Ai domiciliari anche Giorgio Radice, presidente del consiglio di amministrazione
MILANO – Doveva produrre energia pulita, invece smaltiva rifiuti non consentiti. La centrale a biomasse Riso Scotti Energia di Pavia è stata messa sotto sequestro mercoledì mattina, durante l’operazione «dirty energy», coordinata dalla procura della Repubblica di Pavia – diretta dal procuratore capo Gustavo Adolfo Cioppa – e condotte dai sostituti Roberto Valli, Luisa Rossi e Paolo Mazza. Sette persone sono finite agli arresti domiciliari, tra cui il presidente della società, Giorgio Radice e il direttore dell’impianto, Massimo Magnani, gli indagati nel complesso sono 12. Inoltre, sono stati sequestrati 40 mezzi ed eseguite 60 perquisizioni in tutta Italia.
SCARTO DEL RISO – La Riso Scotti Energia, società di proprietà della Riso Scotti, era destinata, in principio, allo smaltimento, attraverso una centrale a biomasse, della lolla del riso, un sottoprodotto della lavorazione industriale impiegato come ottimo combustibile. In seguito, grazie a un’evoluzione della normativa, l’impianto era autorizzato a smaltire anche rifiuti speciali non pericolosi: «Il coinceneritore – commenta Ugo Mereu, comandante regionale della Lombardia del Corpo forestale – sulla carta era un vero e proprio fiore all’occhiello, poiché serviva a smaltire uno scarto della produzione e, al contempo, a creare energia rinnovabile da reimpiegare in azienda. Purtroppo però abbiamo constatato che le cose non stavano così».
RIFIUTI NON CONSENTITI – Secondo le indagini condotte dal Corpo forestale, nell’impianto, insieme alla lolla, si bruciavano anche rifiuti di varia natura (tra cui legno, plastiche, imballaggi e fanghi di depurazione di acque reflue) con concentrazioni di inquinanti (soprattutto metalli pesanti) superiori ai limiti consentiti dalla legge. Un traffico di 40.000 tonnellate di rifiuti urbani e industriali non regolarmente trattati, provenienti da impianti di smaltimento in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia Romagna, Toscana e Puglia. Tutto ciò era possibile grazie ai falsi certificati rilasciati da laboratori di analisi chimiche compiacenti, per un giro d’affari che, secondo le prime stime, si aggira intorno ai 30 milioni di euro, grazie anche agli incentivi statali che questo genere di impianti riceve: «Il guadagno illecito principale proviene, oltre che dallo smaltimento dei rifiuti, dalla vendita di energia rinnovabile, per la quale sono previsti incentivi statali», conferma Paolo Moizi, comandante provinciale del Corpo forestale di Pavia. L’azienda, avrebbe venduto la propria energia (in realtà non pulita) a un prezzo elevato, perché incentivato, alla rete nazionale: «Inoltre – prosegue Moizi – nell’impianto era stato installato un secondo generatore, che ufficialmente sarebbe dovuto servire in caso di malfunzionamento del primo, ma che in realtà produceva ugualmente energia». La lolla miscelata con scarti industriali, inoltre, veniva anche venduta, senza alcuna autorizzazione, per la produzione di lettiere per animali, in particolare pollame e suini, e per la produzione di pannelli di legno.
ESCLUSE INFILTRAZIONI MAFIOSE – La centrale, che si trova alle porte di Pavia, ha probabilmente immesso in atmosfera emissioni oltre il limite consentito: «E’ un filone d’indagine successivo – spiega Mereu – ciò che noi abbiamo constato, tuttavia, è che la centralina di rilevamento presente nell’impianto funzionava male: dai report non risultavano variazioni tra una rilevazione e l’altra. Impossibile non accorgersene». Le indagini condotte dal Nucleo investigativo provinciale di polizia ambientale e forestale di Pavia del Corpo forestale dello Stato, in collaborazione con personale della polizia di Stato – Gabinetto regionale della polizia scientifica di Milano e Direzione centrale anticrimine di Roma, sono durate due anni. La maxi operazione, che ha richiesto l’impiego di 250 agenti del Corpo forestale e di 25 poliziotti, è la prima nel settore delle smaltimento delle biomasse: «Sono impianti relativamente giovani ed è necassario incrementare i controlli, visto il giro d’affari che muovono, anche se questo tipo di indagini sono molto difficili, perché richiedono elevate competenze tecniche». Dell’inchiesta si sta occupando la Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini: «Per ora non abbiamo elementi per affermare che sia coinvolta la criminalità organizzata, ma per legge quando un’indagine si occupa di traffico illecito di rifiuti, la competenza spetta alla DDA», conclude Mereu.
Maddalena Montecucco
17 novembre 2010