Investita e trascinata con l’auto, preso il pirata che sfregiò Elena

In manette un 27enne, si cerca il complice. La 26enne consigliera del PD a Pavia, travolta di proposito dai ladri in fuga, finì in coma e riportò ferite al capo e al volto

«Per i genitori di Elena e per tutta Pavia è la fine di un incubo»: questo, nelle parole del procuratore capo Gustavo Cioppa, il significato dell’arresto di Radion Suvac, 27 anni, moldavo, bloccato martedì a Piacenza dagli agenti della squadra mobile di Pavia. Non l’ha fatta franca il ladro di professione e pirata della strada che a novembre scorso, fuggendo dopo l’ennesimo furto, travolse «deliberatamente» e trascinò con la sua auto per oltre 700 metri nel centro di Pavia la giovane consigliera comunale Elena Maria Madama. Per lui l’accusa è di tentato omicidio, rapina impropria e ricettazione. Il suo complice, un 18enne russo, identificato, è tuttora ricercato. L’arresto è stato effettuato martedì dalla squadra mobile di Pavia in collaborazione con il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, nel parco pubblico della Galleana a Piacenza.

Quella sera

Elena Maria, 26 anni, laureata in Giurisprudenza, era molto conosciuta a Pavia come consigliera comunale del Pd. Fidanzata, avrebbe dovuto sposarsi a luglio: stava facendo le prove dell’abito da sposa. La sera del 12 novembre uscì dall’ufficio dove era praticante legale e percorse a piedi alcuni metri in Strada Nuova, sino all’incrocio con Piazza Guicciardi. Qui notò una Opel Insigna bianca, risultata poi rubata nel Milanese, con due persone a bordo. Suvac era al volante dell’auto, e assieme al giovanissimo complice stava fuggendo dopo aver rubato l’ennesimo navigatore satellitare (nell’auto ce n’erano 12). I due facevano parte, secondo gli inquirenti, di una banda specializzata in questo genere di furti. Per la polizia, Suvac investì deliberatamente Elena Madama, prima in retromarcia e poi travolgendola e trascinandola per oltre 700 metri durante la fuga in Strada Nuova.

Preso in un parco pubblico

Dopo aver investito Elena Maria, arrivati quasi all’altezza del Ponte Coperto i due giovani erano scesi dall’auto ed erano fuggiti a piedi, raggiungendo la stazione ferroviaria per salire sul primo treno. Le indagini erano scattate immediatamente: molte le persone che a quell’ora, intorno alle 19, avevano assistito alla scena e avevano aiutato a tracciare un identikit dei due uomini. Fondamentale anche l’enorme lavoro svolto dalle forze dell’ordine sulle utenze telefoniche di tutti i cellulari presenti nell’area (oltre 500 mila), fino a isolarne uno collegato ai fuggitivi. In questi mesi Radion Suvac è stato in Moldavia, Russia, Francia e in altri Paesi europei: un movimento continuo non per fuggire agli inquirenti, ma sempre legato al suo coinvolgimento nel traffico internazionale di navigatori satellitari e altri accessori di auto rubati. Una volta rientrato in Italia, ha raggiunto Piacenza, dove è stato identificato e arrestato dalla polizia. Radion Suvac sarà sentito nelle prossime ore dal Gip di Piacenza per l’udienza di convalida dell’arresto.

Il lento recupero

Dopo esser stata travolta e trascinata dall’auto Elena Maria Madama finì in coma, con profonde ferite al viso e alla testa e lesioni in tutto il corpo. Dopo essere stata sottoposta a diversi interventi chirurgici, è stata trasferita dal San Matteo al Niguarda. A dicembre i genitori, Lino Madama e Idangela Vittadini, hanno raccontato di aver notato i primi segnali di risveglio: la giovane è stata staccata dalle macchine ed ha iniziato a respirare in autonomia, seppure ancora con fatica. Ha aperto gli occhi ed ha iniziato per pochi minuti a seguire i movimenti dei genitori.

I genitori

«Per noi è un momento di soddisfazione. Fin dall’inizio eravamo convinti che gli sforzi degli inquirenti avrebbero permesso di identificare chi guidava l’auto che ha travolto nostra figlia», è stato il primo commento dei genitori di Elena Maria, convocati dal procuratore capo Cioppa mercoledì mattina. Da Natale la 26enne è ricoverata all’Istituto Mondino di Pavia, dove i medici la stanno sottoponendo a un lungo e delicato percorso di riabilitazione «con segnali incoraggianti», dicono i genitori. Tutta la sua città le è idealmente vicina, ma la giovane ha ancora bisogno di assoluta tranquillità e non può ricevere visite. «Ringraziamo gli inquirenti – hanno aggiunto i genitori di Elena Madama – e tutta la città per come ci è stata vicina, non ci siamo mai sentiti soli. Alla fine hanno identificato le persone che hanno tolto un paio d’anni a nostra figlia».

Sara Regina e Enrico Venni

6 maggio 2015 | 09:46

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_06/investita-trascinata-un-auto-arrestati-ladri-elena-maria-madama-pavia-consigliera-comunale-pd-e15813c2-f3c0-11e4-8aa5-4ce77690d798.shtml

Maggiordomo estorce 100mila euro all’imprenditore per cui lavora

Il 70enne è stato scoperto e arrestato dai carabinieri all’interno cella villa, con l’accusa di estorsione aggravata. Aveva ancora i soldi sul comodino

Approfittando della grande fiducia che si era guadagnato con il proprio datore di lavoro, per cui lavorava come custode da oltre cinque anni, ha pensato di ricattarlo. Vincenzo Scarcella, 70anni originario di Palmi (Reggio Calabria) è stato, però, scoperto e arrestato dai carabinieri di Vigevano con l’accusa di estorsione aggravata nei confronti di un 80enne imprenditore vigevanese del settore delle pelli sintetiche e delle calzature. A metà marzo i primi episodi per destabilizzare la tranquillità dell’imprenditore: per iniziare un tentativo di incendio del garage della villa, poi altri due tentativi furti in cui il maggiordomo sarebbe intervenuto facendo fuggire i ladri. Ma questi ripetuti episodi avevano lasciato il segno in un uomo di una certa età come l’80enne imprenditore vigevanese che aveva deciso di cambiare aria e prendersi un breve periodo di vacanza nella casa al mare.

La richiesta

Al ritorno a Vigevano, il 21 aprile, però, la vittima dell’estorsione riceveva una busta anonima in cui veniva formula la richiesta del pagamento di 100mila euro in contanti, da consegnare entro la mezzanotte del 25 aprile, per non essere più «disturbato». A quel punto l’imprenditore ha deciso immediatamente di denunciare tutto ai carabinieri di Vigevano, che guidati dal capitano Rocco Papaleo e sotto la direzione del Procuratore della Repubblica di Pavia Gustavo Cioppa e del sostituto procuratore Roberto Valli hanno organizzata una vera e propria trappola.

La consegna

Nel luogo indicato per la consegna del denaro i carabinieri si aspettavano più persone, ma invece, anche le microtelecamere che erano state installate precedentemente, hanno immortalato solamente una persona, Vincenzo Scarcella. Il custode della villa dell’imprenditore ha ritirato la busta con i soldi suddivisi in varie mazzette ed è stato pedinato dai carabinieri fino alla sua abitazione. Qui quando è scattato il blitz per il suo arresto l’estorsore è stato sorpreso nel sonno, ma con il denaro in bella mostra appoggiato sul comodino del proprio letto.

Enrico Venni

28 aprile 2015 | 10:49

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_aprile_28/custode-70enne-estorce-100mila-euro-imprenditore-80-anni-de2c488e-ed81-11e4-91ba-05b8e1143468.shtml

Motta Visconti, tradimenti, menzogne: ecco perché li ho uccisi

La confessione choc di Carlo Lissi, il padre assassino che il 14 giugno del 2014 ha ucciso la moglie e i due figli di 20 mesi e di 5 anni

«Ho conosciuto Maria a marzo. Condivideva la mia passione per la moto, abbiamo iniziato a parlare, andavamo a pranzo insieme, la nostra intesa aumentava. Non abbiamo mai avuto rapporti sessuali, lei aveva una relazione e mi ha detto che non avrebbe mai tradito il partner. Ma io ho creduto che lei fosse il vero amore. Ho iniziato a pensare alla separazione, avevo visto che ci poteva essere il divorzio veloce, ho chiesto a due miei colleghi: uno mi aveva detto di avere dovuto affrontare qualche sacrificio economico e di avere perduto l’affetto dei figli per colpa della ex moglie».
Eccolo il tormento di Carlo Lissi, il papà di Motta Visconti che lo scorso 14 giugno ha sterminato la famiglia e poi, prima di simulare l’azione di una banda di rapinatori, è andato a vedere la partita dei Mondiali Italia-Inghilterra con gli amici.

L’udienza

Davanti al giudice del Tribunale di Pavia, Luisella Perulli, l’udienza preliminare del processo che lo vede accusato del triplice omicidio della moglie Maria Cristina Omes, della figlia Giulia di 5 anni e mezzo e del piccolo Gabriele, 20 mesi. Durante l’udienza potrebbe esserci il primo faccia a faccia con la mamma di Maria Cristina, Giuseppina Redaelli, che sarà parte civile nel processo assistita dall’avvocato Domenico Musicco: «Ci aspettiamo il massimo della pena, un delitto efferatissimo». Il legale di Lissi, l’avvocato Corrado Limentani, chiede il rito abbreviato. Una mossa per evitare l’ergastolo (previsto lo sconto di un terzo della pena). Intanto la difesa ha depositato una perizia psichiatrica, redatta dal dottor Marco Garbarini, nella quale si parla di «un vizio parziale di mente». Il papà assassinio, arrestato dai carabinieri meno di 48 ore dopo il delitto, davanti al procuratore capo di Pavia Gustavo Cioppa e al sostituto Giovanni Benelli aveva confessato di aver sterminato la famiglia perché si sentiva oppresso dal matrimonio, specie dopo aver conosciuto Maria, collega di lavoro nell’azienda informatica.

«Mi consideravo un buon papà e un pessimo marito»

Lo scorso 28 febbraio ha chiesto di essere di nuovo ascoltato dai magistrati: «Avevo tanti pensieri, ma il mio fine era lei, avrei sopportato di stare da solo per qualche tempo con la prospettiva di attenderla. Pensavo a lei ogni momento libero. Non so se voi vi siate mai innamorati alla follia? Sentivo lo stomaco in subbuglio, attendevo sempre di vederla, pensavo a lei in continuazione. Volevo la separazione ma ero bloccato, preoccupato del giudizio dei miei genitori, dei parenti di lei, angosciato dal timore di una conflittualità in cui il rapporto con i figli ne avrebbe risentito».
Lissi sostiene di non aver premeditato il delitto: «Mi consideravo un buon papà e un pessimo marito – ha messo a verbale -. Prima di conoscere Maria ho avuto altre due esperienze extraconiugali con colleghe». La sera del delitto racconta d’aver parlato con la moglie: «Le ho detto che non ero felice, che mi ero innamorato di un’altra ragazza. Lei era incredula. Poi mi ha detto che mi odiava, che stavo rovinando una buona famiglia».

La sera del 14 giugno 2014

Sono quasi le 23, per uccidere moglie e figli, il 32enne impiega non più di quindici minuti: «Eravamo nella taverna. Ha cercato di tirarmi due sberle, l’ho bloccata. Poi è scappata di sopra e l’ho inseguita con il coltello che ho preso dal ceppo in cucina. Il primo colpo l’ho indirizzato al collo mentre ero alle sue spalle. Lei piangeva disperata e gridava “no”. Poi ha tentato di scappare dalla porta d’ingresso ma l’ho riportata dentro». Il racconto dell’orrore prosegue con l’omicidio dei figli: «Cristina ha iniziato ad urlare chiedendo “perché? perché?”, ma io non riuscivo a fermarmi. Ho pensato di concludere il disastro sia con i figli che con me. Sono salito in cameretta e ho fatto quello che ho fatto. Mi pare di avere colpito prima Giulia, poi Gabri. Ho cercato di farlo su di me ma non ho avuto il coraggio».

Le «motivazioni»

Il padre assassino racconta che nella prima confessione avrebbe dato «una diversa versione dei fatti»: «Pensavo di aggravare la mia situazione e non vedere più nessuno, nemmeno i miei genitori». Ma perché ha ucciso anche i figli? «In quel momento non volevo che soffrissero senza il padre e la madre perché li amavo troppo. Però non riesco a spiegarmi neanche io…». Davanti allo psichiatra racconta del suo rapporto con Cristina: «L’ho conosciuta nel 2003, lei era in un gruppo teatrale dove avevo l’incarico di sistemare le luci. Non ho avuto difficoltà per la differenza d’età. Anzi allora ti sentivi figo con una più grande»: «In casa portava lei i pantaloni. Non mi faceva mancare niente ma da parte sua c’era poco coinvolgimento sessuale. Vedevo che tutti i miei amici uscivano e si divertivano, io invece facevo sempre meno cose. Non ero convinto di sposarmi».

Cesare Giuzzi

21 aprile 2015 | 09:19

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_aprile_21/motta-visconti-tradimenti-menzogne-ecco-perche-li-ho-uccisi-349b132c-e7f5-11e4-97a5-c3fccabca8f9.shtml?refresh_ce-cp

Rapinò una donna e ne violentò un’altra: dna e video lo smascherano

Era finito in carcere ai primi di febbraio perché accusato di essere il responsabile di una rapina. Il secondo fermo per stupro nei confronti di una ventenne

Era finito in carcere ai primi di febbraio perché accusato di essere il responsabile di una rapina messa a segno in via Langosco a Pavia ai danni di una donna di 45 anni, nella cui abitazione si era introdotto in piena notte, e di aver ferito all’addome, utilizzando un cacciavite, il vicino di casa intervenuto per difenderla. Ora Nadi Hossein Mahdi Mahmoud, 29 enne egiziano, senza fissa dimora, ma che da tempo vive a Pavia, è stato raggiunto in carcere dal provvedimento di fermo per violenza sessuale e rapina su richiesta del sostituto procuratore Ethel Ancona della procura di Pavia guidata da Gustavo Cioppa. Al termine delle indagini condotte dalla squadra mobile di Pavia è risultato essere l’autore dell’aggressione a una 20enne studentessa universitaria pugliese, avvenuta in via Cossa, in pieno centro storico cittadino, lo scorso 11 dicembre. La giovane conclusa una serata in compagnia di un’amica era stata seguita dal suo violentatore, che dopo averle rubato la borsetta, l’ha spinta all’interno dell’androne del palazzo dove vive e, dopo averle messo la sciarpa sulla faccia per non permetterle di urlare e chiedere aiuto, l’ha stuprata. La presenza del 29enne egiziano in zona era stato confermata da alcune telecamere: era lui l’uomo che in bicicletta aveva avvicinato la giovane, e un’amica, chiedendo loro aiuto per accendersi una sigaretta. Il tutto poco prima di commettere la rapina con violenza. Su di lui si erano concentrate da subito le indagini, come possibile autore dell’aggressione. I sospetti hanno trovato conferme anche attraverso il Dna dell’egiziano trovato sugli abiti della studentesse universitaria stuprata.

Enrico Venni

31 marzo 2015 | 19:40

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_31/rapino-donna-ne-violento-un-altra-dna-video-smascherano-2f6347c4-d7cb-11e4-82ff-02a5d56630ca.shtml

Minaccia false verifiche fiscali per truffare anziani: oculista in cella

Chiedeva somme non dovute per evitare supermulte dal fisco. Arrestata una 59enne. «I soldi li spendeva nel gioco»

Approfittava dell’età avanzata di alcuni suoi pazienti e con la scusa di false verifiche fiscali, ed eventuali sanzioni, della Guardia di Finanza si faceva pagare somme non dovute per le cure mediche prestate. Con l’accusa di truffa aggravata e continuata, Laura Berria, 59enne medico chirurgo-oculista di Lomello, è stata arrestata questa mattina dai carabinieri di Vigevano guidati dal capitano Rocco Papaleo. Gran parte del denaro illecitamente incassato la professionista l’avrebbe «investito» al gioco, come risulterebbe da alcune verifiche da parte dei militari dell’arma, al casinò di Saint Vincent. Con le somme sottratte alla buona fede di anziani e sfruttando anche il loro basso grado culturale, nonché la fiducia instaurata grazie al suo ruolo di medico curante con persone di fasce deboli, il medico avrebbe raggirato decine di anziani.

Sette le persone che hanno presentato denuncia e alle quali la 59enne oculista sarebbe riuscita a sottrarre più di 35mila euro, ma i carabinieri hanno identificato in totale sedici presunte vittime della truffa operata del medico lomellino, tutte con età compresa tra i 77 e gli 88 anni e alcune nel frattempo decedute. Complessivamente, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe di 150mila euro l’ammontare del raggiro messo a segno dalla professionista di Lomello. A dare il via all’attività investigativa dei carabinieri, coordinata magistrato Roberto Valli e diretta dal Procuratore Capo della Repubblica Gustavo Cioppa, la denuncia di una 72enne che ha raccontato ai carabinieri di Mortara quanto stava subendo dalla sua oculista di fiducia, dove si sottoponeva a cure per alcune patologie agli occhi. L’anziana, con grande fatica e attraverso i risparmi di una vita, aveva già versato 13mila euro al medico per sistemare fiscalmente, presunte visite specialistiche effettuate sia a lei sia a suo marito. La misura degli arresti domiciliari emessa dal gip di Pavia Carlo Pasta è stata eseguita questa mattina nei confronti di Laura Berria direttamente presso il suo studio medico di Lomello. Intanto i carabinieri proseguono negli accertamenti, dopo anche il sequestro di ulteriore documentazione, per scoprire eventuali altre vittime di questo raggiro.

Enrico Venni

23 marzo 2015 | 14:16

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_23/minaccia-false-verifiche-fiscali-truffare-anziani-oculista-cella-a5971c6a-d157-11e4-8608-3dead25e131d.shtml

Pavia, il trucco delle fatture false Appalto al ribasso al San Matteo

L’inchiesta delle Fiamme gialle è partita dalla gara per i lavori di manutenzione all’ospedale. Fermati per truffa, estorsione e turbativa d’asta padre e figlio imprenditori

Vincevano gli appalti pubblici grazie a un’offerta al maggior ribasso, poi si rivalevano sui sub-appaltatori ai quali affidavano i lavori e obbligandoli a pagare fatture false per restituire parte dei compensi ricevuti. Le indagini del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, coordinate dal comandante provinciale colonnello Cesare Maragoni, sono partite la scorsa estate da un appalto pluriennale da 2 milioni e 500 mila euro per lavori di manutenzione ordinaria che la EdilMazzei si era aggiudicata all’ospedale San Matteo.

Ospedale San Matteo

Un sistema che metteva in difficoltà elettricisti, muratori e tutte le ditte che avevano a che fare con la EdilMazzei Srl, società milanese con sede operativa a Pioltello. Per lavorare gli artigiani, incaricati di riparare le tapparelle all’interno dei reparti o della manutenzione del verde nei vialetti dell’ospedale, erano costretti ad accettare di pagare vere e proprie tangenti e di faticare per coprire i costi sostenuti. Oltre che con intercettazioni ambientali e telefoniche, le indagini si sono avvalse della collaborazione delle vittime di questo sistema. «Sia funzionari pubblici che rappresentanti delle ditte subappaltatrici hanno permesso con le loro testimonianze di trovare ulteriori conferme su questo sistema di malaffare», hanno spiegato rappresentanti della Guardia di finanza e della Procura di Pavia.

Le menti della truffa

Il rappresentante legale della ditta, Giuseppe Mazzei, 67anni, originario di Catanzaro, e il figlio Antonio, 25anni, sono stati sottoposti al fermo di polizia giudiziaria per estorsione, turbativa d’asta e frode fiscale. Nella sede della loro ditta, oltre che nella loro abitazione, sono stati sequestrati quasi 4 milioni di euro in contanti, gioielli e orologi per circa 100 mila euro. Un risultato ottenuto dagli imprenditori milanesi con una proposta al ribasso del 45% sui costi di capitolato. Proprio questo dato ha suscitato dubbi e sono partite le prime verifiche fiscali delle Fiamme gialle, a stretto contatto con la Procura di Pavia guidata da Gustavo Cioppa. Per lavorare le ditte pavesi subappaltatrici dei lavori in carico dalla EdilMazzei erano obbligate, anche dietro pesanti minacce, a restituire parte dei compensi ricevuti attraverso un falso sistema di fatturazioni. Documenti emessi dalla ditta milanese per lavori mai effettuati. Oltre che in contanti, parte dei pagamenti delle ditte subappaltatrici avveniva con bonifici all’estero su banche della Croazia. Attraverso propri corrieri i titolari dell’EdilMazzei facevano poi ritornare in Italia, in contanti e quindi in nero, il denaro incassato all’estero. Le indagini, che sono ancora allo stadio iniziale, potrebbero dare ulteriori sviluppi visto che la ditta milanese operava con appalti in Lombardia e non solo. Si sta cercando di risalire all’origine del denaro sequestrato , sicuramente frutto di altre operazioni poco chiare.

Enrico Venni

4 marzo 2015 | 12:36

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_04/pavia-appalto-ribasso-san-matteo-fermati-padre-figlio-imprenditori-6c0438f4-c25f-11e4-9c34-ed665d94116e.shtml

Cene e night con le carte aziendali Arrestato l’ex presidente di Asm

Luca Maria Filippi Filippi accusato di corruzione e peculato. Avrebbe anche chiesto tangenti a imprenditori per assegnare lavori direttamente senza appalti

Ha approfittato del suo ruolo di allora presidente di Asm Lavori e di consigliere di Asm Spa per soggiornare alberghi e frequentare ristoranti, ma anche night, pagandoli con carte di credito aziendali per somme superiori a 50mila euro. Avrebbe anche chiesto tangenti a imprenditori per l’assegnazioni di lavori che avvenivano direttamente senza appalti. Per questo motivo i carabinieri del Nucleo Investigativo di Pavia, hanno arrestato questa mattina Luca Maria Filippi Filippi (il cognome è doppio), 44 anni, con l’accusa di peculato, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e induzione indebita a dare o promettere utilità.

Il padre Ettore Filippi Filippi, già vicesindaco di Pavia in passato e famoso nella sua attività di poliziotto per la cattura dell’ex Br Mario Moretti, lo scorso anno era finito ai domiciliari per aver favorito, ricevendo tangenti in cambio, alcune lottizzazioni abusive nell’ambito dell’inchiesta che aveva portato al sequestro dell’area Punta Est. Dall’attività condotta dal sostituto procuratore Paolo Mazza è emerso che Luca Maria Filippi Filippi era solito utilizzare, non solo per spese personali, ma anche per quelle di amici e famigliari che lo accompagnavano, soldi che aveva a disposizione nel suo ruolo di dirigente di un’azienda a partecipazione comunale come l’Asm. Avrebbe, inoltre, preteso da alcuni imprenditori una percentuale del 10% sulle opere che poi venivano affidate attraverso incarichi assegnati direttamente alle ditte senza appalti. Tra questi casi ci sarebbe anche quello del progetto artistico d’illuminazione del Ponte della Libertà sul Ticino, inaugurato lo scorso settembre.

Le indagini, che hanno preso il via nel luglio 2014, hanno anche portato alla luce come diversi collaboratori, assunti in Asm da Filippi Filippi con contratto di consulenza, siano stati costretti a corrispondergli parte della loro retribuzioni, che per questo motivo erano state anche gonfiate. Nell’ambito di quest’attività illecita il personale all’interno del’Asm era aumentato del 300% tanto da creare un disavanzo di bilancio per l’azienda di circa mezzo milione di euro. L’attività, coordinata dal procuratore della Repubblica di Pavia Gustavo Cioppa in stretta collaborazione con i Carabinieri, ha portato a diverse perquisizioni presso le abitazioni di politici ed imprenditori locali, nonché ovviamente presso le sedi di ASM spa e ASM lavori. Sequestrato anche diverso materiale cartaceo ed informatico. Ulteriori sviluppi delle indagini potrebbero, quindi, far emergere il coinvolgimento di altre persone in questo sistema che ha danneggiato pesantemente l’amministrazione pubblica cittadina.

Enrico Venni

16 febbraio 2015 | 10:59

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_febbraio_16/cene-night-le-carte-aziendali-arrestato-l-ex-presidente-asm-53af98da-b5c0-11e4-bb5e-b90de9daadbe.shtml

Il pensionato trovato morto in casa «È stato ucciso da un conoscente»

Il corpo senza vita del 65enne è stato scoperto da un amico che ha dato l’allarme

Marco Ceriani, il pensionato di 65 anni trovato morto nel suo appartamento, è stato ucciso con un solo colpo alla nuca, sferrato con un corpo contundente non ancora identificato. L’autopsia, che doveva svolgersi giovedì, non è stata eseguita ed è stata rimandata a data da definirsi. La Procura sta ora indagando per omicidio: gli investigatori hanno così escluso sia la morte naturale sia quella accidentale. Dai primi accertamenti è emerso che la vittima conosceva il suo assassino. L’omicida ha colpito il pensionato una sola volta con un oggetto che con ogni probabilità ha rimediato forse in casa della vittima. L’intenzione forse non era quella di uccidere, ma solo di stordire il 65enne, anche se non è escluso che l’omicida abbia agito in un impeto di rabbia. La morte del pensionato, che si faceva chiamare “Rosa”, è stata scoperta alle 21.30 di lunedì da un amico che era andato a trovarlo. Questa notte i carabinieri e il pm hanno ascoltato alcuni testimoni.

Marco Ceriani era conosciuto in città. Amava vestirsi e pettinarsi in modo eccentrico e a volte indossava travestimenti femminili con cui si ritraeva sui social network. Conduceva una vita tranquilla e riservata. «Si può escludere con certezza che l’omicidio sia maturato nell’ambito della malavita organizzata», spiegano dalla Procura. Chi l’ha ucciso farebbe quindi parte della cerchia delle sue conoscenze. L’appartamento nel quale Ceriani viveva, un monolocale al pian terreno, non era a soqquadro e sulla porta d’ingresso, trovata chiusa dall’interno, non c’erano segni di effrazione. L’ipotesi è quindi che il pensionato abbia aperto al suo assassino. Oppure, chi lo ha aggredito potrebbe essere entrato scavalcando la recinzione del giardino: un muro di cemento che dà su piazza Mainardi. I vicini di casa, sentiti dai carabinieri, hanno spiegato di non aver sentito rumori sospetti. Marco Ceriani, affetto da disabilità, riceveva ogni giorno il pasto dal Comune di Abbiategrasso. Lunedì, però, il sacchetto del pasto è stato ritrovato dagli operatori ancora appeso alla cancellata dopo diverse ore, e ciò ha fatto scattare l’allarme e l’intervento dei carabinieri. La Procura di Pavia, guidata da Gustavo Cioppa, sta ora cercando di ricostruire le ultime ore di vita dell’uomo.

Giovanna Maria Fagnani

12 febbraio 2015 | 18:50

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_febbraio_12/pensionato-trovato-morto-casa-stato-ucciso-un-conoscente-11a48ad0-b2dd-11e4-9344-3454b8ac44ea.shtml

Pensionato trovato morto in casa «Forse ha aperto al suo assassino»

Il corpo senza vita nell’appartamento in via Cesare Battisti, dove l’uomo viveva da solo, con il suo gatto

Un pensionato di 65 anni, Marco Ceriani, è stato trovato morto nel suo monolocale con giardino in via Cesare Battisti, a Abbiategrasso, dove l’uomo viveva da circa un anno, solo con il suo gatto. La scoperta è avvenuta attorno alle 21.30 di lunedì e le indagini dei carabinieri di Abbiategrasso e della scientifica, coordinate dal pm di Pavia Andrea Zanoncelli, sono proseguite fino a tarda notte. Il medico legale, intervenuto sul posto, non ha escluso alcuna ipotesi, riservandosi di dare una risposta solo dopo il risultato dell’autopsia, che sarà eseguita mercoledì. La Procura, però, indaga per omicidio. Secondo i primi accertamenti, infatti, il corpo, che giaceva sul letto, presenterebbe lesioni alla testa: bisognerà capire se sono colpi inferti da un aggressore o se per caso Ceriani sia caduto.

Chi era

Marco Ceriani era conosciuto in città. Amava vestirsi e pettinarsi in modo eccentrico e a volte indossava travestimenti femminili con cui si ritraeva sui social network. Conduceva una vita tranquilla e riservata. «Si può escludere con certezza che l’omicidio sia maturato nell’ambito della malavita organizzata», spiegano dalla Procura. Chi l’ha ucciso farebbe quindi parte della cerchia delle sue conoscenze. L’appartamento nel quale Ceriani viveva, un monolocale al pian terreno, non era a soqquadro e sulla porta d’ingresso, trovata chiusa dall’interno, non c’erano segni di effrazione. L’ipotesi è quindi che il pensionato, se è stato ucciso, abbia aperto al suo assassino. Oppure, chi lo ha aggredito potrebbe essere entrato scavalcando la recinzione del giardino: un muro di cemento che dà su piazza Mainardi. I vicini di casa, sentiti dai carabinieri, hanno spiegato di non aver sentito rumori sospetti. Marco Ceriani, affetto da disabilità, riceveva ogni giorno il pasto dal Comune di Abbiategrasso. Lunedì, però, il sacchetto del pasto è stato ritrovato dagli operatori ancora appeso alla cancellata dopo diverse ore, e ciò ha fatto scattare l’allarme e l’intervento dei carabinieri. La Procura di Pavia, guidata da Gustavo Cioppa, sta ora cercando di ricostruire le ultime ore di vita dell’uomo.

I vicini di casa ricordano Marco Ceriani come un uomo gentile e educato, molto sensibile. «Sull’uscio del suo appartamento amava appendere degli aforismi e io mi fermavo sempre a leggerli», racconta una vicina, che lavora nello studio di architettura che si trova proprio sopra al monolocale. L’ultimo cartello, appeso sulla porta, insieme a una stellina gialla di peluche, a leggerlo ora spezza il cuore: «Se la gente ricordasse più spesso che, su questa terra, siamo solo di passaggio e che questa vita non è eterna, forse riuscirebbe ad essere più umile e meno cattiva…». Anche in portineria lo vedevano passare raramente. «Era un uomo garbato e molto preciso, passava a prendere la posta e si informava se le bollette erano in ritardo», raccontano i responsabili. Con Marco viveva il suo gatto bianco e nero, che martedì osservava impaurito il viavai di persone davanti al giardino: un fazzoletto di terra dove il pensionato aveva sistemato un ombrellone e altri oggetti, fra cui una grande Befana di cartapesta. «Era un uomo così buono, cosa gli hanno fatto?», commenta la badante di una vicina. Poi sentendo la parola omicidio, la donna si fa il segno della croce, dice una preghiera e si allontana.

Giovanna Maria Fagnani

10 febbraio 2015 | 10:05

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_febbraio_10/trovato-senza-vita-casa-giallo-morte-un-pensionato-7324a56a-b102-11e4-9c01-b887ba5f55e9.shtml

La donna che pesava 15 chili e nessuno vedeva da anni

È morta poco dopo il ricovero, arrestato il marito. Lui, portiere di notte, la teneva chiusa in casa da anni: «Non voleva mangiare, provavo a darle del brodo»

Vent’anni chiusa in casa, gli ultimi tre stesa sul letto. Immobile, denutrita, scarnificata, con il corpo pieno di piaghe, Laura Carla Lodola aveva 55 anni e pesava ormai 15 chili. All’alba di lunedì il suo compagno, Antonio Calandrini, 60 anni, ha chiamato il 118 per chiedere aiuto: la donna aveva ormai perso conoscenza. È stata quella telefonata ad aprire uno squarcio in un silenzio lunghissimo, quello di due vite annegate nel nulla, autoescluse dalla società, barricate tra le mura di un appartamento dignitoso alla periferia di Pavia. Un dramma in cui, per una volta, la miseria non c’entra e le spiegazioni – dicono gli investigatori – sono da cercare nei meandri di due menti smarrite. Laura è morta in ospedale all’alba di ieri. I medici, di fronte a quel corpo miracolosamente ancora in vita, erano disarmati: sotto la soglia dei 25 chili le funzioni vitali dovevano già essere cessate. Non potevano spostarla, tanta era la fragilità delle ossa, non era possibile neppure farle un’iniezione. Gli infermieri hanno cerato di alimentarla, le hanno tagliato i capelli che arrivavo ai piedi e le unghie, più lunghe della dita. Hanno cercato di curare le piaghe, ormai infette, di afferrare quel briciolo di vita che ancora resisteva. Ma, alla fine, Laura si è spenta.

Alla polizia è bastato poco per fermare Antonio Calandrini e il procuratore capo Gustavo Cioppa ieri, insieme alla pm Ethel Ancona, ha chiesto al gip la convalida del fermo formalizzando così le accuse: sequestro di persona, abbandono di incapace, lesioni gravissime, maltrattamenti da cui è derivata la morte. «Lei non ha mai voluto farsi curare – ha raccontato l’uomo ai magistrati – ma io le sono stato sempre accanto, cercavo di farla mangiare. Per accudirla ho anche preso un’aspettativa». Distante dalla realtà dei fatti, prigioniero di un rapporto morboso con la compagna, Calandrini aveva costruito in vent’anni un tran tran allucinante. Nessuna amicizia, nessuna frequentazione, rapporti con i parenti interrotti da tempo. Lui, portiere notturno del Collegio Nuovo (dove tutti lo ricordano come una persona gentile, educata, «con un problema in famiglia»), finito il turno si chiudeva in casa con lei. Tapparelle abbassate, niente tv, niente cellulare. Cercava – dice – di farle bere un cucchiaio di minestra, un sorso di the, poi si stendeva su quel letto sudicio e maleodorante in cui l’esile corpo di lei giaceva in posizione fetale e dormiva. I vicini non li vedevano mai, non si erano mai accorti di nulla.

Della vita di Laura non c’è traccia. A 22 anni comincia a frequentare Antonio, nove anni dopo iniziano a convivere in quella casa che diventerà la sua prigione. Aveva una sorella, con cui i rapporti erano interrotti da 15 anni, mentre il fratello è stato l’ultimo a vederla, tre anni fa: lei stava già male, faticava a reggersi in piedi, una sindrome depressiva degenerata, sembra. Il fratello aveva pensato di rivolgersi ai servizi sociali per farli aiutare ma l’uomo si era opposto sostenendo che era in grado di farcela da solo. E così le due vite sono state definitivamente inghiottite nel nulla. 

Luigi Corvi (ha collaborato Enrico Venni)

29 gennaio 2015 | 10:31

Fonte: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_gennaio_29/donna-che-pesava-15-chili-nessuno-vedeva-f700b910-a797-11e4-b182-cec9e96dbdaf.shtml