delle famiglie e dei più umili. Il presule – ha aggiunto Cioppa – e’ stato sempre proteso all’ascolto ed alla difesa dei più deboli, si e’ distinto per l’umanità e l’empatia nei confronti delle fasce più povere della popolazione. Il Cardinale ha saputo essere interprete, fin da subito, delle esigenze materiali e morali delle famiglie che si sono trovate senza lavoro, impoverite dalla crisi economica che ha investito anche la nostra regione. Mi auguro – ha concluso Cioppa – che il suo operato e la sua testimonianza guidino gli uomini di fede e coloro che nelle istituzioni e nella società operano per il bene comune”.

Fonte: https://www.liberoquotidiano.it/news/cronaca/13243572/chiesa-cioppa-tettamanzi-pater-pauperum-del-nostro-territorio-2.html

Moglie e figli sgozzati in casa: fermato il marito per omicidio

Carlo Lissi confessa: “Voglio il massimo della pena”. La sua versione smentita dai riscontri scientifici. L’uomo aveva una passione (non corrisposta) per una collega

Un delitto efferato, spietato, che ha creato “angoscia” perfino tra egli inquirenti. La donna, Cristina Omes, di 38 anni, e i due piccoli, Giulia e Gabriele, di 5 anni e di 20 mesi, sono stati sgozzati e sui loro corpi ci sono numerose altre lesioni che fanno supporre un accanimento senza alcuna pietà.

Per il triplice omicidio, che ha distrutto una famiglia intera sconvolgendo gli abitanti di Motta Visconti, è stato fermato dopo un lungo interrogatorio il marito Carlo Lissi. Formalizzate le accuse, l’uomo è stato portato nel carcere di Pavia.

Malgrado avesse inscenato una rapina nel tentativo di sviare le indagini, Lissi è stato ripetutamente interrogato dai carabinieri finché è crollato. Quando gli hanno contestato di essere invaghito, da oltre sei anni, di una collega, non ha potuto che arrendersi all’evidenza dei fatti. “Datemi il massimo della pena”, ha detto testualmente il 31enne impiegato tenendosi le mani tra la testa. Sin dalle prime battute i carabinieri del Nucleo investigativo hanno cominciato a propendere per la pista “famigliare” subito dopo le prime fasi di indagine. Il fatto stesso che nella strage non fosse stato risparmiato nemmeno il più piccolo dei due bambini, di appena 20 mesi, rendeva meno credibile la pista “esterna”, di una sanguinosa rapina, e il mancato ritrovamento dell’arma del delitto nelle immediate vicinanze dei cadaveri rendeva difficile uno scenario di omicidio-suicidio. Tanto da farlo escludere pubblicamente dagli inquirenti già nel primo pomeriggio. Lissi, dopo l’allarme da lui stesso dato poco dopo le 2 di notte, è stato sentito fino a ieri mattina e poi è stato fatto tornare a casa. Risentito più volte nel corso della giornata per confrontare via via le sue dichiarazioni con quelle di amici e testimoni e con i primi riscontri scientifici e medico-legali emersi sulla scena del delitto, gli investigatori dell’Arma hanno prima cominciato ad avere dubbi sulla sua versione e poi avrebbero avuto sentore di possibili gravi tensioni nella coppia. Stanotte, dopo uno stringente interrogatorio nella caserma della Compagnia di Abbiategrasso (Milano) l’epilogo della vicenda, con le contestazioni formali.

“Carlo, perché mi fai questo?”, ha urlato Cristina mentre lui la trafiggeva ripetutamente con un coltello da cucina. Poco prima avevano fatto l’amore nel salotto adiacente all’ingresso. Poi la furia. La donna, colta di spalle mentre guardava la televisione, ha anche cercato di reagire, ma lui l’ha colpita con un pugno e ha iniziato a infierire con l’arma. Così, dopo averla sgozzata, ha lasciato il corpo a terra a dissanguarsi per quattro ore. Quindi è salito al piano di sopra dove stavano dormendo i bambini. È andato prima nella cameretta della figlia: le ha appoggiato una mano sul collo e con l’altra ha affondato, di punta, il coltello nella gola. La piccola è morta senza nemmeno svegliarsi. Poi si è diretto nella camera matrimoniale dove il fratellino veniva fatto addormentare per essere spostato in cameretta. Anche al piccolino Lissi ha fatto scendere la lama nella gola, tenendo fermo il collo, mentre dormiva profondamente. La donna e i figli sono stati brutalmente assassinati con numerose coltellate in casa, una villa nella zona residenziale di Motta Visconti. La scena apparsa ai soccorritori è stata raccapricciante: sangue ovunque e i corpi della bambina nella sua cameretta, del piccolo nel letto matrimoniale e della donna, in soggiorno, martoriati. La cassaforte aperta e i contanti in essa contenuti, una cifra di non particolare entità, pare, spariti, ma senza segni di effrazioni evidenti sul forziere o sulla porta. Una messinscena, insomma.

“Dopo aver sterminato la famiglia – ha spiegato il procuratore capo di Pavia, Gustavo Cioppa – Lissi è andato a vedere la partita dell’Italia da amici, come se niente fosse”. Dopo la mattanza si è infatti trovato con un amico al pub del paese, lo Zymè. “Non tremava, non era nervoso, sorrideva e parlava di calcio, come tutti – ha raccontato un vecchio conoscente – ha anche esultato in occasione dei gol di Marchisio e Balotelli”.

Sergio Rame – Lun, 16/06/2014

Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/moglie-e-figli-sgozzati-casa-fermato-marito-omicidio-1028410.html

Archiviata la posizione dell’ex procuratore di Pavia Gustavo Cioppa: “Estraneo al caso tangenti”

Il magistrato nell’aprile 2018 era stato indagato per favoreggiamento e abuso di ufficio in un’inchiesta sulle tangenti nella sanità lombarda. Dopo un anno e mezzo la procura di Milano ha archiviato la sua posizione, accogliendo la richiesta del pm secondo cui non ci sono elementi per procedere: Gustavo Cioppa è estraneo alle mazzette.

È l’incubo di qualunque uomo dello Stato: essere indagati in un’inchiesta per tangenti. Se poi nel fascicolo si finisce da innocenti, diventa un inferno. In un attimo la prospettiva di vita cambia, i (falsi) amici ti girano le spalle, la stampa ti trasforma in un mostro, chi ti odiava usa l’arma del sospetto per annientarti.
L’ultimo anno e mezzo è stato così per Gustavo Cioppa, l’ex procuratore di Pavia che dopo oltre 50 anni nella macchina delle Istituzioni si è trovato implicato in una brutta vicenda di mazzette in un’indagine sugli illeciti nel settore della sanità lombarda in relazione agli ospedali Gaetano Pini e Galeazzi. Lui, che era abituato a firmare gli atti d’inchiesta, nell’aprile 2018 si è trovato tra gli indagati per favoreggiamento e abuso di ufficio. Gli è crollato il mondo addosso ma non si è mai arreso, è perfino riuscito a mantenere il senso dell’umorismo.

“Estraneo alla vicenda”
La luce è tornata ieri mattina, quando il giudice per le indagini preliminari ha accolto la richiesta del pubblico ministero Eugenio Fusco, dichiarando insussistenti i presupposti per promuovere un’azione penale nei suoi confronti, che all’epoca dei fatti contestati era sottosegretario alla presidenza della Regione Lombardia durante la giunta presieduta da Roberto Maroni. Nell’inchiesta, coordinata dai pm Fusco e Letizia Mannella, si parlava dei rapporti tra Cioppa e il primario del Cto-Pini Giorgio Maria Calori, arrestato nel 2018. Il gip scrisse che il magistrato in pensione «è apparso una sorta di referente e portavoce negli ambienti della Regione degli interessi di Calori e, di conseguenza, dei soggetti a lui vicini (pubblici e privati) risultati implicati a tessere la medesima trama affaristica». Non era vero nulla. 

La fine dell’incubo

A un anno e mezzo da quelle parole, la posizione di Cioppa, che tra i tanti casi seguiti nella sua carriera si è occupato anche dell’omicidio del magistrato Bruno Caccia, è stata definitivamente archiviata.
«Sono molto soddisfatto perché si è finalmente conclusa una vicenda una vicenda che mi ha profondamente ferito – ha commentato entusiasta – Sono stato un uomo al servizio delle Istituzioni per oltre cinquanta anni e l’essere stato giudicato completamente estraneo ai fatti di indagine è per me motivo di grande soddisfazione e rafforza la mia fiducia nelle Istituzioni tutte e nella magistratura in particolare, che ho sempre servito con impegno e lealtà».

La carriera tra omicidi e casi internazionali
L’ultima parte della carriera Cioppa l’ha trascorsa alla procura di Pavia, dove si è occupato – tra gli altri – dell’omicidio architettato da Carlo Lissi, il giovane padre di famiglia che il 14 giugno 2014 uccise moglie e due figli nella propria villetta di Motta Visconti (Pavia). Si era innamorato di una collega e, sebbene il sentimento non fosse ricambiato, pensò che eliminare la propria famiglia potesse essere l’unico modo per vivere con lei.
Nel curriculum di Cioppa c’è anche la vicenda del fotogiornalista Andrea Rocchelli, che sempre quell’anno (il 24 maggio) venne ucciso da un colpo di mortaio esploso ad Andreevka, nelle vicinanze della città di Slovjansk, nell’Ucraina orientale. Un caso internazionale che si è concluso il 12 Luglio 2019 con la sentenza della Corte d’Assise, che ha condannato a 24 anni Vitaly Markiv.

di Salvatore Garzillo

Fonte: https://milano.fanpage.it/archiviata-la-posizione-dellex-procuratore-di-pavia-gustavo-cioppa-estraneo-al-caso-tangenti/

Trova moglie e figlioletti sgozzati «Ero da amici a vedere l’Italia»

Orrore nel Milanese. I vicini: «Un urlo di donna prima della partita»

MOTTA VISCONTI (Milano)
L’ORRORE. Un colpevole che potrebbe esserci a breve. Per ora è solo tanto orrore. Il corpo di Maria Cristina Omes, 38 anni, è supino sul pavimento del soggiorno della villetta a Motta Visconti, poco più di 6mila abitanti, a una trentina di chilometri da Milano e a cavallo con la provincia di Pavia. Giulia, la sua bambina di quattro anni e mezzo, è stata deposta («trasportata», diceva un inquirente) sul letto matrimoniale. Gabriele, 20 mesi, è nel lettino della sua stanzetta. Tutti e tre sono stati sgozzati. Chi li ha massacrati ha anche infierito crudelmente. Su Maria Cristina i segni di un’aggressione, come se la donna avesse lottato con il suo assassino.

ANCORA in nottata Carlo Lissi, 31 anni, marito e padre delle tre vittime, era ascoltato da ore al comando della compagnia carabinieri di Abbiategrasso. L’uomo si era messo «volontariamente» a disposizione degli inquirenti che, mentre raccoglievano le testimonianze, lo avevano più volte richiamato in caserma. Era stato Lissi a lanciare l’allarme alle 2.10 facendo accorrere la Croce bianca di Binasco e i carabinieri di Motta, Abbiategrasso, Milano. Da Pavia il procuratore Gustavo Cioppa e il pm Giovanni Benelli.
Lissi era uscito alle 23.30 per trascorrere la serata con una decina di amici e assistere alla partita fra Italia e Inghilterra. «È sempre stato con noi — dice uno di loro —. Era tranquillissimo, ha esultato ai gol dell’Italia, non si è mai allontanato».
Per l’intera giornata sono stati ascoltati parenti (fra cui la madre di Maria Cristina Omes e quella del marito), amici, vicini. Due sopralluoghi nella casa del massacro, alle 12.30 e attorno alle 17. Indagini che «procedono a ritmo serrato», assicura il procuratore Cioppa lasciando intendere che ci sarebbe una pista concreta e anche la possiblità di un fermo. Troppi i misteri e gli interrogativi in questo giallo sanguinoso. L’arma del triplice omicidio (quasi certamente un coltello) non è venuta a galla.

NELL’ABITAZIONE, una villetta monofamiliare color salmone al numero 20 di via Ungaretti, grande giardino, zona residenziale, non sono apparsi segni evidenti di effrazione. La cassaforte era aperta e mancava il poco denaro che vi era riposto. Un particolare che appare più un tentativo di depistaggio che l’indizio di una rapina.
Le urla sentite da alcuni vicini. Un primo grido è raccolto verso le 23. Un secondo viene sentito alle 23 da due vicini, un uomo e una donna. «Ero in giardino — racconta il primo —, a duecento metri dalla casa, quando ho sentito gridare. Era una voce femminile. Conoscevo Cristina dalla nascita, abitavo nel cortile dei suoi genitori». Ancora un urlo attorno alle 0.35-0.40, ma a provocarlo potrebbe essere stata l’esultanza per la rete segnata da Marchisio.
Cristina Omes e Carlo Lissi erano sposati da sei anni. Si erano trasferiti in via Ungaretti quando era mancato il padre di lei, Decio, titolare di un negozio di frutta in via Borgomaneri. Era stata la madre di Cristina, Giuseppina Redaelli, a cedere la villetta e a trasferirsi nell’appartamento occupato fino a quel momento dalla figlia e dal genero, in via Matteotti 35.

MARIA Cristina era impiegata alle assicurazioni Sai in paese. Impegnata nella parrocchia, aveva cantato nel coro della chiesa e recitato nella compagnia teatrale dell’oratorio. Nel 2004 si era candidata al Comune in una lista civica di centrodestra. Fino alla nascita del secondo bambino era stata volontaria della Croce rossa. Il marito, laureato in Economia e commercio, è programmatore di software. Una coppia che viveva con discrezione. Rumors di paese sussurravano ieri di dissidi insorti negli ultimi mesi. Voci. Il 5 giugno Maria Cristina Omes aveva postato l’ultimo messaggio sulla sua pagina Facebook: «Anche se nella vita tu ci sei per tutti, non è detto che tutti siamo per te». Parole strane, indecifrabili. E anche un po’ tristi.

Gabriele Moroni

Fonte: https://www.quotidiano.net/primo_piano/2014/06/16/1079425-trova_moglie_figlioletti_sgozzati.shtml

Lo Stato che funziona

L’ITALIA che funziona ha la faccia stanca e tesa del procuratore di Pavia, Gustavo Cioppa, che in poche ore e senza mai abbandonare neppure per un minuto il campo, ha imboccato con i carabinieri la pista giusta per risolvere l’angosciosa strage di Motta Visconti; l’Italia che funziona ha la voce incrinata dalla commozione del pm Letizia Ruggeri, che ieri dopo 3 anni e mezzo di indagini e migliaia di dna esaminati, in un’inchiesta piena di sbagli (come l’arresto del nordafricano Fikri), di trappole e di rivalità, accompagnata poi (bisogna dirlo, purtroppo) da un’omertà ambientale degna di altri luoghi, ha potuto annunciare ai genitori di Yara Gambirasio che finalmente Ignoto 1, probabile assassino della loro figlia, ha un volto e un nome. Lo avevamo scritto mesi fa su questo giornale che la donna era determinata e ce l’avrebbe fatta, prima o poi, a portare allo scoperto l’uomo che ha lasciato morire in un campo, al freddo, una bambina di 13 anni, segno che alla fine l’impegno paga e nella vita ti premia anche quando pensi che tutte le strade ti portino solo in un vicolo cieco e che non ci sia più niente da percorrere.

ANCHE SE è brutto che questa evidenza ce la dia una provetta e non il rimorso che induce a confessare senza far passare anni, la pista era quella giusta e se le tessere del puzzle andranno tutte a posto, si renderà giustizia alla piccola innocente Yara e alla sua famiglia. E questo solo è importante, dopotutto.
Ma poi, diciamolo, visto che questa è una giornata speciale per le persone perbene e che probabilmente difficilmente ce ne capiterà ancora una simile, è da sottolineare il ritrovarsi per un giorno tutti uniti, le istituzioni con la gente, nell’esprimere soddisfazione per una macchina dello Stato che ogni tanto ci dimostra di saper funzionare a dovere. Forse di questo abbiamo bisogno, di un po’ di giustizia (in ritardo o meno non importa) che ci scrolli di dosso il falso senso di impunità e la perdita collettiva di coscienza e di senso della realtà che è stata la cifra di questi ultimi anni e che ha contribuito non poco ai disastri odierni, anche, purtroppo, alla tragedia di Motta Visconti, anche alla morte di Yara.

barbara.consarino@ilgiorno.net

Fonte: https://www.quotidiano.net/cronaca/2014/06/17/1079979-stato_funziona.shtml

L’amore sul divano, poi la strage E il grido di Cristina: «Perché?»

Giallo nel Milanese, l’uomo confessa: ha ucciso la moglie e i due figli

MOTTA VISCONTI (Milano)
«VOGLIO il massimo della pena». Carlo Lissi china il capo e la sua, più che una confessione, è un fiume in piena, inarrestabile. Un fiume gonfio di orrore. L’informatico di Motta Visconti ha sterminato la sua famiglia, la moglie Maria Cristina Omes, i loro bambini, Giulia che in agosto avrebbe compiuto cinque anni, e Gabriele di 20 mesi. Li considerava un ostacolo fra sé e il suo essersi invaghito, di una collega della società di software di Assago dove lavorava: non corrisposto, dissuaso, respinto, non demordeva. Un movente assurdo, incredibile. Gli investigatori sono risaliti alla giovane donna dalla pagina Facebook dell’assassino. Davanti alla contestazione precisa di quell’innamoramento, l’assassino ha capitolato.

DOPO avere massacrato la moglie, incurante delle sue invocazioni, l’ha lasciata morire per dissanguamento. Per i due bambini, un solo colpo di coltello alla gola. Ha simulato una rapina lasciando la cassaforte aperta e asportando il poco denaro e i gioielli che vi erano riposti. Dopo essersi lavato e rivestito, è uscito in auto per raggiungere la casa dell’amico C.C., dove un gruppo di una quindicina di persone si era dato appuntamento per la partita Italia-Inghilterra. Prima però si è fermato in via Mazzini e ha gettato in un tombino il coltello usato per massacrare la sua famiglia. Quando è rentrato ha chiesto aiuto ai vicini affacciandosi alla porta, ha telefonato al 113. Gridava «Sono venuti a rubare», si abbandonava a scene di disperazione. I soccorritori erano costretti a trattenerlo. Ultimo atto della sua fredda, incredibile messinscena.
LA SERATA di sabato scorre tranquilla nel villino monofamiliare al numero 20 di via Ungaretti. Sul divano del salotto, i coniugi si abbandonano a quello che sarà il loro ultimo atto d’amore. Carlo Lissi esce e raggiunge la cucina in slip. Il marito rientra, è alle sua spalle. Un colpo alla giugulare della donna. Poi dietro il collo e ancora all’addome. «No, perché?», grida Cristina, incredula, atterrita. Il suo «aiuto» viene raccolto dalla vicina Anna Buratti, nella cucina di casa. Sono le 22.50. Cristina tenta una reazione di difesa, di fuga. Il marito le sferra un pugno. La donna finisce a terra nell’androne dell’ingresso. Maria Cristina Omes muore dissanguata. Carlo Lissi sale dai suoi figli. Nella sua cameretta, Giulia è la prima a passare dal sonno alla morte. Gabriele viene ucciso mentre dorme nel letto matrimoniale. Carlo Lissi scende in cantina. Una doccia lo ripulisce del sangue.
Lissi racconta ai carabinieri di essere rincasato dopo la partita e di essersi spogliato nel garage per non disturbare i bambini. È salito in casa. Ha trovato il corpo martoriato della moglie, riversa in un lago di sangue. Ha aperto la porta invocando aiuto. Preso da un sospetto angoscioso, ha salito le scale, acceso le luci, apero porte. Si è accorto che anche i bambini erano stati uccisi. Si è rivestito e ha chiamato il 112.
Un racconto con troppe incogruenze. Lissi dice di essersi avvicinato alla moglie, immersa nel suo sangue, di averla toccata. Ma i suoi vestiti e la pantofole erano immacolati. Sul dietro degli slip, l’unico indumento che portava quando ha accoltellato la moglie, è invece rimasta una macchia di sangue di cui Lissi non si era accorto. Dopo avere scoperto che la sua famiglia era stata sterminata, Lissi ha avuto la forza e la freddezza per rivestirsi. Non c’è sangue sulle maniglie delle porte, sugli interruttori, sulla cassaforte.

NON CI SONO effrazioni sulla porta d’ingresso e sulla casssaforte di cui solo marito e moglie conoscevano la combinazione. I portagioie sono stati aperti ordinatamente e il loro contenuto asportato. Gli armadi nella camerette dei bambini sono stati squadernati, mentre sono stati risparmiati locali dove si sarebbe potuto trovare qualche bottino. Un portafoglio non stato toccato. Davanti ai carabinieri, al procuratore Gustavo Cioppa e al pm Giovanni Benelli, Carlo Lissi si arrocca nella sua difesa. Ma quando gli mettono di fronte le prove di quell’amore non ricambiato, cede di schianto, confessa, fa ritrovare il coltello. Tranquillo, lineare. Come se la strage della sua famiglia riguardasse un altro.

Fonte: https://www.quotidiano.net/primo_piano/2014/06/17/1079839-amore_divano_strage.shtml

Inchiesta per corruzione e concussione, perquisizioni all’Università di Pavia: indagato un dirigente

Gli investigatori hanno prelevato contratti legati a lavori, servizi e forniture. Il rettore: “Siamo parte lesa”

Pavia, 4 luglio 2014 – La polizia giudiziaria della Procura di Pavia ha effettuato questa mattina perquisizioni in alcuni uffici dell’Università di Pavia. I controlli hanno riguardato in particolare l’ufficio tecnico dell’Ateneo, in via Mentana. Gli investigatori hanno prelevato contratti legati a lavori, servizi e forniture. Un dirigente dell’Università sarebbe indagato. Nell’indagine del procuratore Gustavo Cioppa e del pm Mario Venditti, si ipotizzano i reati di concussione e corruzione. Nel mirino della Procura ci sarebbero anche alcune ditte che erano in rapporto con l’Ateneo.

Fabio Rugge, rettore dell’ateneo, ha definito l’università “parte lesa” dell’inchiesta. “Collaboriamo nel modo più pieno al lavoro della magistratura e non abbiamo al momento ulteriori elementi”.

Fonte: https://www.ilgiorno.it/pavia/cronaca/perquisizione-universita-1.15983