L’uomo che ha ucciso moglie e figli: «Mi ero innamorato di un’altra». La 24enne: «Non gli ho mai dato un filo di speranza»
Una corte insistita, fastidiosa. «Ma lo giuro, non è mai accaduto nulla, non gli ho mai dato un filo di speranza». La ragazza del mistero lo ripete più volte agli inquirenti e questi ultimi a loro volta lo scandiscono perché non vi sia margine di dubbio: «Tra Lissi e la sua collega non c’è mai stata alcuna relazione sentimentale». Eppure tocca anche a questa ventiquattrenne la trafila delle domande di carabinieri e magistrati per arrivare a una conclusione: il piano omicida è nato e maturato solo ed esclusivamente nella mente di quel dipendente per tutti irreprensibile.
Barbara, è il nome di fantasia della giovane, da due anni circa lavora alla Wolters Kluwer, l’azienda informatica di Assago (Milano) di cui era dipendente anche Carlo Lissi. La notizia della strage nella villetta di Motta Visconti si diffonde mentre Barbara sta trascorrendo un fine di settimana in montagna con il fidanzato con cui da poco è andata a convivere. La giovane è in Svizzera ma alle 11 di sera di domenica varca il cancello della caserma dei carabinieri di Pavia dove ci sono anche i pm Gustavo Cioppa e Giovanni Benelli. E lì racconta il tormento di cui era vittima da parte di Lissi, la cui autodifesa comincia a cedere. «Tutto è iniziato con qualche complimento quando ci si incrociava in corridoio o in qualche momento di pausa» è il senso di quanto detto senza tentennamenti dalla ragazza. Una testimonianza che combacia con quanto nel frattempo già emerso nei confronti di Carlo, che in molti descrivono come un «piacione», uno abituato a far galanterie.
«Ma negli ultimi due mesi – prosegue il racconto di Barbara – il suo atteggiamento si era fatto più insistente, più esplicito: si è passati agli inviti a cena, alle dichiarazioni d’amore, ai paroloni: diceva di essere pazzo di me, io rispondevo che non ci pensavo nemmeno a iniziare una storia. Ma lui non si dava pace».
Nonostante tutto Barbara ha sempre interpretato le avances del collega come un semplice «incapricciamento», qualcosa che non sarebbe mai andato oltre i confini del lecito. E a questo proposito vengono sottolineati due dettagli importanti. Nella sua testimonianza la donna riferisce di non aver mai subito molestie di tipo fisico. E che inoltre non aveva mai ritenuto indispensabile parlare con qualcuno di quel collega divenuto improvvisamente così fastidioso, né agli amici né ai superiori in azienda. «Non c’è mai stato nulla che potesse configurare un’ipotesi di stalking» confermano dalla procura di Pavia.
Chi in compenso non faceva mistero di quella passione divenuta irrefrenabile era Carlo Lissi: in ufficio ai colleghi ne avrebbe parlato e nelle stanze della Wolters Kluwer in parecchi si erano resi conto che dove c’era Barbara un attimo dopo compariva Carlo, che lui la attendeva appena possibile e le «stava addosso». Forse gli echi di quella passione erano giunti anche a Cristina Omes, la moglie di Lissi. Un mese fa sulla sua pagina facebook scriveva: «Non trattare mai male una donna, non ferirla. Una donna, quando è ferita, cambia».
Claudio Del Frate e Giovanna Maria Fagnani
17 giugno 2014 | 08:30