Vigevano, la ragazza si gettò sotto il treno dopo averlo denunciato
Qualcuno quella sera l’aveva vista, a poca distanza dalla stazione di Vigevano, infilarsi le cuffie dello stereo e sdraiarsi sui binari. La musica a palla nelle orecchie, poi un ombra che arriva all’improvviso. Dicono che abbia alzato la testa proprio mentre il locomotore del regionale per Milano le passava sopra. Era il 13 maggio 2013 e Anna, 17 anni e una vita difficile, se ne andava così. Alle cinque aveva visto per l’ultima volta la madre. Un incontro nella comunità protetta in cui, per decisione dei giudici, la ragazza viveva da alcuni mesi. Da quando, facendosi forza, si era presentata alla polizia e aveva denunciato quello che era costretta a subire tra le mura di casa, una storia di abusi che andava avanti da sette anni. Gli agenti avevano messo tutto a verbale, poi Anna era stata sentita altre due volte, confermando e precisando il suo racconto. Così era partita una segnalazione al tribunale dei minorenni (che aveva affidato la ragazza a una comunità) e la Procura aveva invece fissato la data dell’incidente probatorio: avrebbe dovuto ripetere davanti al giudice le accuse contro il suo aguzzino, lo zio.
Anna, una ragazza sveglia, intelligente e molto sensibile, viveva con la madre e un fratello più piccolo. Il padre era morto di leucemia quando lei era piccola e il posto in casa era stato preso dal fratello gemello di lui, che aveva allacciato una relazione con la madre. Avrebbe dovuto prendersi cura dei bambini, invece aveva cominciato a molestare Anna quando di anni ne aveva solo dieci. Pretendeva rapporti orali e poi, con le minacce, la obbligava a non dire nulla alla madre.
Con il tempo quella situazione, in una famiglia in cui oltretutto la madre era «poco accudente», aveva finito per creare problemi psicologici alla ragazza, che non aveva più retto ed era andata alla polizia. Era l’inizio del 2013. Poco dopo, sia lei che il fratello erano stati tolti alla madre e affidati alla comunità, forse anche perché la donna avrebbe preferito che la cosa fosse messa a tacere. Infine, a maggio, pochi giorni prima dell’incidente probatorio, Anna si era uccisa. Un gesto inaspettato che aveva sorpreso sia la psicologa che la seguiva, sia gli operatori della comunità: da quando aveva fatto la denuncia pareva più serena. Al fratello aveva lasciato una lettera, piena di affetto, chiedendogli scusa: «Mi spiace che per colpa mia anche tu sei finito in comunità. Io non ce la faccio più, tu cerca di andare avanti. Ti voglio bene».
Il pm Ethel Ancona aveva avviato l’indagine contro lo zio, che anche la morte della ragazza non ha fermato. Poi, con l’accorpamento dei tribunali, il fascicolo è finito a Pavia dove il procuratore capo Gustavo Cioppa ha chiesto al pm Ancona di continuare a occuparsi del caso. Sarà lei a rappresentare l’accusa nei confronti dello zio di Anna, rinviato a giudizio per abusi sessuali continuati. L’udienza, con il rito abbreviato, è fissata per il 17 febbraio. Ma forse la sentenza arriverà tardi: l’uomo, gravemente malato, sarebbe in fin di vita.
Luigi Corvi
10 dicembre 2014 | 12:00